Aspettando la Grande Brera. Cinque capolavori milanesi esposti al Palazzo Reale di Palermo

Da alcuni depositi esterni, fra storie di spostamenti e ritrovamenti, cinque opere della Pinacoteca di Brera giungono in Sicilia, connettendosi alle origini di uno stile neoclassico impostosi a livello internazionale. A Palermo si sigla così un importante accordo tra istituzioni culturali.

Giungono tra gli appartamenti reali di Palazzo dei Normanni, a Palermo, abitandoli con grazia e naturalezza, quasi fossero lì da sempre: sono cinque candide statue d’ispirazione neoclassica, realizzate tra gli inizi e la metà dell’Ottocento, condotte in Sicilia da Milano grazie ad un accordo tra la Fondazione Federico II, che nel monumentale edificio ha sede, e la Pinacoteca di Brera, da cui le opere provengono. Una collaborazione che pare si svilupperà lungo l’asse Sicilia-Lombardia con diverse iniziative (ad oggi non rese note) e che prende il via con questo ideale viaggio nel tempo, intrecciando pagine di storia ed evoluzioni future: all’orizzonte c’è l’attesissima Grande Brera, il progetto di ampliamento della pinacoteca milanese, che interessa gli spazi di Palazzo Citterio e che il prossimo 7 dicembre vedrà finalmente la luce.

La Cappella palatina a Palazzo dei Normanni, Palermo
La Cappella palatina a Palazzo dei Normanni, Palermo

Palazzo dei Normanni accoglie le opere di Brera


Cornice prestigiosa, quella del millenario palazzo palermitano, frutto di una trama di contaminazioni e stratificazioni architettoniche, artistiche, politiche, culturali: in origine fortificazione fenicia, con successivi passaggi punici, greci e romani, diventava sotto il dominio arabo il “Qasr”, dimora degli emiri, per poi trovare immenso lustro con i Normanni, come casa imperiale: Ruggero II vi costruì quell’incredibile scrigno sincretico che è la Cappella Palatina, mentre Federico II ne fece cenacolo dei poeti della Scuola Siciliana e centro di intersezione fra la tradizione classica, la cultura araba e quella bizantina. Ma la lunga serie di modifiche e ampliamenti prosegui nei secoli, con un momento di particolare rigoglio nella seconda metà del Cinquecento, quando il palazzo fu residenza dei viceré spagnoli, e poi di nuovo tra Settecento e Ottocento, sotto il dominio dei Borbone. Dal 1947 è sede del Parlamento siciliano, il più antico d’Europa.
In questo contesto si inserisce La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra, progetto semplice quanto efficace, messo a punto come strategia di valorizzazione e di comunicazione, in vista dell’importante traguardo.

"La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra". Palazzo dei Normanni, Palermo, 2024
“La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra”. Palazzo Reale, Palermo 2024

Canova e gli altri. A Palermo, tra echi classici e fasti dell’800

Le sculture di Antonio Canova, simbolo del Neoclassicismo italiano, e di Giovanni Pandiani, Pietro Magni, Giovanni Spertini, esponenti del circuito neoclassico lombardo, a cavallo con il primo Realismo, trovano dunque posto in tre delle opulente stanze impreziosite da arredi, affreschi, mosaici e dipinti d’epoca, nel contrasto tra l’oro dei decori, lo sfavillio delle tavolozze cromatiche, la preziosità di marmi, broccati, velluti, e il bianco immacolato dei corpi finemente scolpiti, immersi in una luce ideale, qui religiosa, lì mitologica, oppure delicatamente mimetica, tra pathos, intimità e lirismo.
Lo storytelling costruito intorno ai cinque capolavori funziona, certamente per la grande bellezza consegnata ai visitatori, nonché per l’attenzione all’identità delle sculture stesse, chiamate a ridestare memorie e solleticare significati, immagini, suggestioni. Valorizzare significa allora, in questo caso, inventare nuove destinazioni per opere preziose, tirate fuori dai depositi dopo un secolo e condivise lungo rotte storico-geografiche così vicine, così lontane. La Sicilia, che fu florido centro della Magna Grecia, diventa teatro perfetto per questa rievocazione di sensibilità ottocentesche, di cui gli stessi ambienti principeschi sono intrisi. Le cinque statue muliebri compiono una traversata verso le proprie radici stilistiche e culturali, un tuffo nell’incanto delle origini, riconnettendosi a quell’eredità ellenistica che i maestri della modernità riscoprirono e coltivarono: dal trionfo della purezza plastica e dell’armonia razionale ai costanti riferimenti alla natura e al mito, e poi via via la passione per le rovine, l’estetica del frammento e del reperto, il richiamo a un passato immaginato, studiato, interpretato e tramutato in nuovo codice linguistico. L’antico come misura, aurora, nutrimento, incantesimo che ritorna.

Antonio Canova, "Maddalena penitente", 1809, calco in gesso, particolare - "La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra". Palazzo del Normanni, Palermo, 2024
Antonio Canova, “Maddalena penitente”, 1809 – “La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra”. Palazzo Reale, Palermo 2024

Due opere di Antonio Canova al Palazzo Reale di Palermo

Ad aprire il percorso è una Maddalena penitente in gesso del Canova, collocata nella Sala dei Venti che si affaccia sulla strepitosa stanza musiva intitolata a Re Ruggero. Qui sorgeva la Cappella di Santa Maria Superiore, edificata nel 1071, convertita ad uso profano nel 1520 e nel 1713 scoperchiata, per volere di Vittorio Amedeo II di Savoia, che fece inserire al centro della volta lignea il disegno della Rosa dei Venti. La delicata creatura canoviana, in ginocchio, col capo chino e le lunghe chiome sulle spalle, è una piccola massa pesante ripiegata su sé stessa, abbandonata al dolore della penitenza, ed è insieme immagine di levità, grazia, redenzione, corpo dolente sul punto di farsi luce, nell’eleganza delle morbide membra e nello slancio spirituale che la avvicina a Cristo e alla sua parola.
In fondo, in cima alla scalinata che dà sull’anticamera degli uffici di Presidenza dell’ARS (l’Assemblea Regionale Siciliana), è invece inserito il busto marmoreo di una Vestale (1818), altra opera del Canova realizzata su commissione per il banchiere milanese Luigi Uboldi. L’ovale del viso è incorniciato da un velo, le cui pieghe sono restituite con magistrale esattezza, mentre i lineamenti finissimi, come lo sguardo assorto e vagamente malinconico, cristallizzano la giovane figura nell’imprendibile espressione di fermezza e dolcezza. Alle spalle giganteggia una tela di scuola caravaggesca, La negazione di Pietro (1613) del fiorentino Filippo Paladini: il busto neoclassico diventa qui un bagliore tridimensionale, che emerge dal nero profondo e dall’ocra pastoso del dipinto.

Antonio Canova, "Vestale", 1818-19, marmo - "La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra". Palazzo del Normanni, Palermo, 2024
Antonio Canova, “Vestale”, 1818-19 – “La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra”, Palazzo Reale, Palermo 2024

Dal Neoclassicismo al Realismo

Testimoniano il transito dalla sensibilità spiccatamente neoclassica verso l’incipiente accademismo di stampo realista le due sculture di Magni e Spertini, La leggitrice (1864) e La scrittrice (1866), al centro della celebre Sala dei Viceré, che prende il nome dai 21 ritratti su tela di viceré, luogotenenti e presidenti del regno dei Borbone di Sicilia. La prima, a piedi scalzi, con una lunga veste indosso, è immortalata nel tempo lento della lettura e nella riservatezza di uno spazio domestico, perduta tra le pagine del libro e intitolata alla verità di un quotidiano che supera lo spazio dell’allegoria in favore della narrazione. La seduzione del particolare arriva a spodestare il potere dell’universale. Stesso approccio per l’opera di Spertini, in cui sopravvive la ricercata eleganza di derivazione neoclassica, trasfusa nella sostanza minuta e puntuale del reale. Dalle ciocche di capelli agli intarsi del tavolino, passando per il panneggio dell’abito, sono evidenti il gusto per il cesello e un’aderenza al vero che apriva già a una nuova maniera di intendere la rappresentazione.


Infine, un misto di sensualità e ingenuità nel ritratto di Pandiani Egle al fonte (1846), graziosa fanciulla desnuda, dalle movenze gentili, colta nella purezza di un contesto bucolico e valorizzata dal dialogo perfetto con i decori parietali della Galleria Pompeiana, voluta da Leopoldo di Borbone, luogotenente di Sicilia dal 1830 al 1835. L’imperante stile neoclassico della sala traeva spunto dai recenti scavi di Ercolano e Pompei, ripresi nelle raffigurazioni a tema mitologico che Giuseppe Patania realizzò su fondo verde-azzurro. Rannicchiata su un fianco e restituita con precisione anatomica, l’immagine vive nella schiettezza dell’istante sottratto al tempo, mentre il corpo si ritrae lievemente e il capo si volta rapido, in direzione opposta a quelle delle gambe.  Esposta nel 1846, l’opera in marmo venne ripresa da Pandiani per un gruppo scultoreo dal titolo “Iri ed Egle”, come testimoniato dall’incisione di Domenico Gandini inserita nel “XVII Album Esposizione di Belle Arti in Milano e Venezia” (ediz. Canadelli, Milano1855). La statua di Iri, benché ne resti traccia su un catalogo museale, non è stata attualmente ritrovata.

Le Stele Mellerio del Canova
Le Stele Mellerio del Canova

La storia di due stele funebri del Canova conservate a Palermo

Ma il viaggio incontro alle radici segue una direzione doppia e doppiamente significativa: tornano nella Sicilia archeologica, dei Grand Tour e dei reperti classici, le cinque statue di Brera, figlie di un medio-tardo Neoclassicismo; e nel mentre si connettono, in un immaginario dialogo, con altre opere coeve che Palermo custodisce tra chiese e palazzi nobiliari, a testimoniare la qualità della produzione locale, ma non solo. Vengono in mente le molte opere scultoree di Valerio Villareale, maestro del Neoclassicismo palermitano, abile interprete di temi mitologici, civili e religiosi: tra queste la Baccante che danza e Arianna Abbandonata, entrambe del 1838, conservate delle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Palermo. E non si possono non citare le due meravigliose Stele Mellerio di Antonio Canova, commissionate allo scultore dal conte Giacomo Mellerio in memoria dello zio Giovanni Battista e della moglie Elisabetta Castelbarco. Canova le ultimò nel 1814, per inviarle presso la Villa del conte, a Gerno, in provincia di Monza e Brianza, dove furono collocate nella cappella di famiglia. Quando, tra il 1962 e il 1975, la dimora di Mellerio, detta il “Gernetto”, venne acquistata dal Credito Italiano, le stele furono rimosse e presto sparirono dai radar. Tre anni dopo vennero rintracciate alla dogana dalla Soprintendenza regionale ai Beni Storici e Artistici di Palermo, mentre stavano per varcare il confine in direzione della Germania. La Regione siciliana le acquisì e tutt’oggi trovano posto nel museo di Palazzo Ajutamicristo, sede della Soprintendenza.  
Interessante sarebbe stato costruire un progetto scientifico ed espositivo di ampio respiro, mettendo in dialogo diretto capolavori selezionati dalle originarie collezioni di Brera e un nucleo di beni legati alla stagione neoclassica e al primo realismo in Sicilia, tra collezioni permanenti e depositi museali, a partire proprio dalle due perle palermitane del Canova. Questa prima occasione di scambio potrebbe in tal senso funzionare da apripista, in vista di ulteriori e più articolate occasioni di ricerca e valorizzazione.

Giovanni Pandiani, "Egle al fonte", 1846, marmo - "La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra". Palazzo dei Normanni, Palermo, 2024
Giovanni Pandiani, “Egle al fonte”, 1846, marmo – “La Grande Brera al Palazzo Reale di Palermo. La seduzione del classico in mostra”. Palazzo dei Normanni, Palermo, 2024

Il ritorno a Brera

Intanto, dopo questo soggiorno al Sud, il senso del ritorno si tradurrà per le statue milanesi in un ultimo e ulteriore approdo, a un secolo dallo spostamento che ne segnò il destino. Le opere furono infatti espunte dalle collezioni della Pinacoteca di Brera, tra il 1897 e il 1902, nell’ambito di una complessa ridefinizione degli istituti museali cittadini, venendo assegnate ai nascenti Musei civici, prima al Castello Sforzesco, poi alla Galleria d’Arte Moderna. Ed è dalle stanze chiuse di quest’ultima che giungono oggi a Palermo, preparandosi a tornare a Brera il prossimo dicembre, ricollocate tra la Pinacoteca e i nuovi spazi di Palazzo Citterio: grazie ad un accordo con la Gam di Milano, La maddalena penitente, la Vestale, La Leggitrice, la Scrittrice ed Egle al fonte escono dall’ombra definitivamente e ritrovano, dopo una gita fuoriporta, la strada di casa. Qui rimarranno stabilmente, con le loro mille storie e stratificate memorie, pronte ad incrociare milioni di sguardi e a ritrovarvi linfa nuova, tra la luce della storia e la trama aperta del presente.

Helga Marsala




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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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