La poesia è la più fragile delle arti. Intervista a Gian Maria Annovi

Prosegue il nostro ciclo di interviste ai finalisti del Premio Strega Poesia 2024. È il turno di Gian Maria Annovi, poeta e professore attivo tra l’Italia e gli Stati Uniti

ostia estesa
il sole
s’un graffio appena

in questa incompleta
assenza di cielo
una nuvola                (forse)
                    «no»

discomparse

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L’intervista che segue contiene alcune tra le risposte che, nel contesto della serie dedicata alla cinquina dello Strega Poesia 2024, mi hanno colpita di più. E che, credo, si sono accostate maggiormente al mio personalissimo concetto di poesia, e l’hanno un po’ rinforzato, e gli hanno dato sfumature nuove. Gian Maria Annovi (Reggio Emilia, 1978) è professore associato di Letteratura italiana e Letterature comparate presso la University of Southern California (Los Angeles). Ha esordito come poeta all’età di vent’anni, con la raccolta di poesie intitolata Denkmal (1998). La sua seconda opera Terza persona cortese (2007) ha vinto il Premio Mazzacurati-Russo. Nel 2010 ha pubblicato il libro Kamikaze (e altre persone), nel 2013 Italics e, nel 2018, Persona presente con passato imperfetto. Il suo nuovo libro, Discomparse (2023) è finalista per il Premio Strega Poesia 2024. Ecco cosa ci siamo detti a riguardo.

Intervista a Gian Maria Annovi

Gian Maria, buongiorno. La scrittura – in versi e in prosa – è quasi sempre un modo di trattenere qualcosa nel tempo che passa e di e(s)ternare. Nella tua ultima raccolta Discomparse – ma non solo, anche nelle precedenti come ad esempio Kamikaze (e altre persone) (Transeuropa, 2010) – scegli di conferire fissità a eventi e individui che altrimenti scorrerebbero via più velocemente di altri: badanti, migranti, le storie di coloro che vengono detti “gli ultimi”. Ci puoi dire qualcosa sul motivo di questa scelta?
Forse è proprio la figura del kamikaze a spiegare meglio la mia scelta. Il kamikaze è un soggetto paradossale, che esiste solo nel momento in cui si fa esplodere, nel suo disfarsi soggettivo. Che tipo di pensiero genera questa condizione tanto istantanea quanto transitoria? E cosa avviene nella mente delle badanti, che scompaiono dalle nostre vite con la morte della persona che accudiscono? E in quella dei migranti che appaiono sui nostri schermi televisivi come se fossero sempre le stesse persone, che sfumano nell’anonimato di una categoria? Nella mia poesia – per rifarmi al gioco di parole che suggerisci – cerco dei modi linguisticamente nuovi per esternare l’invisibilità storica e sociale di questi soggetti destinati alla scomparsa.

Bret Easton Ellis, che non scrive poesie ma ha trattato spesso il tema del disagio sociale, in una presentazione del suo ultimo libro Le schegge (Einaudi, 2023) a Torino ha detto “Essere una persona inserita (insider) mi ha reso molto più infelice che essere un emarginato (outsider)“. Che ruolo ha l’essere outsider per te e per i personaggi di Discomparse?
La sicurezza, il senso di falsa protezione della maggioranza anestetizza la percezione di tutto quello che non appartiene a quel mondo e potrebbe minacciarlo. Raramente quella condizione genera vera poesia, al limite produce il gesto del fare poesia, la convenzione. Di poeti così è piena l’Italia. È dalla vulnerabilità del margine, invece, dalla fragilità che emerge il bisogno di una comunicazione profonda con l’altro, e soprattutto il desiderio di capirlo. La poesia la si trova nel vulnus, nella ferita che viola la norma, perché essa stessa fragilissima, la più indifesa delle arti, e forse proprio per questo anche la più libera.

Tu abiti a Los Angeles, dove insegni all’USC (University of Southern California). C’è un nesso tra questo vivere negli Stati Uniti – Paese con una nota storia di invasioni di territori altrui – e la tua scrittura, apparentemente densa di sottotesti critici verso il sistema colonialista?
Credo che aver trascorso quasi vent’anni negli Stati Uniti, immerso in una società fortemente multirazziale, abbia di certo sensibilizzato il mio sguardo a queste questioni essenziali. Ma non serve andare all’estero per crescere all’ombra del colonialismo. Lo si può fare benissimo in Italia, sebbene degli orrori del nostro passato coloniale si parli poco. Quando, nel 1911, Pascoli scriveva che “la grande Proletaria si è mossa” stava mobilitando anche la poesia in supporto delle prime imprese coloniali italiane. E come lui hanno fatto d’Annunzio, Carducci e tanti altri. Dimentichiamo che quando è uscito La Bufera ed altro di Montale, nel 1956, la Somalia era ancora amministrata dall’Italia, presente in quel paese dal 1892. La poesia italiana non è stata immune dall’ideologia nazionalista e coloniale, o dall’indifferenza a quanto accadeva fuori dai suoi confini. In Antiscoperta dei monti rifletto proprio sul potere della parola – anche della parola poetica – rifacendomi alla scoperta, nel 1888, che la catena delle montagne di Kongnon era mai esistita, nonostante si trovasse sulle mappe dell’Africa dalle esplorazioni europee di fine Settecento. Mi sembra una metafora illuminante per il potere di creazione e negazione della parola occidentale.

Discomparse è un libro non solo da leggere ma spesso da guardare. Sono frequenti intromissioni di elementi figurativi e il verso stesso, in alcuni casi, si rende tale. In che misura la poesia è un’arte estetica, oltre che letteraria?
Raramente ci pensiamo, ma per sapere che un testo è, o vuole essere poesia, spesso non occorre neanche leggerlo, basta osservare lo spezzarsi della scrittura sulla pagina, l’andare a capo. Con la lirica moderna, a partire da Mallarmé, e poi attraverso le avanguardie e la poesia concreta, la componente visiva del linguaggio poetico è stata portata alle estreme conseguenze. Anche in Discomparse la poesia si articola visivamente, ma l’immagine funziona come estensione, non come sostituto della parola. Nella serie Estratti, ad esempio, l’immagine non illustra la poesia, ma la completa attraverso la dimostrazione visiva della condizione marginale del corpo nero nell’arte rinascimentale. Quello che ho fatto è dapprima identificare alcuni dipinti del Rinascimento italiano in cui compaiono figure marginali di africani o afro-discendenti per poi cancellare digitalmente tutto quello che li circonda. L’immagine originale cede il passo a uno spazio bianco che coincide con il vuoto in cui il soggetto nero, a sua volta ridotto solamente a questo colore, assume centralità e sostanza. Di fianco, scorrono le poesie che ho dedicato alle figure dei migranti che arrivano oggi sulle nostre coste, stabilendo una continuità tra il presente e lo schiavismo del passato.

A breve si svolgerà la premiazione del Premio Strega Poesia, che ti vedrà in finale con altri quattro poeti e poetesse. Come stai oggi? Come pensa che starai quel giorno, il 9 ottobre?
Per quanto mi riguarda, e l’ho detto anche pubblicamente, ho già avuto la mia vittoria. Vivendo da tanti anni vive fuori dall’Italia, le occasioni d’incontrare i lettori di poesia italiana sono rare, e per questo estremamente preziose. Il Premio Strega Poesia mi ha permesso di entrare in contatto con tantissime persone diverse, oltre che di trascorrere tempo con altri poeti. E questo, per me, non ha prezzo. Il 9 ottobre, comunque sia, vincerà la poesia. Ed è la sola cosa che conta.

Maria Oppo

***
spianate senza speranze che poi
s’inalberano ma
non svettano
puntuto profilo che sempre manca
dove tutto è tutta mancanza

unico spazio privativo

mappa del bianco che sbianca

dove c’era e non c’è
la catena dei monti

una ferita solamente

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