Un festival di cinema e street art per fare del carcere romano di Rebibbia un luogo di cultura
La ventennale manifestazione interna allo spazio detentivo punta sulla street art per portare detenuti e detenute verso il superamento del digital divide
Forse la bellezza non salverà il mondo, come affermò Dostoevskij, ma “l’arte sicuramente può renderlo un posto migliore”: a dirlo sono Fabio Cavalli, regista del Teatro Libero di Rebibbia e condirettore con Laura Andreini del Centro Studi Enrico Maria Salern, e Alessandro De Nino, storico collaboratore del Centro e Art Director di Rebibbia Digital Graffiti. Sono loro a portare nel carcere di Rebibbia, a Roma, un nuovo progetto che vuole fare del luogo di detenzione anche un luogo di cultura e apertura.
“Rebibbia Festival 2024”, una manifestazione che trasforma il carcere in un’accademia
Il carcere dovrebbe essere uno spazio di rinascita e cambiamento, e Rebibbia Nuovo Complesso rispecchia questa visione anche nella concezione architettonica: progettata da Sergio Lenci negli Anni Sessanta, la struttura ha delle grandi aule adibite all’insegnamento. Sebbene non sia ancora pienamente votato alla reintegrazione dei detenuti nel tessuto sociale, sicuramente sta compiendo dei movimenti in quella direzione. Tra questi, il Rebibbia Festival 2024, manifestazione che ormai da vent’anni, anima le sale del carcere con eventi di teatro, cinema, musica e arte in cui sono coinvolti i detenuti, i frequentatori della struttura e il pubblico. Quest’anno il Rebibbia Festival è a tema street art con Rebibbia Digital Graffiti, un progetto di rigenerazione urbana che coinvolge i detenuti e le detenute del Laboratorio di Arti Visive, condotto da Alessandro De Nino, in un grande affresco murale (visitabile anche online).
Obiettivo del Rebibbia Festival 2024? Colmare il digital divide. Parola a Fabio Cavalli
“Questo progetto si inserisce nel più ambizioso programma di insegnamento di arte digitale all’interno di Rebibbia” ha spiegato Fabio Cavallo. “Generalmente le persone danno per scontato l’uso di pc, smartphone, altri device senza tener presente che il carcere rappresenta un mondo a parte, in cui la tecnologia è bandita, i cellulari e i computer sono proibiti e l’Intelligenza Artificiale è fantascienza. I detenuti, oltre a tutte le altre difficoltà che devono superare per re-immettersi nel tessuto sociale dopo la pena, devono fare i conti anche con un abissale digital divide. Per colmare questa lacuna, esasperata ulteriormente durante la pandemia, da un paio d’anni ci stiamo impegnando per trasmettere competenze digital attraverso una didattica pratica, basata sul concetto learn by doing. Così, quest’anno abbiamo deciso di far uscire il programma di digital art fuori dall’aula, trasformandolo in un progetto di rigenerazione urbana”.
L’art director Alessandro De Nino racconta “Rebibbia Graffiti”
“Tra i detenuti semplici” ha spiegato Alessandro De Nino, “c’è un’elevata percentuale di stranieri, quindi l’approccio all’insegnamento deve essere dinamico e coinvolgente, nel pieno rispetto dei diversi background. Questo mi spinge a impostare le lezioni su riferimenti concreti, accessibili a tutti. In particolare, per spiegare la percezione spaziale e la composizione, ho invitato gli allievi a guardare fuori nel cortile dove c’era il vecchio murale, ormai tutto rovinato. Nel restituire l’immagine disegnandola, molti di loro si sono stupiti di averla resa molto più bella di quanto non fosse in realtà: quell’osservazione è stata il là per spiegare che l’arte può anche trasformare la realtà. Migliorandola. Da questa suggestione è nato tutto il progetto”. “A quel punto”, ha continuato “dopo aver individuato l’area su cui intervenire, il Cortile Passeggio Reparto G8, e aver risolto le questioni materiali e logistiche con il sostegno del Centro, ci siamo occupati del concept, cercando un soggetto che potesse rispecchiare tutti i partecipanti, per la maggior parte persone trans di origine sudamericana”. Data l’area designata, il cortile preposto all’ora d’aria, c’è stata subito comunione di intenti: “Sviluppare l’idea di libertà. Un pensiero costante e condiviso tra i detenuti, prefigurato come un paesaggio sconfinato, dall’orizzonte infinito, popolato da immagini evocative di animali in grado di superare confini e barriere”. “Così”, ha proseguito, “il murale è diventato un racconto di riscatto sociale e crescita personale. In cui animali fantastici, metafora delle allieve, compiono un processo di evoluzione e metamorfosi lungo un percorso irto di ostacoli, per arrivare alla sospirata libertà. Portando nel cortile una ventata di speranza e possibilità”. “A livello tecnico” ha concluso “abbiamo adottato uno stile fiabesco, di carattere illustrativo, ispirato ad artisti come Lorenzo Mattotti; connotato da colori caldi e un immaginario esotico, ricordo della foresta pluviale da cui molte allieve provengono”.
Questo è solo il primo di una serie di appuntamenti: il Festival che trasforma Rebibbia in un’accademia prosegue tra il 23 e il 25 ottobre con la sezione Cinema del Festival (a cui prenotarsi tramite email) che vede la partecipazione – in gemellaggio con la Festa del Cinema di Roma – anche dei Manetti Bros per la presentazione del loro ultimo film U.S. PALMESE.
Ludovica Palmieri
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