La poesia come incarnazione del sentire. Intervista a Roberto Cescon

Chiudiamo la nostra serie di interviste dedicate ai cinque finalisti del Premio Strega Poesia 2024 con Roberto Cescon, poeta e professore di lettere, nonché scrittore di racconti, che partecipa con la sua ultima raccolta, intitolata “Natura”

Albero, lo dico e appare
nella mente di chi ascolta.
Fossobisontecuscino e ancora
l’aria mossa dal segnale si fa evento.
Potente, questa cosa.

Un bisonte atterra su un ghiacciaio
per vedere un bicchiere che saluta.

Sì, ma quale albero? Un cipresso,
un ricordo risalito o quello ti incontra
correndo nel parco, non uno
uguale all’altro e ognuno proviene
dal dire irripetibile
le cose vissute, e da lì
verrà anche la storia che attendi
e credi di capire
perché simile alla tua.

***

Ed eccoci arrivati alla quinta intervista: la nostra serie dedicata alla cinquina del Premio Strega Poesia 2024 si conclude con questo articolo. Allora, forse, è il momento di tirare un po’ le somme; la proclamazione del 9 ottobre 2024 è alle porte e mentre scriviamo non si ha ancora idea di quale sarà il risultato della competizione. Eppure, dalle parole delle poetesse e dei poeti in gara, ciò che emerge è un interesse per la suddetta gara che non esiste, che rasenta il niente, facendola a tratti scomparire. Questa finale, che si svolgerà all’interno del Foro Romano, riunirà cinque voci meravigliosamente diverse tra loro, cinque persone che si portano dentro un amore per la poesia che è un piacere per lo sguardo e per la mente. 
Ci piacerebbe dunque giocare a fingere che la vicenda si concluda qua, come un finale aperto di un romanzo, e che stia tutto qui, in queste cinque opere. Del resto, si sa: la poesia non deve vincere i contest, la poesia deve appiccare incendi. E da quel punto d’origine espandersi e bruciare, bruciare, bruciare. 

Chi è Roberto Cescon

Roberto Cescon (Pordenone, 1978), autore e professore di lettere, ha pubblicato Il polittico della memoria. Aspetti macrotestuali sulla poesia di Franco Buffoni (Pieraldo, 2005), Disabile chi? La vulnerabilità del corpo che tace(Mimesis, 2020), Di tutti e di nessuno. Una poetica della specie? (Industria & Letteratura, 2022), e le raccolte La gravità della soglia (Samuele, 2010), La direzione delle cose (Ladolfi, 2014), Distacco del vitreo (Amos Edizioni, 2018). Collabora all’organizzazione del festival letterario “Pordenonelegge”. La sua ultima raccolta, Natura (Stampa2009, 2023), come sappiamo, è tra i cinque finalisti del premio Strega 2024. Vi lasciamo a questo quinto capitolo: buona lettura.

Intervista a Roberto Cescon

Roberto, la tua raccolta si chiama Natura e infatti la natura è il soggetto intorno al quale si compone; nonostante questo, tra i versi compare di tanto in tanto un sentore di sovrannaturale, una sorta di magia o natura inesistente e che magari esisterà. È così?
Ogni fisica è una metafisica. È la stessa materia a essere attraversata da un flusso. Inoltre l’atto di vedere, producendo nuove configurazioni neurali in chi guarda, rinnova in modo inesauribile il visibile. C’è un flusso di immagini mentali radicato nella nostra mente che ridanno vita alle cose, ma nell’esporsi qualcosa resta nascosto. D’altra parte ciò che è visibile reca con sé tracce dell’invisibile, annuncia la viva assenza di ciò che resta invisibile, manifesta proprio ciò che non è espresso, ma che appartiene alla memoria del vivente o che resta custodito nella stessa possibilità di manifestarsi. Anche gli esseri viventi, quando generano segni sono portati a entrare nel futuro. Non solo: un segno che proviene dal passato si protende già in un futuro possibile, che vive adesso. Il futuro è il moto incessante che accompagna la materia vivente mentre accade. 

A cosa serve il tuo libro, oltre che a rompere un kafkiano lago ghiacciato, sul quale peraltro in una delle poesie fai atterrare un bisonte che può forse fungere da ascia? Che utilità ha avuto per te e quale speri che abbia per i lettori?
In questo libro affiora ciò che in questi anni mi ha attraversato, dalla lingua di altri poeti all’esperienza di un sentire più vasto. Da una parte ho scritto un saggio sulla disabilità e uno sulla poesia come condizione cognitiva della specie e come rito fossile della lingua che entra nelle forme, dall’altra ho cercato di dare a tutto questo materiale una forma sonora e ritmica in grado di incarnare questo sentire. Considero questo l’inizio di un percorso che sento tanto mio quanto inesauribile.
Sarebbe bello che chi leggesse questo mio libro riconducesse il suo agire dentro il tempo profondo e che prendesse coscienza del nostro modo colloidale di percepire e di pensare in cui non vi è distinzione tra ciò che vediamo fuori e dentro, tra ciò che viene prima o dopo: tutto galleggia in un flusso incarnato, nel dialogo inesauribile con la voce interiore. Sarebbe bello che chi legge vivesse nelle forme che ho cercato di costruire senza rendersene conto.

Dal suono della tua scrittura, piuttosto regolare nell’accentazione e nel ritmo, emerge una poesia che si presta facilmente alla lettura ad alta voce. È un aspetto, quello della resa orale del verso, che ti capita di prendere in considerazione mentre scrivi?
Se la domanda ha a che fare con risvolti performativi no, non mi interessano. Tuttavia nelle parole che sentiamo l’aria è scossa dalla voce prodotta da movimenti reclutati da varie parti del corpo. L’impulso che innesca la poesia viene prima del senso e si propaga come un rumore di fondo nello scheletro degli accenti, nel persistere di un movimento instabile che incarna, ogni volta, l’esporsi all’imprevedibile e il ritornare in sé per comprendersi. La poesia accade nello spazio tra l’attesa del ritmo e l’incertezza della sua forma da realizzare. Nello stesso spazio accade il vissuto degli esseri umani. 

Oltre alle numerose pubblicazioni in versi, nella tua carriera hai scritto anche racconti. Qual è la differenza principale tra poesia e prosa, secondo te?
Verrebbe da dire l’attenzione alla lingua, ma è troppo poco e anche la prosa ben scritta coltiva quel tarlo riuscendo a tornire una voce unica: una pagina di Pavese, di Trevi o di Celine si riconoscono a occhi chiusi. Forse però è l’attenzione di tenere insieme, nello stesso gesto, più aspetti formali a contraddistinguere il lavoro della poesia, che si misura con l’altezza della lingua. È, in altre parole, un gesto che chiede attenzione, coinvolgendo il respiro e la postura del corpo. Nella poesia, più che nella prosa, è la forma dell’esperienza che invera la lingua dell’esperienza. Infine la poesia, più della prosa, è “musica senza musica”: Montale, Sereni, Anedda, Ungaretti hanno un sound diverso. Sentirlo non è solo bello, ma ci fa anche ascoltare la parte più inafferrabile di noi.

Come hai accolto la notizia della presenza di Natura nella cinquina del premio Strega e cosa ha portato nella tua vita?
È stata una sorpresa, una bella sorpresa. Qualche persona in più si è accorta del mio libro. Ho viaggiato un poco, questa estate. Mi è sembrata una nuova partenza per continuare il lavoro di sempre. “Adesso sai che non ci riuscirai / mai non smetterai mai”. 

Maria Oppo

***

D’improvviso mi ha chiamato per sentire

la mia voce farsi avanti nello schermo
che ogni volta non so cosa mi aspetta
in questo spiccare bianco sempre prossimo a venire.
Ero proteso tutto in quel silenzio
finché la monetina di un messaggio
mi ha ricordato Pietro, la terapia di oggi,
e la ruspa dalla strada e le voci di operai
sono entrate nel silenzio della mia.

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