Gli abiti fanno politica: cosa comunicano i look di Trump e Harris

Manca poco alle elezioni presidenziali americane e i due candidati (ma anche i loro vice) hanno dato prova di prestare molta attenzione ai loro outfit negli scorsi mesi di campagna elettorale. Vediamo come

Ha senso occuparsi di quel che indossano i politici? Da sempre, da Ramses II, via Luigi XIV, sino a Fidel Castro o Zelensky, il politico coltiva il suo aspetto esteriore per dialogare, rassicurare o galvanizzare truppe, sudditi o interlocutori che siano. Il suo stile imbracciato come un’armatura da torneo medioevale è il frutto di una strategia. Quel che sta accadendo nella disputa elettorale americana è solo una conferma in più. I “costumi” indossati durante i confronti televisivi, le immagini fatte circolare dai contendenti prima e dopo, le scelte di merchandising dei loro uffici di comunicazione vanno letto come informative visiva parte integrante di una performance multidisciplinare.

I look dei candidati

Donald Trump e la bandiera americana

Donald Trump (78 anni) si è presentato all’appuntamento con la sua più classica uniforme rossa, blu e bianca, gli stessi colori della bandiera americana. Trump coordina durante i suoi comizi, l’abbigliamento con le bandiere schierate dietro di lui. Rossa la cravatta molto lunga e mobile con il nodo grande, bianca la camicia, blu la giacca sbottonata con una spilla stars and stripesappuntata sul bavero. Più di qualsiasi altro predecessore, Trump ha fatto della bandiera americana un sinonimo di se stesso: ne ha schierate addirittura 54 alla Convention repubblicana del 2020. Quando scende la scaletta del Trump Air, passa sotto la bandiera che sventola sulla coda. Più chiaro di così è impossibile: guardi Trump, guardi la bandiera, guardi l’America.

Kamala Harris e la sintesi tra formalità e familiarità

Kamala Harris (54 anni) al confronto televisivo si è presentata con i capelli lucidi appena ondulati, pantaloni e giacca abbottona neri, camicia bianca con una sottile sciarpa, décolleté con tacco moderato, perle alle orecchie, spilla stars and stripes appuntata sul bavero. Qualcosa di simile all’immagine trasmessa di Margaret Thatcher con qualche tocco alla Hillary Clinton. Michelle Obama per l’endorsment al nuovo candidato democratico lo scorso luglio ha sfoggiato un power dressing (curato dalla stylist Meredith Koop) di ben altra aggressività. Ma la ex first lady non è alla ricerca anche del singolo voto dell’America che le è meno vicina, e questo fa una grande differenza. Harris è la prima donna di colore e la prima persona di origine sud asiatica a essere nominata per una carica nazionale. Suo obiettivo era quello di rassicurare l’elettore-spettatore presentandosi come una candidata in cui potersi riconoscersi, insieme “familiare” e “presidenziale”. La sua sciarpa-cravatta annodata larga va in parallelo con quella di George Washington tramandataci dal celebre ritratto di Gilbert Stuart. Harris non ha negato la sua femminilità, ma, non l’ha nemmeno messa in primo piano. Nessun brand moda il giorno dopo si è fatta avanti per rivendicare il suo look, come aveva fatto Chloé dopo le sue apparizioni al Congresso Democratico. L’abito nero indossato il 10 settembre scorso è un outfit classico del guardaroba di un procuratore. 

I look dei vice

Vance e gli altri repubblicani 

Il teatro della politica è particolarmente visibile durante i momenti partecipativi. I sostenitori più vicini a Trump, come Doug Burgum, J.D. Vance e Vivek Ramaswamy, si sono coordinati per assistere al processo intentato al candidato repubblicano per volontà della porno-attrice Stormy Daniel a New York: tutti in rosso, bianco e blu. Qualcosa di diverso è accaduto quando il possibile vicepresidente Vance è salito sul palco della Convention repubblicana dotato di barba. La barba negli Usa è associata a stili di vita rurali, o a professori universitari ed esponenti della controcultura. Certo Lincoln aveva la barba ma quella di Vance è più simile a quella dei film western alla Sergio Leone: porta alla mente quella del pioniere, eroe di un tempo in cui “gli uomini erano uomini e gli uomini sparavano agli orsi”

Tim Walz, uomo del popolo

Sull’altro lato della barricata come possibile vicepresidente c’è Tim Walz. Sul palco alla Convention democratica lo scorso agosto il governatore del Minnesota si è presentato con completo blu, cravatta blu, camicia bianca immacolata, spilla con la bandiera americana sul bavero. Tuttavia Kamala Harris non lo ha scelto per incarnare il bon ton da politico di Washington. Walz (60 anni) possiede armi con cui va a caccia di tacchini e fagiani, è un veterano dell’esercito, proviene dalla zona rurale del nord-ovest del Nebraska, ha fatto l’insegnante e pure l’allenatore di una squadra giovanile di baseball. È noto per indossare stivali Red Wing, pantaloni cachi sgualciti, i giubbotti Carhartt e la giacca Filson Mackinaw Cruiser a quadri neri e rossi. Walz è un bianco che trasuda energia da papà del Midwest. 

Il baseball cup della campagna repubblicana
Il baseball cup della campagna repubblicana

L’onnipresente baseball-cap e gli altri gadget

Se c’è un’icona trasversale ma certamente americana questo è il berretto da baseball. Quando lo scorso agosto Walz ha risposto alla chiamata di Kamala Harris ne indossava uno mimetico, divenuto immediatamente un’icona della campagna democratica perché subito adottato per il merchandising. È ora in vendita con una grande scritta Harris-Walz in brillante arancione. Il cap da baseball lo hanno anche i repubblicani: è rosso e porta la scritta MAGA (Make America Great Again). Trump in persona non disdegna la vendita di orologi: la collezione Trump watches prevede una sezione entry price a prezzo contenuto con quadrante rosso o nero: si chiamano ”fight fight fight” in riferimento alle parole pronunciate dal tycoon mentre veniva portato via dal luogo dell’attentato dello scorso luglio. Il top di gamma in soli 147 pezzi si raggiunge con il Victory turbillon in oro e diamanti che reca la firma di Trump sul retro. Prezzo 100 mila dollari. 

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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