Al Museo delle Culture di Milano c’è un’artista che fa le sculture di pane
Parliamo dell’artista e attivista LGBTQ+ La Chola Poblete, in mostra al MUDEC come Artist of the Year 2023. Per l’occasione, ha impastato e cotto alcune sue opere nel panificio milanese di Davide Longoni. I retroscena
Nella natura, nella vita dell’essere umano, tutto si trasforma, ed è impossibile controllare il processo fino in fondo. Lo stesso avviene anche nel pane: quando si utilizza il lievito madre, non ci sono certezze sul risultato. Così tante sono le variabili in gioco – a partire dal lievito stesso, fatto di una popolazione sempre diversa di microorganismi viventi – che l’impasto risulta imprevedibile. È questo ciò che affascina della panificazione l’artista argentina La Chola Poblete. A tal punto da aver deciso di usare lei stessa la pasta di pane per alcune sue creazioni. Si tratta di sculture parte del progetto Guaymallén, visitabile questo autunno 2024 a Milano, in occasione della mostra che il MUDEC le dedica in quanto vincitrice del premio Deutsche Bank Artist of the Year. Per realizzarle, La Chola Poblete ha coinvolto uno dei più innovativi panifici della città: quello di Davide Longoni. Ecco tutto il retroscena delle opere in esposizione al museo.
La Chola Poblete: un’artista legata alla terra e al suo popolo
Prima di scoprire il processo creativo dietro alle sculture di pane, è interessante conoscere qualcosa di più sull’artista con cui abbiamo a che fare. La Chola Poblete (Mendoza, 1989) è stata nominata Artist of the Year 2023 – riconoscimento assegnato da Deutsche Bank ai giovani artisti capaci di parlare in modo originale alla contemporaneità di tematiche sociali – per la sua pratica che dà voce alla tradizione del suo Paese, segnato dal colonialismo e dalla supremazia bianca. Artista, performer e attivista LGBTQ+, ha scelto il suo nome, La Chola, rifacendosi a un termine (quasi un insulto) tipico del linguaggio popolare di Mendoza. Si tratta dell’appellativo con cui viene chiamata la gente che suda e fatica nei campi: un’accezione che la unisce alla terra andina a cui si sente molto legata. Tutta la sua arte esprime tale vicinanza, dimostrata anche con il sostegno all’attivismo indigeno, e alla comunità delle donne locali.
Il significato delle sculture di pane di La Chola Poblete in mostra a Milano
Tra le pratiche artistiche esplorate da La Chola Poblete ci sono vari aspetti legati al cibo e alle tradizioni della cucina sudamericana: aglio, patate, e soprattutto pane. Con quest’ultimo, l’autrice ha un’affinità particolare. Sposa la similitudine del gesto creativo – mai del tutto dominabile – che accomuna artista e panificatore. Di più: è affascinata dal procedimento che trasforma l’impasto lievitato in pagnotta mediante la cottura in forno. Come ha raccontato in un’intervista in occasione della sua recente mostra a Berlino, il pane è un “materiale che ha vita propria e si trasforma in qualcos’altro”. È qualcosa di analogo all’entità del corpo umano, quale essere in continua evoluzione e mutamento.
Il processo produttivo delle sculture di pane
I primi esperimenti di panificazione scultorea di La Chola risalgono ad ancora prima della Pandemia, quando cominciò a modellare l’impasto ispirata da quel gesto performativo così imprevedibile. Per realizzare, ad esempio, una maschera, pone innanzitutto una rete metallica nello stampo, in cui stende poi la pasta per dare forma al volto. Il vero cuore del processo è però la cottura: è con l’intervento del calore e delle alte temperature, che l’impasto crudo lievita, si trasforma. Muta in forma, consistenza e colore.
E la vita della creazione non è ancora finita: “se la lascio in un luogo umido, darà origine a sua volta a un nuovo mondo di funghi e di vita. È un processo che si allinea alla mia idea di corpo – quale entità dinamica e in continua evoluzione”.
La collaborazione con Davide Longoni
In occasione della mostra al MUDEC di Milano, l’artista ha voluto arricchire la collezione di opere in esposizione con una serie speciale. Sculture antropomorfe di pasta di pane, impastate e cotte presso uno dei più importanti e particolari panifici cittadini. Il sopra citato Davide Longoni. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un panificio molto diverso dalla solita panetteria. È piuttosto un hub sperimentale, in cui alla panificazione – esclusivamente con lievito madre e farine bio e rustiche – si uniscono la pasticceria, il caffè, le birre artigianali, e persino musica, editoria e cultura. Con i suoi numerosi punti vendita a Milano, è una realtà dinamica, e innovativa, che sta rivoluzionando l’idea di pane, recuperando e rileggendo la tradizione in modo contemporaneo. Così Davide Longoni lo presenta: “il mio pane è un prodotto agricolo, che nasce coi cereali sui campi e viene poi immerso nel tessuto sociale urbano. Per questo motivo, quando penso al pane penso a un simbolo di rigenerazione di luoghi che possono tornare a vivere e a produrre, penso al racconto di persone che vivono una profonda connessione con i loro territori. Il pane, lo faccio soprattutto fuori dal laboratorio”.
Con questa premessa, si può comprendere la vicinanza e la condivisione di visioni tra il panificio e l’artista, che ha richiesto personalmente di instaurare questa collaborazione così singolare. Nei giorni precedenti l’inaugurazione dell’esposizione al MUDEC, si è recata nel laboratorio di panificazione di Longoni, per realizzare, insieme al team in cucina, tutte le maschere e le sculture antropomorfe esposte in mostra. Così facendo, il lievito madre con cui ogni giorno vengono sfornate le pagnotte e diventato l’ingrediente chiave dell’imprevedibilità delle opere di pane esposte.
Le maschere di pane di La Chola Poblete al MUDEC di Milano
Le opere di pasta di pane di La Chola prescindono dai significati sacri e religiosi che spesso gli sono attribuiti – si pensi alla tradizione cristiana – per riflettere piuttosto sull’idea di mutamento e di fluidità di identità. Le sculture antropomorfe, lievitate in modo imprevedibile diventano un pretesto per esprimere il concetto di varietà di genere: un insieme senza un numero di possibilità definito. Lo si vede bene nella Venere presente in mostra – una citazione delle “Veneri anatomiche” di cera dalle viscere evidenti – che si apre letteralmente alla trasformazione e alla fluidità.
Uno dei temi del progetto Guaymallén è il camouflage: l’idea di assenza di definizione e di mutamento è dunque fil rouge di tutta la mostra. Le maschere di pane – di cui sono esposti ovunque vari esemplari – assumono il ruolo specifico di entità dietro le quali si possono celare diverse identità, che non si possono controllare. Proprio come la materia di cui sono costituite.
Emma Sedini
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