Costruire una mostra a misura di bambino. La sfida di una curatrice e un’artista italiana a Seoul 

In mostra al MOKA di Seoul, oltre alle sculture di Camilla Alberti, le opere di quaranta bambini che hanno partecipato ai laboratori insieme all’artista e alla curatrice Sofia Baldi Pighi. Un progetto che unisce arte e pedagogia, intersecando le leggende coreane

Nel folklore coreano, i dokkaebi sono creature capaci di trasformarsi in oggetti quotidiani. Spiriti dagli straordinari poteri, i dokkaebi vivono spesso a contatto con gli esseri umani, giocando loro degli scherzi oppure aiutandoli. Questi mostri sono stati scelti come punto di partenza e come veicolo immaginifico per la mostra di Camilla Alberti (Milano, 1994) allo Hyundai Museum of Kids’ Book & Art di Seoul – intitolata The Spell of Monsters –, ma soprattutto per i progetti pedagogici ad essa legati. Quaranta bambini dai 6 agli 11 anni, infatti, hanno preso parte ai laboratori tenuti da Alberti e dalla curatrice Sofia Baldi Pighi: il risultato è un’esposizione collettiva dei lavori prodotti dai bambini, in dialogo con le sculture di Camilla Alberti grazie ad un allestimento che mette al centro le esigenze e la prospettiva dei più piccoli.  

Camilla Alberti, The Spell of Monsters, a cura di Sofia Baldi Pighi. Courtesy of MOKA, Seoul
Camilla Alberti, The Spell of Monsters, a cura di Sofia Baldi Pighi. Courtesy of MOKA, Seoul

Le opere di Camilla Alberti 

Quella del mostro, dopotutto, è una tematica cardine della pratica della giovane artista milanese: le sue opere consistono infatti nella materializzazione di creature amorfe, nate dall’assemblage di reperti (e rovine) del mondo tanto naturale quanto artificiale. Su scheletri realizzati con bende gessate, si innestano conchiglie, frammenti di ceramiche, ossa, parti metalliche: tutti elementi che risultano da un attento processo di raccolta condotto dall’artista in prima persona, nel rispetto del contesto di ritrovamento e, nel caso, delle forme di vita a cui una volta appartenevano. Una pratica che è anche (e soprattutto) collaborativa, per non dire simbiotica: ad esempio, per pulire nel modo più accurato e meno invasivo possibile le parti crostacee che talvolta spuntano dai suoi mostri, Alberti le posiziona all’aria aperta, lasciando alle vespe (ben contente di nutrirsi) l’arduo compito. In opere più recenti, questa collaborazione artistico-biotica si è arricchita della presenza di licheni vivi, che trovano spazio vitale sulla superficie delle sue sculture. Chi sono questi mostri dall’aspetto spigoloso, indecifrabile e alieno? Nient’altro che abitanti delle rovine del nostro mondo, creature di confine, organiche e inorganiche, vite originate da vite precedenti e concluse. Il mostro appare quindi come la risposta a un pianeta che cambia, in cui l’ibridazione – e qui si riconosce l’influenza degli scritti di Donna Haraway sul lavoro di Alberti – è una via di sopravvivenza e adattamento: un’accezione decisamente costruttiva, che riabilita il mostro da figura temuta e marginalizzata a modello di resilienza e di vita senza vincoli.

Camilla Alberti e Sofia Baldi Pighi davanti a una delle opere di The Spell of Monsters. Courtesy of MOKA, Seoul
Camilla Alberti e Sofia Baldi Pighi davanti a una delle opere di The Spell of Monsters. Courtesy of MOKA, Seoul

Intervista a Camilla Alberti e Sofia Baldi Pighi 

Al momento della nostra intervista, in Italia erano le 17, a Seoul mezzanotte: nonostante l’orario e l’intensa settimana che Camilla Alberti e Sofia Baldi Pighi stavano affrontando (la capitale sudcoreana era nel pieno della settimana della fiera Frieze e loro avevano appena inaugurato la mostra), le loro voci sono squillanti e appassionate. Ecco il loro racconto di The Spell of Monsters e di come i mostri, da esseri temibili, possono diventare amici dei bambini.  

Com’è nato il progetto? 
SBP: Siamo in Corea dal 26 luglio per The Spell of Monsters e non ci siamo mai fermate: la mostra è una ricontestualizzazione, all’interno dello Hyundai MOKA, delle opere che Camilla aveva presentato al Padiglione Italia della Biennale di Gwangju 2023, curato da Valentina Buzzi. Tuttavia, invece di una semplice riproposizione delle sculture in una sede diversa, abbiamo optato per la realizzazione di un progetto didattico-pedagogico, anche per rispondere alla vocazione del museo che ci ospita, dedicato proprio ad avvicinare i bambini all’arte. 

Come si sono svolti i workshop? 
SBP: Abbiamo suddiviso i bambini in quattro classi in base alla loro fascia di età e al numero ideale per la riuscita delle sessioni di laboratorio, ciascuna della durata di quattro ore. Un lasso di tempo non indifferente e piuttosto intenso per i bambini, che abbiamo alleggerito attraverso lo storytelling. 

Ovvero? 
SBP: Alla base ovviamente c’era l’apertura dell’attività di Camilla, solitamente condotta nella solitudine dello studio, rendendo partecipi i bambini, molti dei quali non avevano mai incontrato un artista in carne ed ossa. In secondo luogo, c’è stato il legame che abbiamo trovato con la cultura coreana, ovvero i dokkaebi. Chiaramente tutti i bambini conoscevano queste creature magiche e mostruose e ci ha permesso di avvicinare maggiormente le opere al nostro piccolo pubblico. Inoltre, proprio per la loro caratteristica di generarsi a partire da oggetti quotidiani artificiali o naturali, i dokkaebi richiamano da vicino l’estetica e il processo costitutivo delle sculture di Camilla: mostri non da temere ma di cui essere alleati e amici, anche per combattere la crisi climatica.
CA: Esatto, volevamo veicolare ai bambini concetti anche complicati, come il cambiamento climatico, l’interrelazione tra le specie, l’ibridazione, tutto grazie all’espediente narrativo dei dokkaebi che appunto è servito come terreno comune. 

Camilla Alberti, The Spell of Monsters, a cura di Sofia Baldi Pighi. Courtesy of MOKA, Seoul
Camilla Alberti, The Spell of Monsters, a cura di Sofia Baldi Pighi. Courtesy of MOKA, Seoul

I laboratori pedagogici a partire dalle opere di Camilla Alberti 

Quali sono state le fasi dei laboratori? 
CA: Ogni workshop era suddiviso in quattro fasi. Nella prima, i bambini entravano in contatto con la mia installazione (intitolata Learning in Disbinding) e l’idea era quella di attivare il loro senso di scoperta. Quindi il primo esercizio che affrontavano era quello di prendere appunti (in un modo, se vogliamo, “artistico” e dunque lontano dagli appunti accademici) su quello che vedevano, anche cambiando spesso prospettiva. Tu conosci bene le mie sculture e sai che possiedono una struttura decentralizzata, quindi priva di fronte o retro, che agevola questo tipo di approccio. 
SBP: L’obiettivo era stimolare l’osservazione dei bambini cercando di decostruire il classico punto di vista centralizzato della mostra e incoraggiando punti di vista, anche posturali, differenti. Anche giocando sul naturale senso di curiosità che le sculture di Camilla generano nello spettatore. 

Effettivamente mi è facile comprendere come le opere di Camilla possano attivare l’immaginazione dei bambini… 
SBP: Sì, infatti il gioco è stato uno dei fattori principali nel nostro processo. I bambini quando giocano sono seri, ed è proprio questa serietà a far sì che si possano costruire immaginari e creare mondi con rigore e coerenza.  

Come proseguivano i laboratori? 
CA: La seconda fase verteva su un’attività maggiormente pratica, guidata da me. Abbiamo disposto tre postazioni (che abbiamo chiamato “isole”), corrispondenti alle fasi della produzione delle opere. Nella prima i bambini dovevano scegliere uno fra tre materiali (argilla, bende gessate o cellulosa) per costruire la struttura portante del proprio mostro. La seconda isola conteneva delle “rovine” che io e Sofia abbiamo raccolto nella prima settimana della nostra permanenza qui a Seoul e che i bambini potevano scegliere per caratterizzare i loro mostri, definendone area di provenienza, relazione con l’ambiente antropico e poteri. 
SBP: È interessante il fatto che questi elementi, frutto della perlustrazione dello spazio urbano e naturale, sono una testimonianza sempre diversa del luogo in cui Camilla si trova a lavorare. In questo caso, le rovine che abbiamo collezionato includevano moltissimo materiale elettronico e tecnologico che, vittima della sua stessa obsolescenza, diventava scarto e dunque perfetto per la creazione dei mostri. 
CA: La terza isola era quella dei pigmenti, con cui i bambini potevano colorare il proprio mostro: nel dettaglio erano rosso (ossido di ferro), nero (polvere di carbone) e verde (foglie di gelso essiccate e macinate). Questo si collega fortemente con il mio lavoro e soprattutto con la mia ultima ricerca, in cui sto cercando di creare dei biomateriali e delle paste modellabili partendo dalle rovine che ho sempre raccolto. Dunque, invece di renderle riconoscibili sulla superficie delle sculture, sono trasformate e integrate nella materia stessa che costituisce la struttura e il “corpo” del mostro.  

La mostra collettiva con le creazioni dei bambini al MOKA di Seoul 

Una volta ultimati i mostri, cosa è successo? 
SBP: A livello di struttura narrativa, a noi interessava giocare sull’esercizio dell’immaginazione e del pensiero divergente; quindi, era sostanzialmente impedito di realizzare mostri che avessero particolari connessioni con l’immaginario letterario, televisivo, videoludico già esistente. Ai bambini era quindi chiesto di accompagnare la produzione del proprio mostro con una narrazione teorica, che dotasse la creatura di un’identità, una storia, un habitat. Nel momento finale del laboratorio, ciascun bambino presentava il mostro da lui creato ai suoi colleghi, per esercitare anche la capacità di esposizione in pubblico e di narrazione. 

E poi i mostri sono rimasti al museo… 
SBP: Esatto, puoi immaginare come ogni bambino volesse portarsi a casa la propria creazione… Però gli abbiamo chiesto questo ultimo atto di fiducia, che hanno accolto, permettendoci di esporre i dokkaebi insieme alle opere di Camilla.  

Con un allestimento a misura di bambino. Quanto è stata importante questa scelta per la coerenza del progetto? 
SBP: È stata essenziale, perché fino all’ultimo ci ha permesso di proseguire con l’idea iniziale di cambiare prospettiva. L’esposizione, quindi, è stata proprio pensata per agevolare l’esperienza di visita dei più piccoli e quindi necessariamente sfidare quella degli adulti, che si trovano costretti a piegarsi e assumere posizioni scomode per apprezzare appieno la mostra.  
CA: Questo risponde anche alla mission del museo stesso, che è pensato per i bambini in tutto, dalla costruzione degli spazi al programma espositivo e didattico. C’è anche una libreria bellissima ma estremamente bassa, con luoghi che solo i bambini possono raggiungere. Il set up della mostra è stato molto sfidante per questo motivo, ma era di primaria importanza per noi avvicinarsi ai bambini anche nell’allestimento. 

Alberto Villa 

Seoul // fino al 29 settembre 
Camilla Alberti 
The Spell of Monsters 
A cura di Sofia Baldi Pighi 
HYUNDAI MUSEUM OF KIDS’ BOOK & ART 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di arte contemporanea scrivendo per magazine di settore e curando mostre. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di…

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