L’opera di Jago vandalizzata a New York. Parola allo scultore
Da Napoli a New York, la scultura di Jago che raffigura un neonato continua a subire atti vandalici. Ecco cosa ne pensa l’autore
Look Down, la tanto discussa scultura di Jago (Frosinone, 1987), torna a New York e incontra nuovi atti di vandalismo, ma anche riconoscimenti e ripetuti applausi. Abbiamo colto l’occasione per parlare con lo scultore di questo e molto altro.
Intervista a Jago
Ogni uomo è un ragazzo morto, un riflesso dell’innocenza perduta e del conflitto interiore. Ne Il giovane Holden di Salinger, Holden Caulfield lotta per proteggere la purezza dell’infanzia in un mondo che lo costringe a confrontarsi con l’inevitabile corruzione dell’età adulta. Look Down contiene frammenti di questa riflessione, catturando la vulnerabilità e la lotta per preservare l’innocenza in un contesto urbano spietato, proprio come Salinger cerca di proteggere i bambini dal cadere nel mondo degli adulti.
Look Down è nata dall’osservazione di numerosi senzatetto che dormivano per strada durante una mia visita a New York nel 2018. Questa scena mi ha portato a riflettere su come la presenza di persone costrette a vivere e dormire all’aperto sia ormai così comune da generare indifferenza. Da questa consapevolezza, mi sono sentito profondamente colpito dal pensiero che ogni senzatetto è stato, a un certo punto, un bambino con una famiglia e delle speranze. Questo mi ha spinto a considerare in modo più profondo i temi della povertà e della discriminazione, rinnovando la mia prospettiva su tali questioni.
Fra il 2018 e il 2020, durante il tuo periodo newyorkese, hai realizzato tre opere tutte utilizzando marmo del Vermont: Look Down, The First Baby e Il Figlio Velato. Come è arrivata l’ispirazione e la necessità di realizzare questa trilogia?
La prima opera a cui ho cominciato a lavorare è stata Il Figlio Velato. Da un avanzo del marmo utilizzato ho iniziato a lavorare a The First Baby. Quindi, in contemporanea, ho realizzato Look Down. Sono arrivato alla realizzazione di questi tre lavori senza avere come punto di partenza un pensiero strutturato. Per fare una scultura devi togliere il superfluo. Cerco le mie ispirazioni operando su un doppio livello di osservazione: osservi la società e osservi il marmo.
Look Down, l’opera di Jago vandalizzata
Look Down, durante le sue precedenti esposizioni, ha avuto anche qualche incontro poco piacevole. A Napoli hanno fatto scalpore quattro adolescenti che si sono filmati inscenando un pestaggio della scultura. La tua reazione ha spiazzato tutti: a te ha indignato piuttosto l’indignazione generale che il loro comportamento ha suscitato, e hai sentito il bisogno di proteggere gli aggressori.
Ho visto il video e mi sono messo a ridere. Una bravata che non ha provocato alcun danno all’opera, ma che invece ha scatenato un linciaggio mediatico su quei ragazzini. Non era giusto nei loro confronti quello che stava succedendo. Io, alla loro età, ne ho combinate di tutti i colori. Il giorno prima della mia comunione ho incendiato una palma ad Anagni e poi ho mentito a tutti spudoratamente. La shitstorm che hanno subito mi ha messo davvero a disagio.
Da qui l’idea di invitarli nel tuo studio e incontrarti con loro.
Ho preferito accoglierli piuttosto che giudicarli.
La poetica del vandalismo è diventata in seguito parte integrante dell’opera. Nel deserto degli Emirati Arabi, l’opera è stata danneggiata in vari punti: un orecchio, il dito di una mano, un piede. La catena attaccata all’ombelico è stata strappata. Come è andata?
Look Down è arrivata in un mondo nuovo e lontano, come un deserto medio-orientale. Un’immagine estetica per me molto suggestiva, ma che evidentemente ha infastidito qualche locale. Secondo me qualcuno ha cercato di spostarla. Quindi, siccome non ci riusciva, si è arreso e se n’è andato.
Spostarla?
Spostarla.
Jago e il vandalismo
Tu hai accettato il vandalismo come una forma di partecipazione involontaria all’opera, e la scultura che ne porta i segni ben visibilmente è arrivata a New York. E qua sta collezionando nuovi gesti lesivi: una scritta “Supreme” sull’avambraccio, una scarpata in testa. Addirittura sassolini presi dal parco e infilati dentro il naso. C’è un accanimento contro quest’opera?
Davanti ai miei lavori ho visto persone inginocchiarsi e pregare, bambini saltarci sopra per giocarci, persone accarezzarle. Quando inserisci un’opera d’arte in uno spazio pubblico, tutte queste cose succedono. Non si può parlare di accanimento, ma anzi, è successo di peggio: a Roma, davanti a Castel Sant’Angelo, la scultura Sono pronto al flagello è stata completamente distrutta. Era un’opera contro il razzismo, raffigurava un giovane profugo a terra. Oggi non c’è più.
Visto che Look Down ha subito diverse forme di vandalismo in varie città, pensi che la scultura, con i suoi segni e le sue cicatrici, abbia acquisito un nuovo significato o un valore aggiunto rispetto a quello originale?
La scultura non è solo un oggetto da osservare, ma un contenitore di significati che invita chiunque la incontri a inserirvi le proprie esperienze e riflessioni. La scelta di non riparare alcuni danni subiti dall’opera, come i due fori corrispondenti all’entrata di una catena, è una decisione consapevole che amplifica il messaggio di vulnerabilità e resilienza.
Prossima tappa?
Sicuramente un giorno l’opera si fermerà. Almeno glielo auguro, ma al momento non posso prevedere quanto lungo sarà il suo viaggio. Come ho sempre fatto, condividerò il luogo della prossima tappa il giorno stesso della sua installazione.
Alessandro Berni
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