“Io non scrivo, sragiono”. Intervista al poeta Marko Miladinović

Conosciamo Marko Miladinović, poeta croato dall’indole folle, almeno quanto la sua penna. L’abbiamo intervistato in occasione dell’uscita della sua nuova raccolta di poesie

quel giorno ero bambino
poggiò le mani sul mio banco
e mi disse il maestro: meglio
fare qualcosa che fare niente
guarda caso diceva proprio a me
che non avevo che un pennino
saltò in aria che glielo infilzai
nel palmo gridò: AAAAA
AAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAA
AAAAAAAAA
AAAAAAA
AAAAA
AAA
AA

chi aveva ragione e chi torto?

C’è un noto aforisma del filosofo Seneca che sostiene “Non è mai esistito ingegno senza un poco di follia”. Ecco, l’intervista che segue rischia di essere un buon indizio a favore di questa affermazione. In un panorama poetico che trova ancora molto spazio per la poesia che – per brevità – chiameremo “convenzionale”, di tanto in tanto emergono spazi anarchici di sperimentazione. Marko Miladinović (Vukovar, 1988), poeta, musicista e artista performativo croato, ha pubblicato L’umanità gentile (Miraggi Edizioni 2017), da dieci anni organizza eventi di poesia nella Svizzera Italiana e ha letto sue poesie in Francia, Germania, Spagna, CroaziaTunisi. La sua nuova raccolta, uscita a febbraio 2024 per la casa editrice indipendente Agenzia X, è un libro unico, insolito, caleidoscopico. Abbiamo intervistato l’autore per provare a capirci qualcosa. Senza riuscirci fino in fondo (come nei migliori viaggi).

Il poeta Marko Miladinovic
Il poeta Marko Miladinovic

Intervista a Marko Miladinović

Marko, la tua raccolta si chiama Libro massimo di poesia ed effettivamente l’idea di massimo c’è, tant’è che sfogliarne le pagine diventa man mano un’esperienza sempre più frastornante, quasi ubriacante. Quanta tecnica ci vuole per restituire un simile senso di caos? 
Grazie! Per selezionare, circa, due poesie al mese per cinque anni, a farla breve e dire tutto, ci vogliono cento tasche e due antenne lunghe così e così dirsi “Sono o no sempre odioso senza garanzie nato per vedere e mentre rivivo ogni attimo in presenza soavissimamente mi dissolvo”? Libro Massimo Di Poesia è il mio piccolo contributo per il vivere liberamente, per cui non è importante che lo si legga, né è importante una tecnica, non sia il riso, la gioia, il vento e lo schifo.

In Libro massimo di poesia si può notare un cospicuo utilizzo delle arti figurative come strumento metaletterario. Ci racconti come nasce, nella tua opera, questa modalità? 
Si fa ogni giorno un segno e ce ne si accorge (e quel che si scrive vicino al segno lo trasforma immediatamente, provare per credere). Mi hai ricordato – ma non c’azzecca – Marcel Broodthaers che dalla poesia salta all’arte retinale per riuscire a vendere qualcosa, erano gli Anni Sessanta… poesia come un ridicolo e pure senza mercato, in più “doit être faite par tous”; io, al contrario, anche quando mi pensavo artista ero comunque uno di quelli… senza opere; un respirateur; contro il lavoro, sia pure quello creativo (facci caso, agli artisti chiedono sempre i documenti, i diplomi… ai poeti chiedono niente), ma, è soltanto perché unə vive, dunque scrive e fa disegnetti e raccolte poetiche.

Questa raccolta mantiene un registro ironico e surreale fino alla fine, anche nel toccare istanze più intensamente politiche e filosofiche. C’è un ragionamento, dietro questo tuo parlare con leggerezza di temi pesanti? Se sì, di che tipo? 
Le bestemmie non salgono in cielo tanto sono gravi, scendono, perché le suggeriscono gli angeli. Sragiono… L’ironia la disprezzo perché ha sempre ragione. Sono nato in via Karl Marx, ora vivo in via Crocetta… Nessuna politica senza intensificazione del linguaggio, così nessuna poesia, e niente di niente disvelatamente. 

Il poeta Marko Miladinovic
Il poeta Marko Miladinovic

Tu sei noto principalmente per la tua attività di poeta a tutto tondo, video-sonoro-visivo-performativo, musicista con Amiata (popmusik) e curatore del Ticino Poetry Slam. Nel tuo libro si possono ritrovare svariati pezzi che fanno parte anche del tuo repertorio di poeta orale. Esiste una reale differenza tra un testo concepito per il palco e uno che invece va sulla pagina? 
La voce (si cerca sempre la propria – spoiler: non esiste.) è un mistero (di breve durata), la pagina uno più piccolo (di maggiore durata). Versi lunghi per lunghi respiri come nomi di cavalli da corsa, brevi per brevi come nomi di lucertole; differenze fisiologiche. Non ho il gusto del concepimento di un fine (v. ciliegina sulla colpa), non so neppure da che parte cominciare e, tra le altre, ogni distinzione tra prosa e poesia “è inaccettabile”, ma a chi importa, e così anche io “non metto il messaggio nel testo / ma glielo chiedo / è da lui che me lo aspetto” (V. Magrelli cita G. Pontiggia).

Il dover fare riferimento a un pubblico è più un limite o più una risorsa, secondo te? 
Secondo me è più una calunnia: “pronunciare la formula magica di un incantesimo”.

all’aria aperta
voglio vivere così
di amici e di amanti
e non giochi di parole
e non ironia

Maria Oppo

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