Fondato nel 2009 da un gruppo eterogeneo di artisti, designer, stilisti e scrittori, DIS Magazine – rigorosamente online, ma con base a New York – “esplora la banalità del nuovo nella creazione di immagini e prodotti”, dissezionando moda, arte e merchandising e adottando un atteggiamento programmaticamente decostruttivo nei confronti degli oggetti della sua analisi.
DIS coordina anche diversi progetti, editoriali e non, fra cui uno studio sui nuovi modi di documentare l’arte in un’economia dell’attenzione in cui le opere, anche nella cornice immacolata e apparentemente neutra del cubo bianco, si trovano a competere con altre immagini e situazioni “prodotte” dai visitatori, ognuno con un proprio stile, propri pensieri e una propria agenda.
Avviato nel 2010, il progetto è stato recentemente rilanciato con successo grazie alla curatrice Sarah McCrory, che ha invitato DIS a Londra per partecipare a Frieze Projects. In Fair Trade, DIS usa la fiera e i suoi stand come set per la messa in scena di immagini patinate e costruite che hanno come protagonisti visitatori, amici, modelle griffate, addetti alle pulizie o alla sicurezza. DIS sfrutta la banalità glamour dell’immagine di moda e la neutralità della stock photography. E se avessimo dubbi sulle potenzialità critiche del progetto, basti vedere come, in un’intervista, riescono a enucleare in poche parole la peculiarità di una fiera d’arte, “in cui istituzione, merce, ruoli sociali e contesto si ibridano in modo affascinante e problematico.”
Fair Trade completa una trilogia avviata con New in Stock, che analizza l’istituzione (il New Museum) come luogo di vita, lavoro e fruizione, e Competing Images, che studia la scuola (il Bard Center for Curatorial Studies) come spazio di ricerca sui consumi, non solo culturali.
Domenico Quaranta
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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