Comunicare a e con il mondo: il Festival Internazionale d’Arte delle Isole Lofoten 2024
Il festival multidisciplinare delle Isole Lofoten anima per un mese l’arcipelago con eventi culturali su nove sedi nella città di Svolvær, fra pittura, fotografia, video arte e performance. Con un focus sul tema della comunicazione e sulla cultura Sámi
Il Lofoten International Art Festival 2024, è la biennale d’arte contemporanea più longeva della Scandinavia, e ogni edizione coinvolge una diversa città dell’arcipelago. Organizzato dal North Norwegian Art Centre, quest’anno è curato da Kjersti Solbakken e si svolge a Svolvær ispirandosi all’installazione della prima rete telegrafica senza fili dell’Europa settentrionale, nel lontano 1903. Un festival aperto al mondo, con artisti norvegesi, europei, ma anche cinesi, giapponesi e africani, per 20 progetti ospitati in 9 differenti sedi cittadine. È inserita nel programma anche una mostra della NOUA Foundation di Bodø, quest’anno Capitale Europea della Cultura.
Il Festival delle Isole Lofoten e le radici norvegesi
Progettata dall’ingegnere norvegese Hermod Petersen – che aveva seguito gli studi di Guglielmo Marconi – la linea telegrafica tra Sørvågen e Røst fu la prima del genere nell’Europa del Nord, che aprì una nuova era delle comunicazioni sulle Isole Lofoten. Sulla scia di questo traguardo, il LIAF 2024 fa di queste isole un’ideale stazione da cui mandare al mondo svariati messaggi: SPARKS – LIAF 2024 è infatti un coro di voci multidisciplinari, provenienti da generazioni e contesti diversi. Cineasti, poeti e musicisti interagiscono con gli artisti visivi e un’ampia rete di ricercatori, scrittori, curatori. Il progetto è nato attraverso conversazioni e scambi di messaggi su varie piattaforme virtuali, cartelle di condivisione, eccetera.
La cultura Sámi nel Festival delle Isole Lofoten
Il dialogo “senza fili” ha quindi superato ogni confine, dimostrando che anche la tecnologia ha i suoi lati positivi quando utilizzata per lo scambio culturale e la condivisione di idee e opinioni. In questo senso, fra i progetti più interessanti legati alla storia e alla cultura norvegese, LIAF 2024 ha incluso l’omaggio alla cultura Sami attraverso la personale del pittore Hans Ragnar Mathisen (nome Sámi Elle-Hánsa, ma conosciuto anche come Keviselie), ospitata presso la sede del North Norwegian Art Centre; attivo nel mondo dell’arte da oltre mezzo secolo, Mathisen, che ha vissuto in prima persona le pesanti discriminazioni dovute alle sue origini etniche, ha sviluppato uno stile pittorico che trova la sua ragione distintiva nella volontà di preservare le storie, i simboli, l’identità e la cultura Sámi, e di trasmettere agli altri questo patrimonio. Il suo lavoro e il suo coinvolgimento politico lo hanno portato a diventare una voce importante nella lotta per i diritti degli indigeni, sia in patria sia all’estero. E la mostra omaggia la sua attività e amplia la portata del messaggio lanciato dal LIAF 2024.
Comunicare nello spazio e nel tempo: il LIAF 2024
All’interno del concetto della comunicazione, il festival recupera idealmente quelle voci che altrimenti avremmo potuto non sentire mai: è il caso del mancato progetto Island Eye Island Ear, ideato nel 1974 dal compositore David Tudor (1926–1996): una sorta di “concerto ambientale” pensato per interagire con la natura dell’isola svedese di Knavelskär, in collaborazione con Billy Klüver, Julie Martin, Fujiko Nakaya, Jackie Matisse (nipote di Henri) e Margaretha Åsberg. Un progetto fra arte e tecnologia, con antenne paraboliche da posizionare attorno all’isola per captare e riemettere i suoni nello spazio. Il progetto per non venne mai realizzato, ma nel 2023 il North Norwegian Art Centre ha coinvolto il collettivo SIAF LAB e You Nakai, per realizzare il progetto sull’isola giapponese di Hokkaido e sulle Lofoten; specchi, installazioni sonore, una performance di aquiloni, sono i punti focali della sezione norvegese; un progetto sonoro e visivo dove arte e natura si completano a vicenda. Il progetto è collegato anche con la mostra Courses of Action ospitata presso NOUA Foundation a Bodø; oltre a materiale d’archivio di Island Eye Island Ear, sono esposti video, fotografie e testi degli artisti Michael Tsegaye e Flis Holland, e della scrittrice Sissel Solbjørg Bjugn; nel titolo la mostra rimanda al concetto di opera inedita e progetto non realizzato – che ancora conservano intatto tutto il loro potenziale, che può appunto essere recuperato e utilizzato anche a distanza di anni – così come alle considerazioni sugli effetti dei progetti e delle opere d’arte che sono stati realizzati. Particolarmente interessante il documentario fotografico dell’etiope Michael Tsegaye, che indaga la complessa interazione fra modernità e tradizione, concentrandosi sulla trasformazione del paesaggio urbano e sui conseguenti cambiamenti socio-culturali della città di Addis Abeba.
LIAF 2024: dalle Lofoten al mondo
L’ex spazio industriale del Kraftholmen ospita The House of Broken Utopias di NODES Collective, un’esperienza immersiva e interattiva che esplora la funzione e i parziali fallimenti delle utopie, riferite ai desideri e alle aspirazioni a una nuova esistenza che si manifestano nelle pratiche artistiche, sociali e culturali. L’opera di NODES si concentra sulle visioni utopiche di Nyksund, un ex villaggio di pescatori nel Nordland, abbandonato negli Anni Settanta del Novecento; nel tempo, la comunità locale ha immaginato possibili futuri diversi per il villaggio, dal ripristino della natura vergine ai parchi di divertimento. Con il supporto della Technische Universitat West-Berlin, negli Anni Ottanta era stato persino progettato una sorta di “villaggio internazionale della gioventù”. Oggi a Nyksund vivono stabilmente 16 persone provenienti da Nuova Zelanda, Germania, Norvegia ed Australia, e anche se non è diventata la vivace comunità internazionale auspicata all’inizio, il villaggio ha comunque ripreso vita, e l’indagine di NODES Collective racconta i traguardi raggiunti e quelli mancati di questo ambizioso progetto sociale. Invece, direttamente dall’Africa Orientale, precisamente dallo Zambia, il Livingstone Office for Contemporary Arts, guidato da Anawana Haloba e Kabila Kyowa Stéphane, ha invitato gli artisti Banji Chona, Bwanga “BennyBlow” Kapumpa e il duo di artisti Pungwe Listening per sviluppare il progetto audio-video Memories of the unbridled river, ospitato anch’esso nell’ex spazio industriale del Kraftholmen e ispirato ai “corridoi” degli elefanti nelle savane africane – una striscia di terra che facilita il movimento di elefanti tra due o più habitat. L’idea della migrazione richiama sia quella dei Sami, a lungo perseguitati nelle loro terre, sia quella degli zambiani, che il colonialismo ha a lungo privato della loro stessa terra. Un documentario suggestivo, che mette in comunicazione terre fra loro lontane ma umanamente vicine; un’opera corale che rivela la profonda sensibilità africana e norvegese verso la natura, specchio e cornice delle vicende umane, dalla quale è sempre possibile trarre utili lezioni.
Niccolò Lucarelli
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