Intervista a Yael Bartana: l’anno italiano della grande artista israeliana
Identità, cultura, simboli, diaspora. Le riflessioni della grande artista israeliana nel suo anno vissuto in Italia, tra Milano, Venezia, alla Biennale, e Roma, con una importante residenza a Villa Massimo
L’universo di Yael Bartana (Kfar Yehezkel, 1970) è un territorio che si muove, in modo costante e dinamico, tra utopia e distopia.
Fin dai suoi primi lavori – talvolta di impronta documentarista, talvolta video-installazioni – ha sempre cercato di esaminare e oltrepassare i confini del luogo in cui è cresciuta, Israele, dove si è formata – l’Accademia di Belle Arte Bezalel di Gerusalemme – fino al distacco, avvenuto nell’ultimo decennio, dopo aver spostato il suo baricentro tra Berlino e Amsterdam.
Chi è Yael Bartana
Tuttavia, Bartana non ama collocarsi in un luogo o attraverso un’identità fissa o rigida: “il concetto stesso di identità è sopravvalutato, poiché è non in grado di rappresentare tutta la complessità che ogni identità porta con sé”, esordisce, mentre cominciamo a parlare di questo suo ultimo anno lavorativo, in cui l’Italia ha avuto un ruolo centrale nell’evoluzione del suo percorso artistico.
Dopo aver vinto il prestigioso premio Villa Massimo che l’ha portata a trascorrere un anno in residenza a Roma, questo 2024 si è aperto con la grande sfida della Biennale di Venezia. Non si tratta della prima esperienza per l’artista israeliana presso l’Esposizione Internazionale d’Arte. La prima volta era stata nel 2011, presso il padiglione polacco, mentre quest’anno è stata ospite di quello tedesco.
Il Padiglione Germania alla Biennale di Venezia
Nel corso di questi 13 anni anche la lente di ingrandimento dell’artista si è allargata: dalla ricerca di un luogo di rifugio per la diaspora ebraica, attraverso un utopico ritorno nella Polonia come proposto in And Europe Will Be Stunned, alla ricerca di un “approdo di salvezza per l’umanità intera “che, oggi, trova rifugio sull’astronave Generation Ship: una navicella spaziale che nella sua struttura architettonica ricalca le dieci “emanazioni” – ovvero Sefirot – della Kabbalah ebraica. Come ci spiega Bartana “ogni artista lavora con gli strumenti che ha a disposizione, primo fra tutti la cultura da cui proviene. Per questo, nei miei lavori, vengo ispirata spesso dalla storia, dalla cultura e dalla religione ebraica. Negli ultimi anni ho lavorato spesso sul concetto di redenzione e salvezza nel contesto del misticismo ebraico, concepito come forma di redenzione per l’umanità intera”.
Il grand tour di Yael Bartana in Italia
Non è un caso che il plastico della navicella spaziale sia approdato alla Galleria Raffaella Cortese di Milano – ultima tappa di questo Italian gran tour – che per Bartana risulta quasi un epilogo di questo 2024 e anche della sua trilogia utopica, da cui il titolo “Utopia Now!” che è anche la scritta in neon, parte dell’installazione della mostra e, a sua volta, un omaggio alla riscoperta del movimento futurista in Italia: “Sono sempre stata molto affascinata dal Futurismo italiano e dalla sua influenza, sia dal punto di vista della forma che del contenuto, su altre correnti artistiche internazionali. Il linguaggio – così come i media e la grafica – dei diversi regimi di propaganda sono sempre stati al centro del mio interesse come artista e studiosa. Per vie delle mie origini ebraiche, fin da giovane mi sono interessata alla propaganda tedesca e durante l’esperienza con il Padiglione polacco ho integrato nel mio progetto anche alcuni slogan che un tempo appartenevano alla propaganda della Polonia. Tra questi l’utilizzo del neon, con cui ho creato per la prima volta – utilizzando anche la grafica d’epoca – lo slogan And Europe Will Be Stunned. A metà strada tra scrittura e scultura il neon, nel corso degli anni, è diventato uno dei media che ho utilizzato più spesso per cercare di sintetizzare, grazie all’immediatezza del mezzo, pensieri complessi, attraverso la semplicità dello ‘slogan pubblicitario’ che talvolta uso per porre delle domande e talvolta per estrapolare la sintesi di una riflessione, frutto del sempre molto più lungo e complesso processo creativo. Per questo, in questa ultima tappa milanese, ho pensato immediatamente al neon Utopia Now! E come tappa conclusiva di questo percorso utpico ho anche voluto mostrare la mia ultima videoinstallazione ‘Mir Zaynen Dor! (We Are Here!)’”.
La diaspora nell’opera di Bartana
In quest’opera Bartana racconta, grazie all’uso della performance musicale, il primo passo auspicabile di un viaggio utopico che corre lungo l’intera esposizione. Come ci spiega l’artista, questo lavoro è il risultato di oltre dieci anni di collaborazione con la Casa do Povo di San Paolo, Brasile. Fondata nel 1946 da ebrei sopravvissuti all’Olocausto, questa istituzione continua a sopravvivere e ad operare per commemorare gli ebrei sterminati durante il nazismo, ma anche come luogo di ritrovo per rimanere attivi nel presente. Il film è stato girato nel leggendario Teatro de Arte Israelita Brasileiro, creato nel 1960 nel seminterrato della Casa Do Povo, dove Bartana ha riunito due gruppi che condividono una, pur se differente, storia di oppressione ed esperienza di diaspora: Coral Tradição e Ilú Obá De Min. L’origine del gruppo Coral Tradição risiede nello Yiddishland, un territorio ebraico transnazionale che si estendeva attraverso l’Europa orientale ed era definito dall’uso della lingua yiddish. Ilú Obá De Min, invece, è un ensemble di musica di strada afrobrasiliana, il cui repertorio è tratto da quello delle comunità Maroon. Fondendosi in un’unica performance musicale, i due gruppi ci invitano a immaginare la creazione di altri corpi collettivi, in cui storie di sofferenza si uniscono e attribuzioni identitarie si fondono in una performance di condivisione e solidarietà: “sono sempre stata affascinata dalle loro performance come forma di celebrazione e resistenza. Come donna e come artista, aver partecipato a una performance di 300 donne che suonano e ballano è stata un’incredibile fonte di ispirazione”.
I pini di Roma nella residenza a Villa Massimo
Nel continuum tra utopia e distopia, luci e ombre, musica e silenzio, dinamismo e meditazione, un altro elemento di questa mostra cattura lo sguardo dello spettatore: alcune immagini immortalate nel corso della sua dalla sua residenza a Roma. Pinus (1,2,3,4) sono quattro grandi foto in bianco e nero di pini romani, oggi a rischio di estinzione, spettrali nel loro aspetto, volti a suggerire un futuro distopico, mentre ci si dirige verso l’ignoto, e il sentimento di incertezza si manifesta in queste forme sfocate. Come questi alberi, trascinati dal vento, che appaiono quasi a tratti, sussurrando movimenti incerti e accennando a un nuovo mondo. O, forse, a un mondo destinato a scomparire.
Fiammetta Martegani
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