Aperto il primo museo al mondo dedicato all’arte e alla cultura Sufi. Reportage da Parigi
Noto come la corrente mistica dell’Islam, il Sufismo e la sua arte sono i protagonisti del nuovo museo MACS MTO nel sobborgo parigino di Chatou. Si parte con una mostra che mette in dialogo i manufatti e le tradizioni Sufi con l’arte contemporanea internazionale
“Non potevamo desiderare luogo migliore per dare vita a un luogo che racconti i valori introspettivi e meditativi del Sufismo”. Così risponde Alexandra Baudelot – direttrice e curatrice del Musée d’Art et de Culture Soufis MTO – quando le chiediamo perché scegliere proprio il tranquillo sobborgo di Chatou (giusto 25 minuti con i mezzi pubblici dal ben più trafficato centro di Parigi) per fondare il primo museo al mondo sull’arte e la cultura Sufi. A ospitare il MACS MTO è un edificio dall’architettura ottocentesca francesissima (primo sintomo della volontà di dialogo interculturale del nuovo museo), affacciato sulla Senna e sulla celebre Île des Impressionnistes.
Cos’è il Sufismo
Il Sufismo è noto come la corrente mistica dell’Islam ma, come il museo stesso dimostra, è anche molto di più. Chi segue i precetti Sufi, infatti, è in realtà partecipe di un percorso o di un metodo volto a raggiungere la consapevolezza di sé, che equivale a un’intima relazione con Dio. Questa corrente, del tutto assimilabile a una filosofia religiosa, ha contribuito alla storia dell’arte e dell’artigianato islamico in modo consistente. Proprio per questo motivo, si sentiva la necessità di creare un museo che lo testimoniasse, su iniziativa del MTO (Maktab Tarighat Oveyssi Shahmaghsoudi School of Islamic Soufism), un’organizzazione non profit internazionale che insegna i principi Sufi di amore, unità e armonia a oltre un milione di studenti.
MACS MTO: dove la cultura Sufi incontra l’arte contemporanea
A inaugurare il museo, una mostra distribuita sui tre piani espositivi e intitolata Un Ciel intérieur: i manufatti Sufi della collezione permanente dialogano con le opere di sette artisti contemporanei, differenti per età, provenienza geografica e tecnica. Il percorso comincia al piano rialzato, dove una stanza accoglie quello che possiamo definire un albero genealogico della cultura Sufi: a partire da Allah e passando poi attraverso il poeta Maometto (e quindi dal Corano, di cui è presente in mostra una preziosa e affascinante copia), viene messa in evidenza la successione dei diversi maestri del Sufismo nel corso dei secoli. Una rappresentazione importante, che rende esplicite le profonde radici di questa cultura. Appena oltre si incontra uno dei manufatti più caratteristici del Sufismo: un’installazione, infatti, espone diversi esemplari dei cosiddetti kashkūl, contenitori realizzati con noci di cocco di mare decorate, tradizionalmente utilizzati dai Sufi (e in particolare, dagli asceti di questa corrente, ben noti col nome di “dervisci”). Proprio a questi manufatti si ispirano i dipinti della tailandese Pinaree Sanpitak (Bangkok, 1961), il cui colore dominante (il rosso) riecheggia gli abiti dei dervisci. Alle geometrie decorative e architettoniche islamiche – e soprattutto a quelle della moschea Shah-Cheragh a Shiraz – sono ispirati i disegni e i mosaici specchianti dell’iraniana Monir Shahroudy Farmanfarmaian (Qazvin, 1922 – Teheran, 2019), mentre Seffa Klein (Phoenix, 1996), nipote del celebre Yves Klein, utilizza il metallo ossidato come pigmento per dipinti infusi delle atmosfere meditative e introspettive della cultura Sufi.
La storia del Sufismo al MACS MTO
Il secondo piano dell’esposizione approfondisce maggiormente la storia del Sufismo, tanto attraverso un video educativo quanto ricostruendo lo studio di Hazrat Shah Maghsoud, 41esimo maestro della scuola MTO, vissuto nel Novecento tra l’Iran e gli Stati Uniti. Al museo di Chatou è possibile prendere visione di una sua lezione (recitata direttamente dall’ologramma del maestro) sui temi dell’esistenza e della devozione. La medesima devozione necessaria per realizzare le tre monumentali opere esposte poco più avanti, raffiguranti un tavolo, un kashkūl e un recipiente noto come sangāb, ciascuno ricavato da un unico pezzo di marmo e finemente lavorato, evocando il processo di “levigatura interiore” dei Sufi.
L’arte contemporanea ispirata al Sufismo
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea, come quelle della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), che con le sue installazioni esplora le intersezioni tra mondo naturale e antropico, oppure l’arazzo siliconico dello zimbabwese Troy Makaza, ispirato al percorso di conoscenza interiore Sufi. A spiccare sono però le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983): la traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ(ascolto spirituale) e sūf (lana) – tre termini chiave per la cultura Sufi – si trasformano in opere dall’aspetto organico ed evocativo. Chiude la mostra una serie di opere che l’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975) ha installato in modo da essere visibili solamente prendendo l’ascensore, ricreando il percorso di ascesa spirituale promossa dal Sufismo.
Alberto Villa
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