Un nuovo libro sul corpo performativo, fotografico e politico
Una ricognizione, anche fotografica, della performance italiana degli Anni Settanta, attraverso le pratiche di artiste chiave e da riscoprire: Lucia Poli, Marcella Campagnano, Agnese De Donato e Lina Mangiacapre. Il libro di Giada Cipollone
Corpi a fuoco di Giada Cipollone esplora l’intersezione tra fotografia, performance e politica, facendo emergere come questi ambiti siano stati trasformati dal pensiero femminista e dalle pratiche sperimentali dell’epoca. Il saggio, inoltre, offre una mappa dettagliata delle artiste che, attraverso una visione radicale e innovativa, hanno sfidato le norme artistiche tradizionali.
Fotografia e performance nel nuovo libro di Giada Cipollone
Nella prima parte del volume vengono affrontate le dinamiche che intercorrono tra fotografia e performance, focalizzandosi sulle loro funzioni documentarie e sul modo in cui l’immagine performativa può superare la semplice registrazione di un evento teatrale. Attraverso concetti come “performatività dell’immagine”, l’autrice espande la riflessione sull’arte performativa, interrogandosi su come la fotografia non si limiti a essere un testimone passivo, ma diventi essa stessa un atto creativo e politico. Il contributo del femminismo appare centrale: il corpo femminile, ripreso e rappresentato, diventa uno spazio di resistenza e trasformazione.
Il corpo insorto nella performance degli Anni Settanta
Nella seconda parte l’autrice si concentra su figure chiave della scena artistica italiana, anche se tutt’oggi ancora poco conosciute, come Lucia Poli, Marcella Campagnano, Agnese De Donato e Lina Mangiacapre. Attraverso una rigorosa ricerca archivistica e interviste, Cipollone ricostruisce le biografie e le pratiche artistiche di queste donne, evidenziando come abbiano sfidato i ruoli di genere e creato nuovi spazi di visibilità e agency per le donne nell’arte. La combinazione di teatro, fotografia e performance, che queste artiste hanno utilizzato ha creato nuovi modelli estetici e politici, capaci di ridefinire la visibilità e la rappresentazione del corpo femminile.
Al centro del libro c’è il tema del corpo “insorto” e la nozione di performatività, intesa non solo come qualità dell’azione scenica, ma anche come una strategia politica. Le artiste presenti nel volume utilizzano la performance non solo per mettere in discussione la rappresentazione visiva, ma anche per sfidare le strutture sociali e culturali dominanti.
Performance, fotografia e femminismo
L’aspetto più interessante di Corpi a fuoco è l’approfondita analisi di una fase cruciale della storia artistica italiana, spesso trascurata, e la sua capacità di connettere la fotografia alla politica e alla sperimentazione teatrale. Giada Cipollone non si limita a descrivere eventi e opere, ma offre uno sguardo critico e innovativo che spinge a riconsiderare il ruolo dell’arte come spazio di sovversione e resistenza. In particolare, il legame tra immagine e corpo è indagato con profondità, restituendo al lettore una riflessione sulla materialità del corpo nell’arte performativa, e come questo sia stato utilizzato per sfidare i modelli tradizionali di rappresentazione. Questo libro si distingue per lo sguardo inedito sull’intersezione di tre tematiche, teatro, fotografia e femminismo, che raramente sono state analizzate costruendo, come in questo caso, uno studio che prendesse in analisi gli aspetti specifici di ciascuna tematica per estrarne le peculiarità del periodo e della ricerca artistica. Cipollone riesce a cogliere la complessità delle pratiche artistiche esaminate, collocandole in un più ampio contesto storico e politico, senza perdere di vista l’importanza delle esperienze personali delle artiste. Inoltre, la scelta di includere materiali d’archivio e immagini inedite arricchisce ulteriormente il volume, offrendo un’esperienza visiva che accompagna il lettore nel viaggio attraverso l’arte performativa degli Anni Settanta.
Corpi a fuoco è un importante tassello per comprendere il contributo delle donne nella trasformazione del panorama artistico e culturale italiano, nonché un esempio eccellente di come l’arte possa essere un mezzo potente per la riflessione politica e sociale.
Chi è Giada Cipollone
Giada Cipollone è ricercatrice a tempo determinato all’Università Iuav di Venezia. È stata assegnista di ricerca e docente a contratto all’Università di Pavia, dove ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 2019. Fa parte dei gruppi di ricerca del progetto ERC “INCOMMON. In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979)”, diretto da Annalisa Sacchi; del centro studi “Self Media Lab. Scritture, performance e tecnologie del Sé”, fondato e diretto da Federica Villa; dell’unità di ricerca “PerLa. Performance Epistemologies Research Lab”. Nel 2022 ha ottenuto il “Seal of excellence” nell’ambito del programma “Horizon Europe Marie Skłodowska-Curie Actions”.
Intervista a Giada Cipollone
Come è nata l’idea di questo libro che intreccia performance, fotografia e femminismo? E come hai portato avanti la ricerca?
Il libro nasce nell’ambito del progetto di ricerca ERC “INCOMMON. In praise of community. Shared creativity in artsand politics in Italy (1959-1979)”, ospitato dall’Università Iuav di Venezia e diretto da Annalisa Sacchi. InCommon ha studiato la scena della neoavanguardia teatrale in Italia con un approccio che ha messo a valore il carattere relazionale della creazione performativa e il nesso tra le pratiche artistiche e le forme politiche, espresse in quegli anni dai movimenti sociali, tra cui il femminismo. Nel mio percorso personale, nel quadro di INCOMMON, mi sono da subito occupata della relazione tra fotografia e performance, da sempre al centro dei miei interessi di ricerca: mi sono messa sulle tracce delle artiste e degli artisti che in quegli anni seguivano la scena della sperimentazione. Nella fase iniziale mi sono occupata della raccolta di immagini, che potessero andare a popolare l’atlante digitale di INCOMMON. Lo studio degli archivi e gli incontri con le persone mi hanno però, in una seconda fase, fatto notare una certa concentrazione di esperienze, che facevano emergere una zona inedita di intersezione tra fotografia, teatro sperimentale e femminismo.
Al centro di questa intersezione emerge il corpo. Perché diventa centrale la corporeità in quel periodo e in quelle pratiche?
Il corpo, a partire dagli Anni Sessanta, insorge contro una tradizione di pensiero, che lo riduce a strumento di applicazione, vettore o cassa di risonanza di idee superiori, prodotte nell’altrove della mente. Rivendica per sé una presa di parola e una potenza autonoma della propria espressione materiale, come dimostra l’esplosione della body art. La triangolazione delle pratiche fotografiche e performative con il femminismo accelera in particolare la critica specifica a una corporeità, quella femminile, giostrata tanto sulla scena quanto nelle immagini dal polo maschile della creazione. Il corpo, nei processi fotografici e in quelli performativi, sperimenta le possibilità del proprio esporsi, fino anche all’inflazione, per poter eccedere le norme e sovvertire le estetiche e le abitudini rappresentative.
Quali altri aspetti sono emersi da questa intersezione che si definisce in periodo storico molto preciso, gli Anni Settanta?
Uno degli aspetti per me più interessanti ha riguardato l’osservazione dell’energia relazionale dei processi creativi, che fa circolare idee e affetti. Da studiose si tende a osservare, a volte feticizzare, il prodotto della creazione come deposito di una singolarità, quella dell’autore, solipsistica ed eccezionale; come studiose di teatro, inoltre, si guarda spesso all’immagine fotografica in un’ottica strumentale alla scena, fonte superstite e documento per la memoria dell’effimero. La logica dell’archivio, premiale solo nei confronti dei resti materiali, trascura le soggettività che partecipano ai processi, l’elemento intrattenibile dei loro scambi. In questa intersezione, la fotografia non emerge tanto come strumento per la produzione di immagini (che documentano il teatro) ma come un territorio comune di incontro, di pratica artistica e politica, per le artiste che la frequentano.
La vitalità di quel periodo e delle ricerche si riflette nelle sfumature delle pratiche delle artiste che hai analizzato. Penso ad esempio ad Agnese De Donato, che, sintetizzando molto, prima apre una libreria e in seguito diventa fotografa. È come se le artiste che racconti nel saggio avessero deciso, più o meno consapevolmente, di non avere un ruolo, una passione, un “titolo” definito e questo ha permesso loro di esplorare liberamente, di stare in spazi liminali. Forse anche per questo, molte di loro, sono poco conosciute o quasi dimenticate.
Molte delle artiste di cui parlo hanno assegnato un enorme valore all’incontro, alla discussione collettiva, alla sperimentazione anche non finalizzata della ricerca, fotografica e performativa, piuttosto che alla fabbricazione di opere da immettere nel mercato dell’arte. Alcune di loro non si sono nemmeno professionalizzate in modo stabile dentro una pratica. Marcella Campagnano, con cui ho un legame speciale da molto tempo, rifiuta ancora oggi di definirsi come fotografa: per lei la fotografia ha rappresentato un modo di tenere traccia dell’esperienza.
Agnese De Donato – che ho conosciuto solo attraverso i racconti della nuora e affidataria dell’archivio, Francesca Dantini – segue Carla Tatò mentre legge Ibsen alle donne della periferia romana: non pubblicherà quegli scatti, non punta l’obiettivo sull’immagine, la sua apprezzabilità, la sua elezione a fonte documentaria di un evento effimero. La fotografia è in quel momento per lei una materia per stare con, una pratica di auto-formazione, condivisione e politicizzazione di un processo artistico e collettivo.
All’incrocio tra fotografia, performance e femminismo negli Anni Settanta si mette all’opera un laboratorio continuo per le idee dell’arte, che credo abbia lasciato in eredità al futuro un grande serbatoio di costruzione e scambio di saperi e pratiche, fuori dagli obblighi produttivi e dentro il valore di un fare insieme e comune.
Dario Moalli
Corpi a fuoco, Giada Cipollone
Marsilio, 2024
pag. 176, 17 €
ISBN 9788829790104
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