Come si disegna un manifesto?
Questa mostra non ha un titolo, bensì una domanda. È una mostra in cui vengono esposti e messi a confronto oltre un centinaio di manifesti provenienti dall’ormai consolidata attività e dal patrimonio del Museo MAGMA di Civitanova Marche.
Comunicato stampa
Questa mostra non ha un titolo, bensì una domanda. È una mostra in cui vengono esposti e messi a confronto oltre un centinaio di manifesti provenienti dall’ormai consolidata attività e dal patrimonio del Museo MAGMA di Civitanova Marche.
Gli autori di questi manifesti sono tantissimi con nomi prestigiosi, italiani e stranieri, della storia della grafica, ma anche autori più giovani, professionisti attivi in contesti territoriali più periferici delle grandi città.
La selezione non è stata fatta solo per conclamare quella dose di qualità estetica insita anche nel progetto grafico e neppure per visualizzare una sorta di indagine sociologica su chi sono i grafici e su come operano o su quali sono state le scuole e le correnti nella storia della grafica. L’0biettivo, in anni ormai di decadenza del medium manifesto, è di usare il manifesto, anzi i manifesti, per ragionare su come si possono disegnare e progettare. Capire sia come si facevano, si fanno (e forse si faranno), ma anche e soprattutto per chiedersi cosa sono le immagini oggi.
Si, perché lo statuto del manifesto è quello di lanciare un messaggio visivo, sia esso disegnato, fotografico, scritto o composto tipograficamente. Il manifesto è sempre qualcosa da vedere, ma serve anche imparare a leggerli.
La mostra mette quindi a confronto manifesti di grandi maestri con quelli di seri professionisti o di giovani progettisti. Dispone fianco a fianco opere di grafici americani, polacchi, cubani, francesi, italiani, sudamericani, realizzate in epoche diverse per illustrare alcuni meccanismi progettuali, sulla base di cinque insiemi problematici con coppie di indizi oppositivi. Come si fa un manifesto? Con il pieno o con il vuoto? Si usa la tipografia o la scrittura a mano? Meglio visualizzare in modo concettuale o usare il racconto, lo story-telling visivo? Serve essere sobri o puntare sulla decorazione? Scegliere l’astrazione, l’informale o la figurazione? Quando vedo un cuore penso sia un simbolo o un’immagine?
La mostra quindi oltre ad essere un evento espositivo, vuole offrire una soglia educativa, cercare con le stesse immagini di illustrare alcuni meccanismi progettuali, ma al tempo stesso è anche una lettura randomica nella storia della grafica fra autori noti e meno noti, scuole vicine e lontane, storia e attualità.
Insomma il manifesto che sempre meno viene nelle strade, tranne a Civitanova naturalmente, si offre come strumento per ragionare, non solo per affascinarci e sorprenderci, per amare l’incanto degli acquarelli di Folon o il minimalismo logico di AG Fronzoni. La difficoltà e il bello del manifesto è di svelare e amministrare al meglio un’idea, la ragione profonda del fare ancora oggi immagini.
Naturalmente anche le idee espositive non vengono dal niente e un buon riferimento, anzi un valido insegnamento, ci viene da un affascinante libro del 1972 scritto da John Berger, critico d’arte, scrittore e molto di più. Questione di sguardi. Sette inviti al vedere fra storia e quotidianità, questo il titolo, poneva soprattutto domande, consapevole che “il vedere, tuttavia, viene prima delle parole anche in altro senso. È il vedere che determina il nostro posto all’interno del mondo che ci circonda; quel mondo può essere spiegato a parole, ma le parole non possono annullare il fatto che ne siamo circondati. Il rapporto tra ciò che vediamo e ciò sappiamo non è mai definito una volta per tutte. Ogni sera vediamo tramontare il sole. Sappiamo che la terra se ne allontana ruotando su sé stessa. Eppure saperlo, saperselo spiegare, è sempre leggermente inadeguato rispetto a ciò che vediamo”.