Baj e la ceramica: un sogno folle. La grande mostra tra Savona e Albisola
In occasione dei 100 anni dalla nascita di Enrico Baj dall’8 ottobre al 9 febbraio 2024, il Museo della Ceramica di Savona e il MuDA –Museo Diffuso Albisola di Albissola Marina ospitano la mostra “BAJ. Baj chez Baj”
È un territorio che la ceramica la conosce bene a omaggiare la produzione più materica, più viva, di Enrico Baj (Milano, 1924 – Vergiate, 2003) in occasione del centenario dalla sua nascita: quella lingua di terra che si fa mare tra Savona e Albisola Marina, che da secoli ha fatto delle terre cotte un’arte-artigiana, raffinata e onesta. A questo protagonista dell’arte italiana del Novecento, tra ottobre e febbraio, il Museo della Ceramica di Savona e il MuDA – Museo Diffuso Albisola, nelle sedi del Centro Esposizioni e di Casa Museo Jorn, dedicano BAJ. Baj chez Baj. Un omaggio che – in tandem con la mostra al Palazzo Reale di Milano – va a concentrarsi sullo sviluppo storico-cronologico dell’opera ceramica dell’artista, dall’Incontro Internazionale della Ceramica del 1954 fino alle produzioni kitsch di Castellamonte, con l’aiuto di un prezioso corpus prestato dalla famiglia Baj e altri privati.
La grande mostra di Baj tra Savona e Albisola
Quelle qui esposte sono delle vere chicche, che permettono di centrare la grandissima varietà dell’opera di Baj, e la sua coerenza, con quello studio costante e metamorfico che ne ha caratterizzato tutta la produzione. Come lui, il quadro che ne emerge è multiforme e stratificato, complice la presenza di molti pezzi che da decenni non erano esposti pubblicamente: è il caso dello sfolgorante Giardino delle delizie, arrivato direttamente dalla villa di Baj a Vergiate grazie alla mediazione di Roberta Cerini, moglie di Baj e brillante custode del suo patrimonio. “Li abbiamo dovuti staccare letteralmente dai muri dello studio! Roberta si è fidata di noi. Ed è rimasta contenta di come sono arrivati al pubblico: hanno tutto lo spazio del Centro Esposizioni MUDA di Albisola, dove abbiamo anche ricreato la foresta con cui erano state esposte la prima volta da Giò Marconi ”, racconta il direttore del Museo della Ceramica e curatore della mostra Luca Bochicchio, autore di un recente e completissimo lavoro per Marsilio sulla produzione ceramica di Baj.
L’allestimento “naturale” (ma non sempre) di Baj nel ponente ligure
Questi lavori hanno trovato una casa naturale qui – chez Baj, come suggerisce il titolo –, nella terra della ceramica. Gli accostamenti appaiono intuitivi, a tratti proprio filologici, sempre di più mano a mano che ci si avvicina a Casa Jorn: i “pupazzetti”, come li chiama Cerini, sono accostati alle figurine apotropaiche create dallo stesso Jorn nell’antico ingresso (oggi veranda), mentre le zuppiere e i piatti sbeccati della vecchia fabbrica Fac sono posti accanto alle creazioni dei bimbi dell’artista danese in una parata del suo Bauhaus Immaginista. Eppure l’allestimento “non è stato né scontato né canonico né classico”, racconta Bochicchio. Le grandi opere Folla, una smaltata e una in biscotto (donate alle due città), sono per esempio appoggiate a terra invece di essere appese al muro come fregi: “È un approccio controintuitivo direttamente frutto di una mia “visione”, in cui mi sono apparsi dall’alto questi volti deformati come facce che emergono dalle macerie. È una vista a cui siamo abituati, con tutte queste guerre”.
L’attualità politica di Baj, tra ceramica e litografia
Questa attenzione all’attualità si fa fortissima nel periodo patafisico e poi kitsch, tra maschere deformi e brillanti che compongono evocative schiere di egoisti e consumisti, e diventa sempre di più una vivida denuncia sociale, come appare nelle litografie e ceramiche (realizzate con una medesima matrice mentale) dedicate ai bambini e alla loro morte, su ispirazione del De Rerum Natura: “Se guardiamo questi bambini con gli occhi di oggi, con le loro braccia aperte, ci ricordano il Vietnam”. Questi pensieri – che a Milano si concretizzano nel colossale Funerale dell’anarchico Pinelli, con quel corpo picassiano che cade all’infinito – hanno anche un famoso corrispettivo nella serie dei generali, diretta eredità delle teste montagna, ricorda Bochicchio. “Baj riprendeva cose, negli Anni Novanta, che aveva abbozzato negli Anni Cinquanta: come fanno i grandi – Fontana, Crispolti – anche lui riprendeva le sue prime idee in uno studio continuo”.
Baj tra Savona e Albisola. Il commento del direttore Luca Bochicchio
Uno studio costante, che procedeva di pari passo con uno scambio vitale con quegli artisti che erano convenuti nel ponente ligure per l’Incontro Internazionale della Ceramica, rimanendo poi negli anni a venire. Ne sono un frutto, nell’opera di Baj, il recupero di materiali di scarto, l’osservazione e lo studio di miti, maschere, paesaggi, e la vicinanza al popolo albissolese. “Quella fine del boom, che culmina ad Albisola nella Passeggiata degli Artisti, è un momento storico anche per Baj. Gli artisti qui vivevano in ottica di cooperazione, che osservavano anche negli studi ceramici: la rivediamo nel piatto che Baj realizzò per una delle feste del pesce fritto che si tennero ad Albisola Marina negli Anni Cinquanta (e poi mai più): lui, Fontana, Jorn, Dangelo e altri si univano alle donne del paese nel decorare questi piatti di ceramica semplice, gobbiata e smaltata, che venivano venduti per un centinaio di lire con una mestolata di pesce”, racconta Bochicchio. E dopotutto, questo periodo d’oro sarebbe stato possibile senza la mediazione e il know how degli artigiani locali: per Baj non c’era che la Fabbrica Mazzotti, cui seguì, dopo la grande rottura che portò l’artista fuori dalla Liguria, la Bottega Gatti di Faenza.
Questo dialogo con il territorio è anche lo spirito dello stesso Museo della Ceramica: i tantissimi laboratori per bambini e adulti, con weekend pieni fino a fine mostra, ma anche il suo pubblico vario e affezionato sono il sogno di molti musei più grandi: “Per noi l’audience engagement è proprio l’obiettivo a cui tendere, anche quando pensiamo le mostre anni prima. Il museo deve essere accessibile e partecipato, e permanentemente vivo: quando io vado a Casa Jorn in orario di chiusura, trovo i bambini che lavorano creativamente con il nostro staff. E nonostante io abbia portato tanti artisti a fare residenze lì, da curatore d’arte contemporanea, in quei momenti penso: questa è la priorità”.
Giulia Giaume
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