La Serenissima versione 2.0
Un edificio degli Anni Sessanta in pieno centro a Milano. E una rilettura affidata dalla Morgan Stanley a Park Associati. Vi raccontiamo un altro pezzo del capoluogo meneghino che cambia.
Un parallelepipedo regolare, d’angolo, nel cuore pulsante della Milano che produce. Progettato negli Anni Sessanta in via Turati dai fratelli Ermenegildo ed Eugenio Soncini e noto ai più come Palazzo Campari, esempio perfetto di ciò che, negli anni del boom economico, rappresentava il nuovo aspetto delle industrie italiane di qualità. Oggi una riqualificazione importante, pari a 11 milioni di euro, commissionata dalla celebre Morgan Stanley, per quasi 8.000 mq di superficie calpestabile decisa nel 2008 tramite concorso, si è da poco conclusa.
Pur lavorando nel rispetto e nel mantenimento della preesistenza e del layout originale, gli incaricati Park Associati – studio italiano fondato a Milano nel 2000 da Filippo Pagliani e Michele Rossi – hanno cercato di integrare la struttura con elementi di adeguamento basati su tre punti: strutturale, normativo ed energetico. Ad esempio, hanno lavorato sui prospetti, arretrando le facciate esistenti rispetto al filo stradale, per creare intercapedini tecniche che evitassero il problema (non considerato negli Anni Sessanta) dei fastidiosi ponti termici, punti in cui, a causa dei diversi materiali usati, le differenti dilatazioni termiche portano al deperimento della struttura. Oppure, hanno costruito, in elevazione, delle scatole in alluminio preforato – quasi delle lanterne – sul lato di via Turati, che arricchiscono l’intero fronte, anche grazie all’illuminazione serale.
Hanno allargato il piano terra, dedicandolo al terziario e riqualificato con attenzione il courtyard sottolineando ulteriormente la relazione tra interno ed esterno e creando un continuum spaziale di grande respiro (possedere uno spazio verde cosi intimo nel cuore della capitale meneghina è talmente raro da dover essere rispettato). Inoltre, hanno enfatizzato la flessibilità dinamica degli interni, grazie alla regolarità di stanze che si susseguono, rincorrendosi, e a un buon uso dei connettivi di distribuzione sia orizzontali che verticali.
Il caratteristico colore brunito delle facciate, abbinato alla modularità scandita delle ampie superfici vetrate, garantisce al manufatto una certa importanza e una ricerca di permeabilità con l’intorno: la città vi si specchia e la storia ringrazia.
Giulia Mura
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