Quanto vale la cultura per i giovani in Italia? Le risposte
Se per i giovani tra i 18 e i 24 anni la cultura è molto importante per il proprio benessere, per chi ne ha dai 25 in su il parere cambia. Ecco tutte le risposte e le riflessioni derivanti dal sondaggio del Consiglio Nazionale dei Giovani
Quanto vale la cultura per i giovani? O, più precisamente, quanto l’accesso alla cultura, secondo i giovani, ha un effetto positivo per il loro benessere? Il Consiglio Nazionale dei Giovani, in occasione della terza edizione della rilevazione dell’Indice di fiducia dei giovani, ha posto al campione rappresentativo interrogato anche questa domanda. Il risultato – illustrato nella figura qui sotto – è senza dubbio di interesse e porta a importanti riflessioni.
Quanto vale la cultura per i giovani in Italia: le risposte al sondaggio
La distribuzione delle risposte alla domanda del sondaggio mostra come tra i giovani sia sufficientemente diffusa l’idea che la cultura giovi al proprio benessere. Resta però da segnalare il fatto che – su cento giovani – cinque non sappiano rispondere a questa domanda, e quindici ritengano che la cultura incida poco, o per nulla, sulla propria qualità della vita.
Ancora più interessante è la differenza dei pareri tra le due macro-classi di età: se per i ragazzi tra i 18 e i 24 anni avere accesso alla cultura incide “abbastanza” o “molto” sul proprio benessere nel 90% dei casi, tra i 25 e i 34 tale incidenza scende fino al 70%.
Un dato che, al netto delle interpretazioni, indica che abbiamo una generazione tra i 25 e i 34 anni che ritiene molto meno importante la cultura di quanto facciano i propri fratelli o cugini più piccoli.
Nelle leggere questa evidenza, però, bisogna sospendere qualsiasi atteggiamento giudicante: non è affatto detto che la cultura debba necessariamente essere centrale nella vita di tutti. Così come non tutti ritengono lo sport un elemento fondante nella propria esistenza, o i cambiamenti climatici, o il cibo sano, così può valere anche in questo caso.
Considerazioni sui dati relativi al valore della cultura per i giovani in Italia
Nel leggere il dato va chiarito anche l’aspetto secondo cui l’informazione è probabilmente falsata da una differente accezione di cultura assunta dai rispondenti. Se non sorprende che trenta giovani su cento ritengano i musei trascurabili per la propria vita, stupirebbe invece l’idea che per questi ragazzi conti poco l’accesso a musica, serie TV, film, videogames e contenuti disponibili online. Una dimensione, questa, che va assolutamente sottolineata.
Allo stesso modo, non vanno trascurate le potenziali interpretazioni dei risultati. Se infatti è opportuno guardare i dati con oggettività, è altrettanto essenziale che essi servano a formulare domande, e tentare di delineare risposte.
Guardando alla differenza di pareri tra i 18-24 e i 25-34, infatti, si potrebbe affermare che quelle nuove generazioni – le stesse che accusiamo sempre di essere troppo distratte – tendano in realtà a dare alla cultura maggiore importanza di quanto facciano le generazioni precedenti. Una lettura legittima, che meriterebbe senza dubbio ulteriori approfondimenti.
Lo scarso valore della cultura per i giovani tra i 25 e i 34 anni in Italia
Quella stessa discrepanza appena detta, tuttavia, potrebbe indurre a credere che la minore rilevanza della cultura in determinate fasce d’età non sia attribuibile al rapporto tra individuo e consumo culturale, bensì sia il riflesso di una carenza in altre dimensioni dell’esistenza. Quella tra i 25 e i 34 anni, infatti, rappresenta la soglia di età in cui si tende a fare ingresso nel mondo del lavoro: cresce l’esigenza di autonomia economica e finanziaria, terminano gli studi universitari, e diviene per le persone indispensabile trovare un’occupazione degna del proprio percorso di studi.
Se tale passaggio può essere in alcuni casi naturale, in altri può risultare meno lineare di quanto ci si aspetti. Di conseguenza, la ricerca di lavoro e di stabilità economica diviene – come giusto che sia – la variabile essenziale a fronte della quale tutto il resto perde di valore.
Giovani, valore della cultura e lavoro in Italia
L’interpretazione che viene dunque a delinearsi potrebbe essere supportata dalle statistiche legate alla tipologia di contratto di lavoro ad un anno dalla laurea. Queste vedono, per il dato nazionale, soltanto il 32% dei laureati con un contratto a tempo indeterminato, e il restante diviso tra autonomo, contratto formativo, contratto non standard, contratto parasubordinato, contratto altro autonomo, e senza contratto.
Anche questa dimensione meriterebbe una maggiore attenzione, non perché sia necessario trovare lavoro subito dopo la laurea, ma perché emerga davvero quanto l’assenza di stabilità economica trasformi le nuove generazioni: se l’incertezza nel futuro diviene tale da rendere tutto meno importante, dobbiamo chiederci quale sia il futuro che stiamo creando.
Stefano Monti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati