A Pietrasanta il Museo Mitoraj aprirà entro il 2024. Intervista all’architetto Paolo Brescia di OBR

Dedicato allo scultore scomparso nell’ottobre di dieci anni fa, il museo nasce dal recupero dell’ex mercato comunale, a cura degli architetti dello studio OBR. Ne abbiamo parlato con il suo cofondatore

Lo scorso 27 agosto 2024 l’architetto, curatore ed editore Frank Michael Boehm, originario di Brema ma con solide basi a Milano, è stato incaricato di dirigere il nuovo Museo Mitoraj di Pietrasanta. Una nomina particolarmente attesa, dato che la sede museale dedicata allo scultore scomparso nell’ottobre di dieci anni fa dovrebbe aprire al pubblico entro il 2024. Il rilievo dell’operazione culturale in corso nella città versiliese è anche architettonico: le opere dell’artista saranno infatti esposte in forma permanente in un manufatto dismesso, situato lungo una via connessa al centro storico, che è stato recuperato dallo studio OBR. Un intervento di riuso, dunque, ma anche di adeguamento funzionale, allestimento e disegno dello spazio pubblico, come racconta in questa intervista l’architetto Paolo Brescia, fondatore di OBR nel 2000 con Tommaso Principi.

L’architetto Paolo Brescia racconta il progetto del Museo Mitoraj di Pietrasanta

Quando ci avete descritto il progetto per la prima volta, nel 2019, avete adottato la definizione “super pubblico” per spiegare come immaginavate il museo toscano. Ora che i lavori si avviano alla fase conclusiva, ritenete di aver realizzato un’opera “super pubblica”?
Direi di sì. Lo testimonia il fatto che il Comune di Pietrasanta, molto lungimirante e particolarmente interessato alla “res pubblica”, da qualche giorno è già riuscito ad aprire la piazza-giardino di fronte al museo: quello spazio pubblico è l’emblema dell’apertura, non solo figurata ma anche fisica, del Museo Mitoraj alla città. La struttura preesistente che abbiamo recuperato, ovvero l’ex mercato coperto comunale, era arretrata rispetto al fronte stradale; di conseguenza disponevano di uno spazio all’aperto con una forte vocazione urbana. Questa piazza servirà per avvicinare il museo alla città e, nello stesso tempo, per portare il museo oltre sé stesso. E possiede già una funzione espositiva, che di fatto anticipa quella del museo: la Fondazione Mitoraj ha infatti deciso di donare alcune opere e di esporle qui, a partire dalla Corazza

Concentriamoci sull’edificio che ospiterà il museo. Quali margini di operatività consentiva la struttura oggetto del programma di riuso?
Abbiamo avuto una certa fortuna. L’ex mercato coperto di Pietrasanta è stato progettato da un bravo architetto, autore di una struttura versatile e modulare. È composta da una serie di “funghi”, ovvero pilastri che si espandono in altezza formando dei “maxi capitelli”. Tolto il superfluo, abbiamo a disposizione una pianta completamente libera, priva di pareti. Una condizione di partenza che anziché porci vincoli spaziali, è diventata sinonimo di libertà e che, anche nei prossimi anni, assicurerà la massima flessibilità d’uso.

Un vantaggio non di poco conto.
Di fatto ci ha permesso di lavorare non solo sullo spazio, ma anche di ragionare sulla “componente tempo”: in futuro il museo potrà ospitare anche l’imprevedibile. Credo che questa sia la vera forza delle architetture che “funzionano”. Sono capaci di sostenere funzioni diverse da quelle per le quali erano state inizialmente disegnate. E così scopri che un mercato coperto può diventare un museo, oppure che edifici per uffici possono essere delle perfette abitazioni. Ogni volta che un’architettura “funziona” anche per scopi diversi da quelli originari è la dimostrazione che è una buona architettura.

Riuso, spazio pubblico, allestimento: il Museo Mitoraj secondo OBR

Fronte strada il museo si presenta come una “teca di vetro”. Ma poi c’è un livello interrato. Cosa troveremo al suo interno?
Le funzioni accolte nel livello meno uno completano il museo secondo una visione più contemporanea, che dal punto di vista dell’attività da proporre al pubblico lo fa diventare quasi più un centro d’arte. È un museo che persegue un doppio obiettivo. Non solo luogo di conservazione e contemplazione, il Museo Mitoraj punta infatti a divenire un polo con una funzione sociale di aggregazione: vuole creare comunità. Oggi assistiamo a un processo di “museo-mania”, con la conseguente proliferazione di musei ovunque. In questo caso si tratta di un museo con un forte radicamento nella comunità locale. Un radicamento che sarà rafforzato nel piano interrato, dove ci saranno la caffetteria, la sala per mostre temporanee, ulteriori spazi.

L’incarico include anche l’allestimento museale?
Sì e lo stiamo conducendo a quattro mani con Jean-Paul Sabatié, presidente della Fondazione Mitoraj ed erede di Mitoraj. È un lavoro basato sull’ascolto reciproco: questo allestimento non è calato dall’alto, ma è proprio concepito “su misura” per l’architettura del museo. 

Non è così scontato che lo studio che si occupa dell’architettura riesca a seguire anche l’allestimento.
E infatti spesso si verifica uno scollamento. Qui, invece, non ci sarà una gerarchia tra allestimento e architettura dal punto di vista dell’importanza: ci sarà solo l’ovvio passaggio di scala. A mio avviso questo intervento è paradigmatico di come si dovrebbe lavorare oggi in Italia.

Ovvero?
Costruire sul costruito è molto importante, perché si riesce a celebrare il contributo di chi ha vissuto prima di noi; ha poi una valenza in termini di riuso, che è un tema di grande attualità. Ovviamente al complesso si assegna un nuovo senso, del resto la lente con cui si osserva la realtà cambia. Però si ottiene di più con meno. Il Museo Mitoraj ci ha anche aiutato a declinare un concetto che inseguiamo da tanto tempo: ovvero cercare di fare un’architettura che “sia lì da sempre”, come ci piace dire.

Che cosa intendete?
Dal punto di vista funzionale e metodologico, l’opera viene intesa come se appartenesse al nostro tempo, ma parallelamente è percepita come se ci fosse sempre stata. Se cominciamo a ragionare sul concetto del “già lì da sempre” rifuggiamo dai concetti deboli dell’architettura, dalle tendenze e dalle mode che fanno in realtà invecchiare presto gli edifici. Siccome l’architettura è un fatto pubblico, la responsabilità che abbiamo come architetti è cercare di fare qualcosa che appartenga a un certo luogo e a un certo tempo anche nel lungo periodo.

Lo studio OBR verso il traguardo dei 25 anni di attività

E fin qui come OBR siete riusciti a farlo? Forse nella Galleria Sabauda, a Torino?
Non lo so, ma senza dubbio ci stiamo provando. Oltre al progetto che citi, penso alla terrazza di Triennale Milano. Nel Palazzo dell’Arte, anche grazie a un dialogo molto costruttivo avuto con la Soprintendenza, abbiamo capito insieme quale sarebbe stato il progetto giusto. Del resto l’architettura è un processo cooperativo ed evolutivo. Come disciplina la definisco un po’ “serenditipica”: la scopri perché sei in uno stato di ricerca. Quello che noi cerchiamo di fare, più che edifici che vogliono farsi notare, è stabilire una relazione tra l’opera, quello che c’era già, le persone che ci sono e ci saranno, il contesto. Per noi la parola chiave è “relazione” ed è tutto impostato sulla “relazione tra”; direi che la nostra è un’“architettura relazionale”.

Oltre Pietrasanta, quali altre opere con valenze urbane sono in progress?
Innanzitutto la Casa Vela, a Genova. È l’intervento più pubblico nel piano per il Waterfront di Levante di RPWB. Renzo Piano ha donato il master plan alla città; tra gli edifici inclusi c’è questo hub, finanziato con fondi PNRR, in cui si imparerà a coltivare la propria passione per il mare. Ospiterà il Centro federale della Fiv e la sua terrazza sarà una passeggiata pubblica sul mare. La posa della prima pietra sarà il prossimo 9 settembre. Spostandoci a Milano, cito Casa BFF. È un’opera promossa da un privato (una banca), ma è totalmente aperta alla città grazie a un piano terra con funzioni collettive, tra cui una galleria d’arte moderna e contemporanea, in cui saranno esposte le opere della collezione della banca stessa. Arretrando rispetto al fronte strada, questa architettura genera una piazza protetta da un grande portico di 40 metri; la banca si trasferirà a fine novembre e a gennaio 2025 saranno completati gli spazi esterni. Credo che Casa BFF sia il manifesto del fatto che, indipendentemente dal cliente (pubblico o privato), l’aspetto più interessante del fare architettura resti creare urbanità e restituire sempre qualcosa al dominio pubblico.

Nel 2025 arriverete ai 25 anni di attività. Come immagini il futuro di OBR?
Dopo questi 25 anni, vorrei che fossimo veramente in grado di fare, attraverso l’architettura, qualcosa che possa rafforzare questa idea di urbanità: ovvero creare luoghi in cui le persone hanno piacere e voglia di incontrarsi, nei quali si celebra quel rito di urbanità che si pratica quando mettiamo insieme tutte le nostre piccole particolarità. Fare, quindi, la nostra parte in termini di creazione del senso della comunità e appartenenza.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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