“Bonami scredita il mondo dell’arte”. Paparoni dixit
Non le manda a dire Demetrio Paparoni, in questa lettera aperta che Artribune pubblica come veicolo e preludio di nuove discussioni, nuove prospettive, nuovi dibattiti. Anche secondo voi Anish Kapoor non è un grande artista? Anche secondo voi Ai Weiwei se l’è andata a cercare? In attesa di una replica di Bonami stesso.
Francesco Bonami non è un critico, non lo è mai stato. La ricerca di sensazionalismo lo ha più volte portato a far propria la tattica secondo cui più la spari grossa, più fai parlare di te. Che poi si parli bene o male, questo sembra essere per lui del tutto secondario. Non contento di essersi coperto di ridicolo affermando che Jannis Kounellis non è un artista significativo, adesso alza il tiro e spara su Anish Kapoor, del quale stanno per essere inaugurate due grandi mostre a Milano, curate da Gianni Mercurio e da me. Seguo il lavoro di Kapoor dal 1981, da allora lo considero uno dei più grandi artisti viventi (non sono il solo, ovviamente). Conoscendolo bene, so quanto sia insofferente al potere e alle strategie di piccolo cabotaggio. Uno come Bonami a Kapoor non poteva piacere.
So anche come, con l’insulto attraverso i media ai quali ha accesso, Bonami abbia sempre tentato di demonizzare chiunque non gradisca avere a che fare con lui. Ebbene, adesso, a pochi giorni dall’inaugurazione delle mostre milanesi, Bonami scrive su Vanity Fair, tra amenità e volgarità, che il lavoro di Kapoor, alludendo a un vuoto di significati, “come un canto buddista lascia la nostra testa libera dal pensiero”. Ora, si dà il caso che, se c’è una testa libera dal pensiero critico, è proprio la sua: lo dimostra il fatto che i suoi interventi sono una sequenza di battute a effetto, interventi che con la critica d’arte hanno poco o nulla a che fare. Emulando Emilio Fede, Bonami storpia i nomi di chiunque non accetti di entrare a far parte della sua corte; imitando i comportamenti della classe politica di ieri e di oggi, dedica più tempo alla costruzione del consenso e alle relazioni che a realizzare mostre con un vero progetto critico e che non siano solo un elenco di nomi. Quando scrive, poi, indulge nella battuta per dare a chi frequenta l’arte con poca assiduità la sensazione che d’arte si possa scrivere in maniera comprensibile davvero a tutti.
Fosse solo questo, potremmo anche farcene una ragione: tanto peggio per chi gli dà credito e tanto meglio per chi dal suo lavoro trae benefici. Purtroppo c’è dell’altro, c’è assai peggio. Nel suo sgomitare alla ricerca di posti al sole, il 6 dicembre 2010 Bonami ha scritto su Il Riformista un articolo [sotto riportato per intero, N.d.R.] nel quale gettava fango su Ai Weiwei, arrivando a sostenere che, rispetto al regime cinese, l’artista oggi in prigione con la pretestuosa accusa di evasione fiscale era più un diversivo che un sovversivo. Secondo lui, l’allora non abbastanza difeso in Occidente Ai Weiwei era stato “finalmente messo agli arresti domiciliari”.
Ma quello che più mi ha indignato è che l’articolo ricalcava fedelmente quanto anche a me, quando ero in Cina, era stato suggerito di scrivere da parte di collezionisti e galleristi influenti: gente che, come chiunque in Cina sia benestante, trae non pochi benefici dall’attuale sistema di governo. Più volte mi era stato fatto capire che, se avessi scritto quelle falsità, mi sarei accreditato quanto bastava per concorrere a ricoprire qualche incarico museale. Lo stesso era stato dato ad altri critici americani che, naturalmente, oltre a essersi ben guardati dal gettare fango su Ai Weiwei per screditarne l’immagine in Occidente, si sono fatti carico di promuovere le diverse raccolte di firme a sostegno dell’artista.
Gli attacchi di Bonami ad Ai Weiwei e, adesso, a Kapoor (che, non a caso, in favore di Ai Weiwei ha lanciato una campagna) vanno nella stessa direzione: esprimono il fastidio per chiunque, con la propria visione etica dell’arte e della vita, rischia di smascherare chi invece della vita e dell’arte ha una visione talmente cinica da perdere anche l’ultimo briciolo di dignità.
Per queste ragioni (ma potrei illustrarne molte altre) penso che Bonami millanti di essere un critico e screditi il mondo dell’arte.
Demetrio Paparoni
L’articolo di Bonami su Il Riformista
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