La danza è in cerca di una nuova ritualità corale

“Bromio” di Anagoor, “Healing Together” di Daniele Ninarello e “Redrum” di gruppo nanou: tre diversi lavori esemplari della diffusa necessità di ri-definire la funzione collettiva delle arti performative

C’è voglia di rito, un rito che sa di antico, ma anche un rito che vuole essere liberatorio rispetto a un utilizzo consumistico delle performance. C’è voglia di accorciare la distanza fra palco e platea, c’è voglia di comunità nel mondo della danza contemporanea. Questa esigenza è ravvisabile in diversi artisti, rappresenta una sorta di riflessione in atto sul linguaggio coreutico, sulla sua fruizione, ma anche sulla possibilità di far sì che il coinvolgimento possa essere emotivo, il punto di partenza di una nuova comunità che balla. 

“Bromio” di Anagoor: la danza come rito bacchico

Come sempre per la compagnia di Castelfranco Veneto, gli Anagoor, il punto di partenza di ogni azione scenica è da individuare nel mito e nella tradizione classica. Da qui il titolo Bromio, soprannome di Bacco, derivante da βρόμος, “fragore”, “fremito”, o perché secondo il mito il dio era stato generato in mezzo ai fragori del tuono dalla madre Semele colpita dal fulmine, o perché l’ebbrezza del vino produce fremito e furore. Altro riferimento è alle Baccanti di Euripide che fanno da pre-testo a un lavoro tutto fisico che va in cerca di quello stordimento, di quel fremito che dà vita a un nuovo mondo, che è la vertigine di un corpus unico che si muove, attraversato da un fremito che toglie il respiro, che stordisce, in fondo purifica per ridare poi vita alla communitas
È questo che, forse, Bromio vuole sollecitare nel suo chiamare a raccolta gli spettatori e, come in una transumanza umana, guidarli – nella replica vista a Bassano del Grappa – verso l’ex chiesa di San Bonaventura, con le immagini sacre velate, luogo di raccolta. Seduti lungo il perimetro della chiesa, su coperte come migranti in cerca di una nuova terra, si assiste alla danza di un gruppo di giovani corpi, sollecitati dall’interno dalla regia coreutica di Marta Ciappina
Ciò che va in scena in Bromio è il lento e autosuggestionato montare di un fremito coreutico che vorrebbe essere bacchico e strizza gli occhi ai rave party: ma in fondo sono questi i nuovi lavacri dello stare e del rinascere contemporaneo, dello stordimento, dell’annullamento di sé in cerca, forse, di un comune senso di straniamento e di cupio dissolvi. Noi spettatori rimaniamo tali, osserviamo il mutare dei volti, il sudare dei corpi, ipnotizzati dalla ripetizione dei movimenti. In piedi si vorrebbe ballare, forse si dovrebbe farlo. La performance finisce con l’invito a uscire dal tempio per assistere in coro alla chiusura sulla piazza dell’azione coreografica. 
Ciò che mette in luce Bromio di Anagoor è la voglia di reiventare riti che ci ridiano respiro collettivo, che ci facciano dimenticare l’io solitario del nostro individualismo, per farci accedere a un noi che nasce da una condizione di disorientamento a cui si cerca di far fronte unendo le comuni debolezze, incertezze e speranze.

“Healing Together” di Daniele Ninarello: la danza come cura collettiva

Healing Together di Daniele Ninarello propone una faticosa e respingente riflessione sul tempo della performance, sul linguaggio del corpo per conseguire l’obiettivo di guarire insieme. Ma da cosa? Viene spontaneo chiedersi. Dalla ritualità del consumo degli oggetti d’arte, dalla codifica del movimento e di quel linguaggio della danza che ci porta ad approcciare qualsiasi performance con la sicurezza di categorie precostituite e indiscutibili. L’effetto è raggiunto. Infastidiscono l’attesa che quei corpi facciano qualcosa, la stasi che impone di ascoltare il silenzio, lo scartare una caramella, lo sconcerto del pubblico in sala, i corpi che sembrano vagare senza un senso nello spazio e che nulla concedono a qualcosa che sembra concepito nei canoni. Tutto ciò accade, compreso la voglia dei performer di uscir fuori dal teatro, in un atto liberatorio, ma al tempo stesso artificioso e non nuovo. Inizialmente Healing Together lascia perplessi, fa incazzare; poi, pian piano, il pensiero fa breccia sull’approccio emotivo. Quel guarire insieme vuol dire liberarsi dall’ottica di un consumo di svago dell’atto creativo e, al tempo stesso, agire all’unisono affinché l’evento di spettacolo dal vivo – teatro o danza che sia – possa essere motivo di trasformazione, sia consapevole della propria unicità e non si conceda all’ottica del puro consumo, della tranquillizzante funzionalità e della mera ripetizione.

Redrum di Nanou
Redrum di Nanou

“Redrum” di gruppo nanou: la danza come libertà

Sarà, ma per trovare il modo di immaginare una fruizione performativa libera e corale le chiese, o le ex-chiese, hanno una loro suggestione e funzionalità. È accaduto a Bassano del Grappa con Bromio, è accaduto all’Hangart Festival a Pesaro con Redrum del gruppo nanou nell’ex chiesa delle Maddalene. 
Quando gli spettatori entrano i cinque danzatori si stanno già muovendo in uno spazio centrale. Il pubblico può non solo entrare quando vuole, ma può muoversi come vuole. A un certo momento c’è chi circumnaviga lo spazio scenico per fare delle foto. C’è la possibilità di bere qualcosa in un punto ristoro. Ma cosa succede? Perché tutto questo? E nel mentre i cinque danzatori compongono quadri coreografici di un’essenziale linearità. C’è chi ha appendici animalesche, una coda di volpe o di gatto, chi sembra fuoriuscito da un quadro di Savinio, un telo dorato cade dall’alto, regalando una suggestione bizantina, un interno borghese, due sedie e l’impressione di un luogo in cui si consuma una lunga attesa senza soluzione. I danzatori si spostano, si osservano dal limite della scena, si siedono al fianco degli spettatori. Lo spazio scenico è comune, il tempo dilatato: Redrum da programma dura un’ora e mezza ma la sua fruizione temporale, come quella spaziale, è lasciata alla libertà di movimento non solo dei performer ma anche degli spettatori. Non c’è chiusura e i movimenti e l’agire dei danzatori appaiono in loop, impegnati in un continuum coreografico da cui entrano ed escono, così come il pubblico può entrare e uscire a piacimento. Come non ricordare Einstein on the beach di Bob Wilson che permetteva – su otto ore di durata – la stessa libertà di partecipazione. Redrum, che il suo creatore Marco Valerio Amico definisce “installazione coreografica”, è il tentativo di rompere la scatola della performance chiedendo a spettatori e danzatori di abitare lo stesso spazio e di vivere lo stesso tempo nel segno di una coralità laica.

Nicola Arrigoni

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Nicola Arrigoni

Nicola Arrigoni

Nicola Arrigoni, giornalista professionista, è redattore ordinario presso il quotidiano «La Provincia» di Cremona dove si occupa di cronaca culturale della città, politica culturale, liuteria e ricopre il ruolo di critico militante per il teatro drammatico. É critico teatrale e…

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