“Invece di fare la biennale, diamo uno spazio per gli artisti”. La provocazione dei curatori italiani a Belgrado

A curare la 60esima Biennale di Belgrado (la più antica biennale d’arte in area balcanica) sono Lorenzo Balbi e Dobrila Denegri, che hanno deciso di denunciare la mancanza di spazi dedicati agli artisti nella capitale serba. Balbi ci racconta come è andata la vicenda

In che modo una biennale d’arte può impattare sul territorio in cui essa si svolge? Quale tipo di “sistema” dovrebbe costruire affinché possa lasciare un risultato tangibile sui luoghi e sulle comunità (artistica e non)? Sono domande che sorgono spontaneamente se si ascoltano la storia e le premesse che contraddistinguono la 60esima edizione dell’October Salon/Biennale di Belgrado, la più antica biennale d’arte in area balcanica che quest’anno si inaugurerà il 20 ottobre per protrarsi fino all’1 dicembre 2024. Organizzata dal Centro di Cultura di Belgrado, la nuova edizione della rassegna è curata da Lorenzo Balbi e Dobrila Denegri, con il progetto “Trace/траг”: una sorta di provocazione, come ci spiega Balbi, che si pone l’obiettivo di lasciare una “traccia” anche dopo la conclusione della Biennale.

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Karavan. Ph. Tijana Maric

La 60esima edizione della Biennale di Belgrado raccontata da Lorenzo Balbi

“‘Trace/траг’ è un’idea a cui lavoriamo da oltre un anno, nata dopo essere entrati in contatto con le comunità artistiche locali, soprattutto delle generazioni più giovani, che denunciano la mancanza di spazi a loro dedicati e la conseguente necessità di trasferirsi all’estero per proseguire la propria carriera artistica”, racconta Balbi. Che senso ha dunque fare una biennale in una città in cui non viene dato spazio (fisico, e di conseguenza anche concettuale) agli artisti? “Il nostro tema vuole essere una riflessione sul ‘formato biennale’”, risponde il curatore: “che senso ha oggi andare in un posto in cui ogni due anni chiamano un curatore straniero a fare una mostra usando quel poco di budget messo a disposizione per l’arte contemporanea e poi, a fine biennale, non rimane nulla?”. Da qui nasce la proposta-provocazione dei due curatori: “la nostra proposta progettuale è stata quella di utilizzare il budget dell’October Salon per comprare uno spazio per le arti e metterlo a disposizione degli artisti e della comunità di Belgrado. Un luogo che potesse essere una casa per gli artisti, ma anche un centro di produzione multidisciplinare, un laboratorio in cui competenze e strutture possano essere condivise in modo collaborativo, partecipativo e autodidattico. Uno spazio pubblico con una parte per mostre e aree in cui organizzare incontri e programmi pubblici, nonché studi d’artista e laboratori artigianali”.

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Nina Ivanović, Jugošped, 2021

La 60esima edizione della Biennale di Belgrado. Dallo spazio mancato all’azione

“Purtroppo non è stato possibile ottenere o acquistare uno spazio in cui realizzare questa visione e, sebbene questo obiettivo rimarrà per il futuro, il progetto si è trasformato in una grande campagna di sensibilizzazione, una grande ‘chiamata alle arti’ in cui artisti, curatori, pensatori e professionisti serbi e internazionali hanno concepito azioni, installazioni, performance e occupazioni in spazi pubblici e privati di Belgrado per ribadire il messaggio della necessità di attenzione alla situazione degli artisti e degli spazi dedicati all’arte”, continua Balbi.

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Kiluanji Kia Henda, Work wont fix it

La 60esima edizione della Biennale di Belgrado. Dalla provocazione all’azione degli artisti

Una visione che è stata accolta dal Centro di Cultura di Belgrado, nonostante si punti il dito sulle (mancanti) politiche culturali messe in atto dalla città: la rassegna sarà anzi un’occasione di confronto tra la comunità artistica e i politici, con una serie di azioni mirate al dialogo. Tra tutte, quella di Lucy & Jorge Orta, che daranno vita a un pranzo/performance in cui artisti e politici siederanno allo stesso tavolo per parlare di un quartiere di nuova costruzione della città, il Belgrade Waterfront, che al momento attuale non prevede spazi per l’arte e la cultura.
Altre azioni e interventi di “sensibilizzazione” verranno messi in atto da Alessandra Saviotti e l’associazione Arte Útil di Tania Bruguera, Francesco Fonassi, Alfredo Jaar, Maria Eichhorn (con Constantina Theodorou e Adam Szymczyk), Daniela Ortiz, Nemanja Nikolić, Nina Ivanović, Marija Šević, Lidija Delić (gruppo Jugosped), Mane Radmanovic, Iva Čukić (The Ministry of Space), Tijana Cvetković e Vahida Ramijkić (ULUS), Ana Ereš, Ivan Petrović e Aldo Giannotti, per un programma che “occuperà i 60 giorni dell’October Salon e che coinvolgerà il pubblico e la comunità artistica locale, sensibilizzando sulle tematiche e utilizzando la galleria del Centro di Cultura di Belgrado come sede in cui raccogliere e raccontare tutto ciò che accadrà”, sottolinea Balbi.

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doplgenger, Snimak pejzaza termita, 2024

La 60esima edizione della Biennale di Belgrado. Come sarà

Non si tratterà quindi di una mostra nel senso canonico del termine: il Centro di Cultura di Belgrado “raccoglierà tutta l’esperienza e restituirà anche in maniera visiva tutta l’esperienza”, spiega Balbi. “Non sarà solo un luogo fisico perché il progetto di Francesco Fonassi è una radio che andrà in onda per tutto il periodo della Biennale, raccogliendo opinioni e discutendo di questi temi. Avrà una sua sede fisica nell’ex club Accademia che è un posto bellissimo: qui negli Anni Novanta si facevano le sperimentazioni musicali più estreme, per poi essere abbandonato. Siamo riusciti ad averlo per farne una stazione radio che sarà un luogo che consentirà agli artisti di proporre progetti e riflessioni durante tutto il periodo della Biennale”.

Desirée Maida

oktobarskisalon.org

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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