L’India non ha una biennale? Ora sì, in Kerala
Siamo andati fino a Kochi, nel sud dell’India, per vedere cosa propone la prima biennale del subcontinente. Eh sì, perché uno dei mercati emergenti più attivi al mondo ancora non ne aveva una. E per ora si limita a una presenza quasi esclusivamente locale. Il che non è necessariamente un male.
“L’arte porta gioia alla nostra esistenza” è molto di più di una frase a effetto, inserita nel manifesto web della prima Biennale di Kochi-Muziris, nell’India del sud. È sufficiente superare la soglia del cancello in ferro battuto dell’Aspinwall a Fort Kochi, l’edificio costruito dall’omonima società inglese dedita all’export – tra le sedi della manifestazione in corso nello stato indiano del Kerala – per capire come “gioia” sia una sensazione palpabile e non solo una keyword in una lista di intenti.
Che c’è la Biennale, la prima Biennale della storia dell’India, tutti lo sanno, tutti lo dichiarano e grandi manifesti di benvenuto lo ricordano ai varchi di ingresso della città. L’area dell’Aspinwall, seppur con le ovvie differenze climatiche e di stile architettonico, porta immediatamente alla mente i Giardini della Biennale di Venezia, grazie alla presenza di cortili, alberi centenari e al grande affaccio sul canale, popolato, come un tempo, di imbarcazioni per il trasporto di merci e delle caratteristiche reti da pesca cinesi.
È qui che vanno in scena artisti – prevalentemente locali – accanto a scene di festosa umanità: dalla location ai visitatori, dall’odore delle spezie impiegate in alcune opere alla segnaletica, tutto concorre ad arricchire l’evento di una genuina autenticità.
Sebbene gli obiettivi della manifestazione siano dichiarati apertamente e non c’è dubbio sulla volontà del governo locale e centrale di puntare anche all’arte contemporanea per lo sviluppo – non solo turistico – del Paese, è impossibile non rilevare una “gioia” diffusa, ormai marginale o estranea negli omologhi internazionali. E così una donna con il sari si dondola su un’altalena tenendo d’occhio i figli che raggiungono il nido-installazione Erase di Srinivasa Prasad, facendo a gara per salire sui sacchi di terra che lo separano da terra, mentre decine di visitatori di tutte le età accedono a quelle che un tempo erano aree di stoccaggio, uffici e depositi della compagnia inglese, mettendosi alla prova con la Soundtracks-Kochi, la mixed media installation dello scozzese Dylan Martorell, tra i più apprezzati tra i presenti. E ancora, azioni di live painting riescono a tenere inchiodati di fronte a muri in evoluzione cromatica gruppi di adolescenti in maniche di camicia.
E, tra i banner ancora da montare e le squadre di pulizie armate di scopini in paglia, non manca neppure qualche capretta nei pressi della biglietteria. Ma della loro presenza siamo solo noi occidentali a stupirci.
Valentina Silvestrini
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