Moda e progetto a confronto al Museo del Design Italiano della Triennale: il nuovo allestimento

Il nuovo percorso espositivo "Forme mobili" fa dialogare una selezione di oggetti della collezione permanente con alcuni abiti iconici del Novecento e dei primi Duemila. In comune hanno il rapporto con il corpo umano e la capacità di comunicare valori e identità

Moda e design hanno molto in comune, a partire dal loro punto di riferimento naturale: il corpo umano, che viene vestito dall’abito e si muove nello spazio utilizzando gli oggetti per le sue necessità quotidiane, e che in entrambi i casi deve sentirsi accolto e a proprio agio. Questo corpo agente e senziente è al centro del nuovo percorso espositivo del Museo del Design Italiano della Triennale di Milano, appena inaugurato. Intitolato, appunto, Forme mobili, fa dialogare le due discipline mettendo in evidenza il modo in cui si intersecano e si contaminano a vicenda. Come spiegato dal presidente Stefano Boeri e dal direttore del museo Marco Sammicheli, si tratta del risultato di un lavoro di “assorbimento di un’industria che è sempre stata design” che ha impegnato l’istituzione negli ultimi anni, in particolare attraverso l’acquisizione di una serie di fondi dedicati a personalità come Carla CrostaCinzia Ruggeri e Nanni Strada, vista anche l’assenza in città di un polo museale dedicato esclusivamente alla moda. Il tema delle “interferenze” tra fashion design e design tout court apre la strada anche alla retrospettiva sulla figura di Elio Fiorucci, grande sostenitore delle contaminazioni creative, che aprirà a novembre.

Il percorso alla Triennale di Milano tra moda e design

La mostra si sviluppa intorno a dieci temi che sono altrettanti punti di incontro tra la progettazione di abiti e accessori e quella di arredi e interni, dall’osservazione della meccanica anatomica e dei movimenti del corpo allo studio dei materiali e al rapporto con le lavorazioni artigianali o con i linguaggi dell’arte contemporanea, e procede per assonanze e corrispondenze. Nulla impedisce, però, ai visitatori di trovare una propria rete di collegamenti spostandosi negli ambienti a piacimento. Le linee sinuose della poltrona Fiocco, un’icona del design radicale degli anni Settanta disegnata da Gianni Pareschi per Busnelli, o della Karelia (1966) di Liisi Backmann per Zanotta, con i suoi avvallamenti che ricordano i golfi della regione finlandese da cui prende il nome, possono essere visti quindi come anticipatori del panneggio dei vestiti-scultura di Azzedine Alaïa.

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Strada, Mari e Fassina alla Triennale di Milano

E poi ancora l’innovativo abito talare “componibile” studiato da Nanni Strada nel 2005 per la fiera Koiné, con uno strato interno intercambiabile e colorato in diverse tonalità che corrispondono alle varie fasi del calendario liturgico, può richiamare alla mente il lavoro sulla componibilità di Enzo Mari e Giancarlo Fassina per la lampada Aggregato (Artemide, 1976) senza che tra i due progetti ci sia un vero legame. Il meccanismo che consente al tavolo di servizio progettato da Ico Parisi per De Baggis nel 1958 di emergere da una lastra orizzontale può essere avvicinato all’insieme di cuciture che fanno sì che una camicia di Gianfranco Ferré tutta fasce di tulle plissettato dei primi Anni Duemila acquisti tridimensionalità solo nel momento in cui viene indossata, mentre i pattern disegnati da Ettore Sottsass nel periodo di Memphis e i motivi grafici studiati da Ottavio Missoni raccontano la stessa tendenza al massimalismo anni Ottanta.

Lo stile senza tempo di Monica Bolzoni

Lo spazio della Design Platform è dedicato a un approfondimento monografico sulla designer Monica Bolzoni, che all’inizio degli Anni Ottanta ha portato una ventata di novità e anticonformismo nel panorama della moda italiana a partire dal suo negozio in via De Amicis, Bianca e blu, e successivamente ha raccolto i suoi dogmi progettuali in un manifesto. Le sue creazioni, studiate su donne reali a partire dalle loro esigenze e non su un ideale astratto di corpo femminile, nutrite di rimandi all’arte contemporanea e arricchite con materiali nuovi come il pvc o la maglia di metallo, sono talmente atemporali da risultare ancora oggi modernissime. L’allestimento di Paolo Giacomazzi le inserisce in un gioco di specchi che le valorizza ulteriormente, ricordando anche il ruolo di primo piano che il camerino – anch’esso pieno di specchi – aveva nell’economia di Bianca e blu e nel metodo progettuale di Bolzoni, basato sul confronto costante con le sue clienti.

Giulia Marani

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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