Kelly Akashi a Milano: la nuova scoperta di Fondazione Furla in prima assoluta in Italia
Un’artista giapponese dall’incredibile sensibilità, che costruisce un continuo gioco di riflessi con l’ambiente sfarzoso e le opere della GAM milanese. Ecco tutti i dettagli della sua mostra per Furla Series 2024
Una sola parola: riflessione. Un unico termine che raccoglie e sintetizza l’esperienza di visita della prima grande mostra in un museo in Italia di Kelly Akashi (Los Angeles, 1984). Artista americana, di origini giapponesi, che unisce il linguaggio contemporaneo al sapiente uso e alla conoscenza dei materiali. Concetto, minimalismo (ma con un certo piacere nella resa ornamentale), forma e grande attenzione al processo. Questa è la pratica che caratterizza il suo lavoro, orientato a riflettere sul tempo, sulla transitorietà della vita e sull’impermanenza del mondo naturale. Ciò che si trasforma la affascina.
La profondità della ricerca di Kelly Akashi è il primo motivo che giustifica la parola riflessione anzidetta. La mostra che la vede protagonista dell’edizione 2024 di Furla Series – progetto dell’omonima Fondazione a sostegno dell’arte al femminile – è un continuo stimolo al pensiero. La seconda ragione è strettamente legata al dialogo opere-contesto. Parliamo della Galleria di Arte Moderna di Milano, in cui l’artista ha inserito le sue sculture cheriflettono il palazzo e la sua collezione tanto nei soggetti, quanto sulla mera superficie.
Per punti
Tempo, riflessi e natura nell’opera di Kelly Akashi
Converging figures – nome dell’opera che apre la rassegna e al contempo titolo della mostra – è il sunto ideale per cogliere a pieno la poetica di Akashi. Tutto in essa ruota attorno (giusto a proposito) alla riflessione. Sopra un tavolo composto da due triangoli sfasati e speculari, tale concetto è sviluppato con tecniche e materiali diversi. Sfere e corpi di cristallo o di marmo colorato invitano l’osservatore a specchiarsi, avvicinandosi all’opera e diventandone parte integrante. A comporre le sculture ci sono anche elementi organici: ramaglie secche, che paiono dare forma alle corrispondenti visibili in un dipinto vicino, corde e persino bozzoli di seta. E non mancano altri due capisaldi del vocabolario di Akashi. Le candele – emblema di transitorietà – e le mani. Le sue: quelle di un’artista che evolve ed invecchia come ogni umano. L’artefice si fa dunque a sua volta artefatto.
La mostra di Kelly Akashi alla GAM di Milano
A partire da Converging Figures, l’esposizione di Kelly Akashi si snoda lungo buona parte del Primo Piano della Galleria. Ogni sala è un invito a fare attenzione, oltre che ai maestosi dipinti e alle sculture della Collezione Permanente, alle curiose presenze “intruse”. Spesso così timide e ben inserite nel contesto, da passare per parte integrante della Villa Reale che le ospita.
Merletti, mani e margherite
Tra le prime opere di Kelly Akashi che si incontrano passeggiando negli ambienti del Museo, ci sono due mani bronzee, su cui poggia un delicato merletto bianco. Siamo nella sala dedicata a Francesco Hayez, qui chiamato in un dialogo inter-temporale con l’artista. Sulla parete, il Ritratto della contessa Antonietta Negroni Prati Morosini, che la immortala nel suo abito azzurro, dalle maniche che sbuffano di pizzo vaporoso. Sul caminetto, la scultura appena detta: le mani di Akashi, che rileggono il dipinto di fine ‘800 a partire dal dettaglio merlettato.
Poco dopo, si incontra un gruppo di vasi di vetro colorato, dalla forma curiosamente ispirata ai cosiddetti lacrimatoi: recipienti ritrovati nelle tombe romane e cristiane, che si credevano destinati a contenere le lacrime di coloro che piangevano i defunti. Nella stessa stanza, uno dei pezzi forse più iconici del corpus espositivo: Daisy Oracle for weeping. Una scultura di vetro verde, sormontata da una margherita bianca in borosilicato, di cui qualche petalo è sparso sul ripiano su cui poggia. È il riflesso del gruppo marmoreo del Faust e Margherita di Antonio Tantardini. La margherita, unita ai lacrimatoi, esprime desiderio e dolore. Le stesse emozioni riscontrabili nella scultura ottocentesca.
Candele fermate nel tempo e ghirlande di fiori
La transitorietà della cera che fonde, rubata allo scorrere del tempo. Sono le candele che Akashi ha disperso qua e là sui ripiani marmorei della Villa. Di tanto in tanto, ne compare una. Di bronzo o cristallo che siano, tutte bloccano il loro scioglimento in un istante.
Proseguendo, si nota (domandandosi quasi se sia parte della Collezione o meno) una lunga ghirlanda di fiori bianchi di cristallo, chiusi in una teca di vetro. È ancora una volta opera dell’artista giapponese, che per farla si ispirata alle architetture della Sala del Parnaso.
I fiori da ballo e gli specchi
Giunti nel maestoso Salone da Ballo, ecco fare capolino al centro una serie di sculture, scintillanti al sole che filtra dalle finestre. Sono enormi fiori, dal gambo arrotolato a spirale – motivo molto amato da Akashi per il rimando alla ciclicità della vita – che paiono danzare. Incredibili i paralleli tra le forme dei petali e gli intarsi floreali del pavimento, a loro volta ripresi sui cassettoni del soffitto. Il gioco di riflessi è reciproco e continuo.
L’ultimo atto dell’esposizione si concentra sugli specchi, il cui effetto è ottenuto con superfici e materiali differenti. Emblematico è il blocco di marmo nero, scolpito a formare una conca spiraliforme. In essa, il liquido di cui è stata riempita ricorda come lo “specchio primordiale” fosse proprio l’acqua. A concludere il percorso c’è però un’opera più strutturata: Mirror Complex. Il tema è il medesimo, ma viene declinato con molteplici elementi – tutti riflettenti – sistemati tra le scaffalature di un cabinet di legno.
L’installazione, al centro della grande Sala del Parnaso, sorprende ancora una volta per la simbiosi con la cornice con cui dialoga in modo perfetto, unendo il passato al tempo presente.
Emma Sedini
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