A Roma il fotografo-antropologo André Kertész rievoca la malinconia della vita ungherese
A guardare i suoi scatti, pare di vedere i personaggi del Periodo Blu di Picasso. Una malinconia nostalgica e onirica, che si percepisce dall’inizio alla fine di questa affascinante mostra fotografica
Nella cornice di Palazzo Falconieri a Roma, l’Accademia d’Ungheria presenta un’affascinante mostra fotografica che porta in Italia il lavoro di uno dei maestri ungheresi della camera oscura: André Kertész (Ungheria, 1894 – New York, 1985). Una ricca selezione di opere provenienti dal museo commemorativo a lui intitolato, che trasmettono un senso di malinconia paragonabile al Periodo Blu picassiano.
Gli scatti malinconici di André Kertész in mostra a Roma a Palazzo Falconieri
La realtà ritratta da André Kertész (1896-1985) è profondamente nostalgica. I musicanti, colti nella loro spontaneità, quasi ricordano le figure malinconiche del Periodo Blu di Picasso, per le loro esistenze fragili ed isolate nel mondo. Sono violinisti, fisarmonicisti, musicanti rom, fanciulli, adulti, gli ultimi, consumati e dissipati già da quel tempo precario, instabile ed inesorabile che scandisce le vite senza sosta. Il violinista cieco, ritratto in Ungheria nel 1921, racchiude probabilmente l’epilogo di un reportage di strada che Kertész sviluppa in una prima fase con una ICA 4.5×6, attraverso la quale coglie i tanti protagonisti transitori di un tempo che oggi appare lontano. Tempo che, però, ha seminato nell’Europa delle Avanguardie e nel Secondo Dopoguerra tutto quell’interesse antropologico che sarà alla base del Neorealismo fotografico, in cui si mescolano temi visivi legati al tragico, alla ripetizione ossessiva del rito, alla povertà della civiltà contadina.
Le fotografie antropologiche di André Kertész a Palazzo Falconieri a Roma
L’instabilità dei personaggi ritratti da Kertèsz, abitanti di quel sottomodo sfrattato e lontano dalla borghesia, divengono una lente di ingrandimento, una fessura antropologica che – attraverso lo scatto fotografico – si arricchisce di un certo carattere numinoso, sacro, poetico, malinconico. La melodia che quel violinista cieco accorda, accompagnato da due bambini, non è accessibile a chiunque, ma solo a chi, nel tempo complesso e grave della malinconia, sa scrutare dentro il proprio io per attendere di vivere o forse morire per sempre lontano dalle apparenze fugaci del mondo.
Il circo negli scatti di André Kertész a Roma
Anche nel fotogramma Il circo, del 1920, una donna e un uomo scrutano dalla fessura di uno spazio accidentale di un capannone ambulante. A essere raccontata è la geografia intima di quel che resta di un circo, di un’arena, sottolineando ancor più quel rapporto intimo fra la visione e il proibito, in una pulizia formale del bianco e nero che evidenzia il tempo sospeso, immobile e risolto di una dimensione ludica ormai nell’iperbole di crisi.
Il Surrealismo nelle fotografie di André Kertész a Rima
A partire dal 1925, il fotografo ungherese si trasferisce a Parigi e sperimenta la dimensione surrealista attraverso il ciclo delle Distorsioni. Fotogrammi che ritraggono corpi femminili riflessi negli specchi deformanti, quasi fossero ossessioni visive, in una dimensione erotica e tanatologica data da quella radice di temi freudiani, allora, fortemente in circolazione negli ambienti culturali parigini.
Il ruolo di André Kertész nella storia della fotografia
Attraverso questa serie di fotografie esposte a Roma, comprendiamo la veridicità quanto già sostenuto da Roland Barthes, che a proposito di Kertèsz scrive: “la veggenza del fotografo non consiste tanto nel vedere, quanto piuttosto nel trovarsi là”. Si tratta dunque della genesi del fotografo-artista come profeta ispirato, che guarda alle cose sensibili e profonde del mondo con occhi altri, contemporanei. Un dono e una genialità non previsti per tutti.
Fabio Petrelli
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