Se l’immaginario della protesta politica guarda pericolosamente al passato
Le ultime manifestazioni ci hanno consegnato l’immagine di una coreografia che mette in scena azioni già avvenute negli scorsi decenni. Non c’è un altro modo di protestare efficacemente contro una situazione oggettivamente insostenibile e potenzialmente molto, molto pericolosa? Quale è il ruolo degli artisti oggi?
Viviamo un’epoca in cui gli immaginari si avvitano.
Un esempio, tra i tanti, è la manifestazione dello scorso sabato 5 ottobre a Roma: o meglio, la coda violenta e gruppettara della manifestazione, così come si è vista, ed è stata rappresentata, nei TG nazionali.
I ragazzi (adolescenti, in molti casi neanche ventenni) che a un certo punto si scagliano contro il cordone della polizia stanno mettendo in atto, in realtà, una sorta di coreografia. Una coreografia violenta, certo, ma pur sempre qualcosa che attiene al territorio della rappresentazione.
La nostalgia nella rappresentazione della protesta
Nel momento in cui le guerre e i conflitti, sempre più atroci, vengono combattuti a colpi di droni e supermissili e scudi aerei e cercapersone che esplodono improvvisamente e contemporaneamente, come frutto di una programmazione iniziata non mesi ma anni fa (dieci, per l’esattezza), e di banche dati e ricerche facciali e, ovviamente, intelligenze artificiali impiegata a scopi militari, qui in Italia la scelta è quella di dare vita, appunto, a una rappresentazione a modo suo nostalgica di ciò che avveniva nelle nostre strade e nelle nostre piazze esattamente cinquant’anni fa. Come ogni forma di nostalgia, infatti (la stessa che vediamo in azione al cinema, nelle serie tv, nella moda e nella musica), anche questa risulta spesso, e in buona parte, inconsapevole. Il che non la rende meno interessante: non c’è in effetti nostalgia più efficace e totalizzante di quella per un tempo che non si è mai vissuto. Si riconosce perciò una strana forma di ‘consolazione’ nel gesto di tirare un sampietrino o un segnale stradale contro i poliziotti decisi a non far passare il corteo. È una sorta di memoria biologica, involontaria.
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Le forme nostalgiche del dissenso
In un contesto che risulta sempre più incomprensibile, sfuggente, minaccioso in modi alieni e sconosciuti, accelerato, anche la violenza – o la sua rappresentazione – diventa una forma di escapismo. Così, accade che la fantasia e l’immaginazione dimostrate dal movimento ecologista di questi anni evaporano davanti a una protesta che si richiude e si rinchiude prontamente in forme un po’ stantie e polverose. Anni Settanta – Anni Ottanta – Anni Novanta – Anni Zero…
Si ritorna sempre indietro, al nucleo oscuro di un passato che vuole ostinatamente, e disperatamente, ritornare. A un passato che non passa, ma che si ripresenta.
I celerini con casco manganello e divisa verdone, Valle Giulia, Pier Paolo Pasolini che prende le parti dei poliziotti proletari e contadini contro gli studenti borghesi: “I ragazzi poliziotti / che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale) / di figli di papà, avete bastonato, / appartengono all’altra classe sociale. / A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento / di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte / della ragione) eravate i ricchi, / mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, / la vostra! In questi casi, / ai poliziotti si danno i fiori, amici.” E poi la P38 e il segno della P38, i fumogeni, i servizi d’ordine, Lama, San Babila ore 20, Bologna, il ‘77 e i settantasettini, l’esproprio proletario, Il Male e Frigidaire, Andrea Pazienza… Fino alla fusione nucleare di Amore tossico, 1983, e quindi “Ma come? Dovemo svortà e te piji er gelato?” e “Andò s’annamo a spertusà a venazza?”, e Michela che va in overdose a Ostia sotto il monumento a… Pasolini.
Indietro, ancora e ancora e ancora: KOSSIGA / GOVERNO BOIA / COMPAGNO PCI, T’HANNO FREGATO, NIENTE COMUNISMO, MA POLIZIA DI STATO / VIVA VIVA LA DC, CARRI ARMATI ANCHE QUI / GIRO GIRO TONDO, CASCA IL MONDO, CASCA IL GOVERNO, ANDREOTTI ALL’INFERNO / PROVOCATORI SONO PCI E SINDACATO, CHE PIENI DI PAURA INVOCANO LO STATO…
Gli slogan del passato che ritorna
Certo, gran parte di quegli slogan mostrano una creatività che sembra difettare alle attuali manifestazioni e sigle. La domanda però è un’altra, o almeno credo: non c’è proprio un altro modo di protestare efficacemente, in questa fase storica, contro una situazione oggettivamente insostenibile e potenzialmente molto, molto pericolosa? Non esistono forse, in Italia, in Europa, giovani comunità creative e politiche in grado di mobilitare in modo potente e innovativo il pensiero di una massa critica di persone su questioni importanti, vitali, attuali? Io penso di sì. E penso anche che gli artisti potrebbero, se volessero, dire la loro a questo proposito, e contribuire attivamente a un discorso pubblico che si fa più urgente e necessario di giorno in giorno.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…