10 opere da non perdere alla fiera Art Basel Paris 2024

La nuova Art Basel Paris ha mostrato i muscoli sotto la cupola del Grand Palais. Ecco alcuni highlight, tra gli artisti storicizzati e quelli più giovani, che il pubblico non dimenticherà da questa edizione della fiera secondo noi

Dopo le due edizioni tenute al Grand Palais Ephémère nel 2022 e nel 2023, finalmente Art Basel Paris si è appropriata della sede che aspettava e le spettava e fino al 20 ottobre 2024 accoglie le migliori gallerie del mondo, nelle sezioni Galeries, Emergence e Premise, sotto la straordinaria cupola in vetro del Grand Palais di Parigi.

Come sempre accade per le fiere, l’influenza delle mostre inaugurate nei giorni precedenti e in corso in città ha influenzato molte delle scelte espositive, mantenendo però una commistione di tendenze ben variegata. Dal Surrealismo all’Arte Povera, per arrivare all’arte più contemporanea, spesso costituita da giochi formali dalla parvenza quasi ingegneristica e densa per ricerca concettuale. Vediamo le opere migliori.

Elisabetta Pagella

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Jannis Kounellis da Cardi Gallery

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Alicja Kwade da Mennour

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René Magritte da Landau Fine Art

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Alighiero Boetti da Tornabuoni

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Kehinde Wiley da Templon

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Michelangelo Pistoletto da Galleria Continua

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Julius Von Bismarck da Esther Schipper

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Georg Baselitz da Thaddaeus Ropac

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Giovanni Anselmo da Marian Goodman

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‘I ready made appartengono a tutti’ da Jan Mot

La galleria milanese presenta uno stand storico che rende onore alle Neoavanguardie con un’attenzione particolare all’Arte Povera, quest’anno celebrata da un’ampia retrospettiva alla Bource de Commerce, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev. A catturare l’attenzione sono due opere di Jannis Kounellis del ‘94, vendute già il giorno dell’apertura tra €250.000-350.000 ciascuna. Esposte per la prima volta in occasione della sua mostra alla Galerie Lelong nello stesso anno, i due lavori sono legati tra loro dalla struttura portante: una cassa di legno. L’artista iniziò ad utilizzarla negli Anni Sessanta. Celebre l’installazione performativa del ‘67 in cui costruì una cassa tanto grande da permettergli di stare in piedi al suo interno e, aperta da un lato, vi si mise di spalle con un piccolo specchio che rifletteva il suo volto all’esterno. Di questa azione, mai vista dal pubblico, rimane solamente una fotografia. Quasi trent’anni dopo, Kounellis riprese, rivisitandola, quella stessa installazione. Ciascuna cassa è delle dimensioni originarie ed al suo interno rispettivamente quattro pietre tenute in sospeso da un robusto filo di metallo e tre travi in ferro che sorreggono un plico di fogli di grande spessore e dimensione. A confronto la durezza della roccia e la fragilità della carta, entrambi sospesi in un equilibrio individuale e in una reciproca precarietà.

Cardi Gallery, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024, courtesy Cardi Gallery
Cardi Gallery, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024, courtesy Cardi Gallery

Svetta da Kamel Mennour l’opera di Alicja Kwade, L’ordre des mondes (Totem), nell’angolo esterno dello stand. Con un price range tra i 400.000 e i 500.000 euro, l’opera è costituita da cinque sedie in bronzo patinato impilate l’una sull’altra, con, al posto della seduta, delle sfere in pietra di dimensioni e qualità differenti, a creare un gioco cromatico e di spessori evocativo di una possibile congiunzione astrale. L’artista polacca, classe ‘79, vive e lavora a Berlino ed è attualmente in mostra a Parigi nella sede della galleria in Rue Saint-Andrés-des-Arts. La sua ricerca indaga e mette in discussione le nozioni universalmente accettate di spazio, tempo, scienza e filosofia. Kwade lavora spesso con oggetti d’uso quotidiano uniti a forme create da materiali naturali, come il Bianco di Carrara e il Rosso Portogallo in questo caso. Sono “le forze naturali e sociali che modellano le nostre vite e la nostra percezione della realtà”, evidenzia l’artista.

Mennour, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris, 2024, courtesy the artists and Mennour, Paris, ph. Archives Mennour
Mennour, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris, 2024, courtesy the artists and Mennour, Paris, ph. Archives Mennour

Insieme all’Arte Povera, la mostra dedicata dal Centre Pompidou al Surrealismo, nell’anno del suo centenario, ha portato una ventata onirica anche ad Art Basel Paris. Un’opera delicata e romantica e di grande suggestione è Le corde sensible di René Magritte, esposta da Landau Fine Art. L’opera è passata in asta nel 2017 da Christie’s, dove è stata venduta per 14,4 milioni di sterline. È un paesaggio ideale, su cui poggia in maniera leggiadra un bicchiere, con al suo interno una nuvola, che, appena contenuta in esso, sconfina e sfoggia il suo volume in un cielo limpido. Il lavoro era stato concepito dall’artista come dono per la moglie, Georgette. L’artista lottò molto nel processo di realizzazione del lavoro, soprattutto per il “problema della nuvola”, come scrisse all’amico e poeta André Bosmans. La soluzione si rivelò essere il bicchiere di vetro vuoto, che conferì all’opera una silhouette. “Sento l’impulso di dipingere una nuvola, forse cento. E le circondo con forme il cui significato mi sfugge, finché non vengo nuovamente visitato dall’ispirazione e so che ciò che è adatto sotto la nuvola è un bicchiere di cristallo”.

René Magritte, La corde sensible, oil on canvas, 114 x 146 cm, 1960
René Magritte, La corde sensible, oil on canvas, 114 x 146 cm, 1960

Lo stand di Tornabuoni folgora i suoi visitatori con una Mappa di Alighiero Boetti del 1989-1991 di dimensioni monumentali, 265×600 cm. Il capolavoro, venduto a un museo (e come biasimarlo) appartiene a una delle sue serie più iconiche, realizzata tra gli Anni ‘70 e ‘90. La regola dettata da Boetti era che ogni nazione fosse realizzata con i colori della propria bandiera e con i confini ben definiti. Proprio per questo ogni lavoro è facilmente databile, poiché racconta un momento geopolitico attraverso la sapiente manifattura delle donne afgane. Con l’invasione della Russia, alle stesse ricamatrici Boetti fece scegliere se rappresentare il loro Paese con la vecchia bandiera a tre colori, uno spazio bianco o la parola “Khalq” (popolo) su uno sfondo monocromo. La cornice dell’opera recita così: “Mettere al mondo il mondo mettere i verbi all’infinito mettere il sale nelle cose così Alighiero e Boetti scrissero e riscrissero nell’anno novanta fatto in Afghanistan”.

Tornabuoni Art, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024
Tornabuoni Art, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024

L’artista statunitense Kehinde Wiley, che collabora da nove anni con la galleria francese Templon e con cui ha realizzato la sua prima personale in Francia, presenta in fiera un lavoro d’impatto, e non solo per il minuzioso realismo con cui è stato realizzato. L’opera si intitola Alain Tala and Teddy Siemogne e fa parte della serie World Stage France: 1919-1960. L’artista è partito alla ricerca di volti dal Marocco al Camerun in un viaggio inaspettato alla scoperta delle culture africane e della storia coloniale della Francia in Africa. Dagli incontri casuali avvenuti con i giovani dei vari luoghi sono nati questi ritratti barocchi, pieni di ornamenti, con riferimento ai grandi maestri. “Il colonialismo non è mai finito, ma si è evoluto in quello che oggi chiamiamo un tipo di progetto neocoloniale. Ma, delineando un senso dell’arco della storia e della presenza coloniale in Africa, ciò che iniziamo a guardare non è solo un rapporto con la pittura, ma anche tracciare linee di collegamento tra le due cose”, afferma l’artista.

Templon, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024
Templon, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024

Dopo la sua performance alla Pinault Collection il 14 ottobre, Michelangelo Pistoletto è anche già in fiera il giorno seguente. Parla con galleristi, amici e collezionisti di fronte a Buco Nero. Opera monumentale di 269×380 cm, con un prezzo che si aggira attorno ai 500.000 e i 600.000 euro, la forma circolare e piana dello specchio d’argento forma un buco nero assorbente. Si crea così una polarità tra il riflesso dello spettatore e l’oscurità, tra finito e infinito. Lavoro coerente con l’evoluzione della ricerca artistica di Pistoletto, che infatti è stato presentato anche alla retrospettiva Année1 – Le Paradis sur Terre al Musée du Louvre nel 2013, in occasione degli ottant’anni dell’artista.

Michelangelo Pistoletto, Buco Nero, 2010, black and silver mirror, gilded wood, 269 x 380 cm courtesy Galleria Continua
Michelangelo Pistoletto, Buco Nero, 2010, black and silver mirror, gilded wood, 269 x 380 cm courtesy Galleria Continua

Quella che pare una fedelissima riproduzione della lupa capitolina in legno e niente di più, ad un tratto viene meno, letteralmente. Le giunture cedono, e le zampe e il collo dell’animale, in momenti differenti, si lasciano andare, come a scomporsi, per poi ritornare alla posizione iniziale. Si rivelano così i fili dell’argano, un meccanismo semplice che tramite l’applicazione di forze verticali permette lo spostamento di pesi. Come quei giocattoli che ci vengono dati da bambini, che quando si preme la parte sottostante divengono duttili, per poi, non appena si molla la presa, tornare rigidi. Julius Von Bismarck (1983, Breisach am Rhein) ha un approccio al lavoro multidisciplinare, con un impegno costante nei confronti del mondo e delle condizioni fisiche che determinano l’esistenza della vita e delle forme naturali sul pianeta. Attraverso progetti ambiziosi, tra tecnologie e meccanismi complessi, l’artista lavora e gioca anche con la sensazione di pericolo e precarietà, come in questo caso. In cui la scultura, davanti agli occhi dello spettatore, fa per crollare.

Julius von Bismarck, Zwei Wölfinnen (Wilde Mutter), 2024, legno, argani, regolatori, zoccolo in legno, 153 x 130 x 61 cm, edizione di 3 più 1 prova d’artista, courtesy Esther Schipper
Julius von Bismarck, Zwei Wölfinnen (Wilde Mutter), 2024, legno, argani, regolatori, zoccolo in legno, 153 x 130 x 61 cm, edizione di 3 più 1 prova d’artista, courtesy Esther Schipper

In una collaborazione che dura da più di vent’anni, Thaddaeus Ropac presenta ad Art Basel Paris un’opera del pittore tedesco Georg Baselitz dal titolo Sterne im Fenster (Stelle alla finestra) del 1982. Anche qui le dimensioni sono museali, 250×250 cm. Enorme il riconoscimento dell’artista nella seconda metà del XX Secolo, per l’impatto che ebbe nella rivoluzione della pittura tedesca in risposta alle rovine della Seconda Guerra Mondiale. Dal 1969, l’artista realizza le sue composizioni a testa in giù, come l’opera in stand da Ropac, così da navigare tra astrazione e figurazione: l’ambiente scompare, in una gestualità del colore esacerbata, a cui l’uomo riesce a sopravvivere parzialmente. L’unico punto limpido è la finestra, da cui potrà vedere le stelle.

Thaeddeus Ropac, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024
Thaeddeus Ropac, veduta parziale dello stand, Art Basel Paris 2024

Marian Goodman presenta Entrare nell’opera, tra i lavori più emblematici di Giovanni Anselmo se si pensa al concetto e soprattutto al processo di realizzazione. L’artista ha sistemato la macchina fotografica sul cavalletto, ha messo a fuoco un punto, ha cliccato l’autoscatto ed ha cominciato a correre per poter raggiungere il punto della messa a fuoco e quindi “entrare nell’opera”. Così facendo Anselmo è diventato sia l’autore che il soggetto rappresentato al suo interno. Irrompe nel lavoro ma viene rappresentato nel momento in cui tenta anche di sfuggirvi. A nemmeno un anno dalla sua dipartita Anselmo continua a fare eco nelle menti di chi passa e lo guarda. “Per concretizzare qualcosa che non ha limiti si può solo farlo con qualcosa in scala 1:1, che sia misurabile e che quindi corrisponda come quantità e come misura a un particolare di qualcosa che ne ha infiniti”, affermava l’artista, protagonista di una mostra al MAXXI di Roma fino allo scorso 6 ottobre 2024.

Giovanni Anselmo, Entrare nell’opera, 1971, stampa fotografica su tela, 227.3 x 176.2 cm
Giovanni Anselmo, Entrare nell’opera, 1971, stampa fotografica su tela, 227.3 x 176.2 cm

Davanti al proliferare di chilometri e chilometri di pittura, qui e in tutte le fiere del mondo, bisogna anche notare chi va coraggiosamente e coerentemente in controtendenza: Jan Mot non si è mai spostato, nemmeno di un millimetro, dalla sua linea minimalista e concettuale. L’artista i ready made appartengono a tutti è un’agenzia creata dall’artista Philippe Thomas proprio per sovvertire l’ossessione per l’autorialità. Thomas stesso non ha mai firmato i suoi lavori: era il collezionista semmai che, una volta acquistata una sua opera, la firmava e ne diventava l’autore. Nell’opera Pubblicità, pubblicità l’artista annuncia l’apertura dell’agenzia sul territorio francese, così finalmente “verrete a prendere il vostro posto accanto ai sommi nei cataloghi dei più prestigiosi musei, gallerie e collezioni private”.

I ready made appartengono a tutti®, Pubblicità, pubblicità, 1988, fotografia in bianco e nero, incorniciata, 157 x 123 cm, edizione di 3 e 1 prova d’artista, vedute della mostra da Jan Mot, 2017
I ready made appartengono a tutti®, Pubblicità, pubblicità, 1988, fotografia in bianco e nero, incorniciata, 157 x 123 cm, edizione di 3 e 1 prova d’artista, vedute della mostra da Jan Mot, 2017
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Jannis Kounellis da Cardi Gallery

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Alicja Kwade da Mennour

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René Magritte da Landau Fine Art

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Alighiero Boetti da Tornabuoni

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Kehinde Wiley da Templon

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Michelangelo Pistoletto da Galleria Continua

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Julius Von Bismarck da Esther Schipper

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Georg Baselitz da Thaddaeus Ropac

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Giovanni Anselmo da Marian Goodman

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‘I ready made appartengono a tutti’ da Jan Mot

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Elisabetta Pagella

Elisabetta Pagella

Elisabetta Pagella nasce a Bergamo nel 1996. Cresciuta a Verbania, sul Lago Maggiore, dopo gli studi classici ha intrapreso il corso di laurea in Lettere a indirizzo artistico con una tesi sulla figura della gallerista Claudia Gian Ferrari, in seguito…

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