Molto inchiostro è stato versato per raccontare l’evoluzione della moda nel corso del tempo, ma il ruolo cruciale della critica in questo contesto rimane spesso nebuloso e poco esplorato. Sebbene il mestiere del critico sia stato romanzato da una specifica filmografia degli anni Duemila, come Sex and the City e Il diavolo veste Prada, si tratta in realtà di una professione di grande serietà, poiché ha il compito di svelare significati nascosti e rendere accessibile l’incompreso guidando la parola là dove la moda, per sua natura visiva, non può arrivare.
Antonio Mancinelli: i pregiudizi sul giornalismo di moda
Per secoli il giornalismo di moda italiano è stato associato al pregiudizio di essere uno ambito dedicato esclusivamente a frivolezze e vanità, in cui donne colte ed emancipate si limitavano a descrivere figurini e dispensare consigli di bellezza. Nonostante gli sforzi di giornaliste influenti come Camilla Cederna, Irene Brin e Natalia Aspesi, la scrittura femminile èrimasta perlopiù relegata a contenuti superficiali ignorandone le profonde implicazioni sociali, politiche ed economiche fino a metà degli anni Novanta. Antonio Mancinelli, che ha iniziato la sua carriera nel 1991, è stato il primo critico e giornalista uomo a scrivere di moda in Italia, suscitando l’incredulità di molti colleghi, incapaci di comprendere come una penna così acuta ed esperta potesse occuparsi di argomenti considerati tipicamente femminili: “Quando ho iniziato io il giornalismo di moda era considerato assolutamente secondario a causa di una concezione maschilista del giornalismo in generale. Mi dicevano: ma tu scrivi bene, perché devi occuparti di queste cose?”
Il giornalismo di moda prima e dopo
Negli anni Ottanta, il giornalismo anglosassone ha iniziato a riconoscere l’importanza della critica di moda, scoperchiando il vaso semi-sconosciuto dei Fashion Studies, strettamente legati alla svolta culturale e alla critica postmoderna delle scienze umane. L’Italia, nel tentativo di seguire l’esempio degli Stati Uniti e del Regno Unito, ha cominciato a scardinare le convinzioni del passato. “C’è ancora un grande pregiudizio nel pensare che occuparsi di moda non comporti anche una critica seria nei suoi confronti. Eppure, siamo abituati a seguire i critici della televisione, dell’alta cucina, della musica, e dell’arte, quindi perché non seguire quelli di moda?” dice Mancinelli. “Negli ultimi quindici anni, noi critici e giornalisti abbiamo fatto di tutto per imporre una visione culturale precisa, proponendola come chiave di lettura della società”. Eppure “C’è sempre stata un’eccessiva ubbidienza alle richieste degli inserzionisti o dei brand, che offrono pubblicità in cambio di complimenti meravigliosi e pareri di folle entusiasmo. Io se vengo escluso da eventi e sfilate seguo il principio della giornalista Suzy Menkes: non vado, ma posso commentare e parlarne perché sono un mio strumento di lavoro e la libertà di elaborazione, quella almeno, non può essere limitata”.
Giuliana Matarrese: le opinioni non contano
Invece, Giuliana Matarrese, fashion editor at large di Linkiesta e una delle giornaliste più autorevoli nel panorama editoriale italiano, con firme su testate prestigiose come Vogue Italia e Icon, rappresenta un esempio di approccio critico che, con un certo disincanto pratico, cerca di raccontare gli intrecci della moda a un pubblico sempre più eterogeneo e variegato evitando il linguaggio troppo istituzionale del cartaceo. Ma quali sono le principali sfide che oggi un critico di moda deve affrontare e quale dovrebbe essere il suo obiettivo? “Per quanto l’unicità di una voce, e di conseguenza di una penna, siano caratteristiche ad oggi fondamentali nel mare magnum dei social, e siano capaci di farti guadagnare un posto al sole e magari anche un pubblico, non bisogna mai dimenticarsi che un giornalista, su Internet come sulla carta stampata, non è qualcuno che ha opinioni”.
Il compito del critico di moda
La diversità di domande porta a una diversità di risposte, stimolando un sano scambio di opinioni. “Il compito del critico di moda, secondo la mia personale visione, è non tanto affogare nell’autocompiacimento, quanto spingere i lettori ad una riflessione. Le opinioni di chi legge potranno continuare ad essere divergenti, ma si sarà più inclini a guardare chi ha un’idea diversa dalla nostra, non tanto quanto l’esponente di una fazione nemica, quanto un’altra possibilità di interpretare il presente”. Eppure, spesso si assiste allo schieramento di “tifoserie da stadio” che giudicano senza mezzi termini ogni novità che la moda propone, cavalcando un sensazionalismo superficiale e talvolta becero. Sarà forse l’indipendenza intellettuale, lontana dalle logiche commerciali, ciò che i lettori apprezzano di più? “I lettori sono divenuti più consapevoli delle logiche stringenti che si celano dietro l’investimento pubblicitario di una maison su un giornale, e cercano sui social una pluralità di punti di vista che nei giornali mainstream non ritrovano. In questo momento di transizione, sui social è possibile trovare di tutto, ma credo che ad oggi chi fa il critico di moda debba mostrare: da una parte, un senso di responsabilità e un rispetto della deontologia, perché siamo giornalisti, non influencer; dall’altra, la voglia di raccontare a quanti ti leggono quali sono le complessità di questo universo senza prendersi troppo sul serio”.
Claudia Potycki: professione outsider
Esistono anche nuovi volti che stanno conquistando spazi, seppur virtuali, un tempo inaccessibili e che raccontano di un mondo mainstream costretto ad adattarsi agli scossoni degli ultimi vent’anni. Claudia Potycki, fashion designer e content creator con più di 50 mila follower su TikTok, è un esempio di come la moda possa essere condivisa e reinterpretata attraverso brevi video quotidiani, spesso virali. “Trovo che l’aspetto interessante sia che, soprattutto all’inizio, non sono vincolati da restrizioni. Possono essere sinceri, molto più degli addetti ai lavori” dice: “E questo vale sia nei casi di critiche negative, ma anche nel dare attenzione a brand interessanti che non hanno il budget per grandi pubblicità o operazioni di marketing. Poi, essendo svincolati dal sistema, hanno un modo diverso di costruire la critica, in base anche al proprio background”. La libertà di chi crea implica inevitabilmente anche la libertà di chi giudica, sebbene a volte in modo superficiale e leggero. C’è una percezione diffusa, soprattutto nel mondo della moda, secondo cui i creator producono contenuti con rapidità e facilità, insinuando quasi che non sia un lavoro vero e proprio. “Penso che nessuno al di fuori dei creator possa comprendere veramente quanto lavoro è necessario. La ricerca può durare ore se non giorni, soprattutto quando le informazioni su eventi, sfilate e prodotti sono difficilmente accessibili”. Studio, impegno e duro lavoro raccontano la moda come fenomeno sociale, specchio delle dinamiche culturali e strumento di espressione identitaria. Che si scriva sulla carta stampata o si parli sui social media, è la qualità del dibattito a svelare la sua profondità. Forse è proprio questa la rivoluzione di cui la moda aveva bisogno: un approccio che valorizzi la sostanza oltre l’apparenza.
Marta Melini
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