Riscoprire la cinematografa Elvira Notari nel libro di Giuliana Bruno
In questa intervista la ricercatrice e docente Giuliana Bruno racconta il suo libro su Elvira Notari, regista silenziata, nascosta e dimenticata che fu pioniera del cinema muto italiano e soprattutto napoletano
Abbiamo incontrato Giuliana Bruno (Napoli, 1957), una delle voci più autorevoli nel campo degli studi visivi. Nata a Napoli e ora residente a New York, Bruno insegna alla Harvard University e ha ottenuto riconoscimenti internazionali per la sua ricerca sulle intersezioni tra arte visiva, architettura e media. Con il suo libro Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, ha introdotto il concetto di “geografia emozionale” e ha vinto il Premio Kraszna-Krausz. Tra le sue opere principali, ricordiamo Pubbliche intimità. Architettura e arti visive e Superfici, a proposito di estetica, materialità e media. Il suo ultimo libro, Atmospheres of Projection. Environmentality in Art and Screen Media, continua a esplorare temi affascinanti nel campo dell’arte e dei media. Nel 2020 ha ricevuto un dottorato honoris causa dall’Institute for Doctoral Studies in the Visual Arts.
Il libro di Giuliana Bruno su Elvira Notari
Oggi ci concentriamo sul suo libro Rovine con vista: Napoli e il cinema di Elvira Notari, recentemente ripubblicato da Quodlibet. Quest’opera rappresenta un viaggio affascinante attraverso la Napoli dei primi del Novecento, esplorando il cinema della pioniera Elvira Notari (Salerno, 1975 – Cava de’ Tirreni, 1946) e la sua casa di produzione, la Dora Film. Giuliana Bruno intreccia cinema, architettura e teoria culturale per offrirci una lettura innovativa della modernità di Napoli e del ruolo delle donne nel cinema. Attraverso questa intervista, Giuliana ci parlerà del suo percorso di ricerca, delle sue scoperte e del significato del suo lavoro oggi.
Intervista a Giuliana Bruno
Come descriveresti Elvira Notari, figura pionieristica nel cinema muto italiano? Quali aspetti della sua personalità e del suo lavoro ti hanno colpita in particolare?
Di Elvira Notari si sapeva ben poco quando, a metà degli Anni Ottanta, cominciai a far ricerca su di lei. Mi aveva innanzitutto colpita, e profondamente, la mancanza di attenzione alla prima e più prolifica cineasta italiana nonché sceneggiatrice di soggetti originali e adattamenti letterari, produttrice, distributrice e proprietaria di una compagnia cinematografica. Tra il 1906 e il 1930 Notari realizzò più di sessanta lungometraggi, oltre cento film di attualità e numerosi cortometraggi commissionati da immigrati del Nord e del Sud America per documentare i loro luoghi di origine. Ma di tutta questa estesa produzione restavano, ed ancora oggi restano, soltanto tre lungometraggi e un pugno di frammenti. È iniziato allora un lungo, avventuroso, direi persino spericolato, viaggio di ricerca. All’epoca, non esistevano ancora Internet, motori di ricerca o siti web, eBay o digitalizzazione di film o documenti. Arrivare a riscoprire Notari più di 30 anni fa è stata un’impresa, che ha richiesto un vero e proprio “streetwalking”, Ho fatto un sacco di “su e giù per le strade”, dai vicoli tortuosi di Napoli alle vie rettilinee di New York, per ricostruire sia la sua figura che il suo contributo alla storia del cinema, alla storia culturale della città di Napoli e del nostro Paese, e alla storia tout-court.
Durante i tuoi anni di ricerca hai scoperto dettagli inediti o aspetti poco conosciuti della vita e dell’opera di Elvira Notari?Si, assolutamente! Innanzitutto, perché mi dovetti confrontare con una “mappa in rovina”, piena di perdite, lacune, frammenti e silenzi. Le prime scoperte su “Le films di Elvira Notari”, pubblicate nel 1988 su Lapis, ancor prima di questo libro, misero anche in luce che il termine stesso che designava il cinema era al femminile. Si chiamava la film. Dal primo momento la mia scoperta di Elvira Notari è stata scoprire anche un nuovo modo di fare storia, di costruire un archivio, in mancanza di documenti e persino di memoria. Per poter raccontare la storia di donne, così spesso dimenticate dalla storia, bisognava muoversi sul margine delle lacune. Ho allora ritrovato le sceneggiature e i programmi di sala. Ho recuperato critiche dei film, volantini e poster o annunci pubblicitari su giornali e riviste, tutti i reperti che trovavo via via, inclusi frammenti di film, fotografie che ritraevano location e foto di scena dei film. Le mie scoperte più sconcertanti rispetto alla figura di Notari sono state scoperte, diciamo, in negativo.
In che senso?
La cosa che più mi ha colpita è che non ho trovato nessuna intervista e neanche uno scritto di pugno suo. A differenza di altre filmmaker, Elvira Notari, per quanto io ne sappia, non ha lasciato nessun intervento suo né sul linguaggio del cinema né sul suo cinema e neanche su di sé, sul suo ruolo o sulla sua vita e biografia. La più importante regista del muto italiana non ha parlato. Ho voluto non solo rispettare ma soprattutto evidenziare il silenzio di questa donna. Per me, questo silenzio parla. E parla chiaro. Non trovo giusto né fruttuoso metterle delle parole in bocca. È facile farlo, e persino sospetto, soprattutto quando si usano parole che riflettono i toni di oggi e non il linguaggio di una donna vissuta allora, che non ha parlato. È anche per questo che non ho voluto scrivere semplicemente una monografia su di lei, come sarebbe stato d’uso. Ho invece scelto una strada più ardua, anche per rendere conto del silenzio, della marginalità e dell’emarginazione.
Cosa intendi con “emarginazione”?
In certo senso, questa pioniera del “silent cinema” è stata anche “silenziata”. Non solo non ha parlato per iscritto, ma i crediti dei suoi film sono stati spesso attribuiti a suo marito, Nicola Notari. Il suo ruolo è stato misconosciuto non solo come filmmaker ma come anche imprenditrice. E c’è poi il fatto che le critiche dei giornali non accoglievano con favore l’opera di questa pioniera del cinema. I suoi film, come molte delle produzioni napoletane, sono spesso state derisi. Ho anche potuto così fare altre scoperte importanti e raccontare nel libro estesamente anche la storia di altre e molto poco note registe italiane, che hanno fatto percorsi diversi da Notari. Nel libro, dedico molto spazio anche a queste altre cineaste, e si scopre che ce ne sono molte di più di quanto si creda! E racconto anche di figure meno visibili o autorevoli, che potremmo chiamare le “lavoranti” del cinema. Tra le mie scoperte più illuminanti c’è il fatto che al montaggio dei film muti lavoravano molto le donne. Elvira Notari stessa aveva cominciato così, colorando pellicole a mano. E da lì riesce a mettersi a capo dell’impresa cinematografica familiare, chiamata Dora Film in onore della figlia.
E riguardo all’accoglienza internazionale delle pellicole di Elvira Notari?
Allargando i confini, la mia scoperta più interessante riguarda l’America, cosa su cui ho fatto molta ricerca originale sul campo. Benché Elvira non avesse mai attraversato l’Atlantico, aveva creato la Dora Film d’America, con un ufficio di distribuzione a New York, sulla 7a Avenue di Manhattan! Elvira realizzò il “sogno americano”. I suoi film viaggiavano, anche senza che lei avesse potuto farlo, e non solo in Italia ma anche tra le comunità degli emigrati italiani, in Sud e Nord America, soprattutto a New York, San Paolo e Buenos Aires. Uno dei momenti più toccanti quando ho fatto ricerca sul campo a New York è stato ritrovare emigrati, in quegli anni ancora in vita, che ricordavano di aver visto “le films” di Elvira.
Elvira Notari e Napoli
Cosa rappresenta per te Elvira Notari?
Attraverso questo avventuroso percorso di ricerca, la figura di Elvira Notari ha finito per rappresentare per me diverse cose. Negli anni, ho finito per instaurare un rapporto di dialogo non solo strettamente storico ma anche creativo, direi persino a volte immaginario, con questa donna dimenticata dalla critica oltre che dal grande pubblico. Il mio viaggio di ricerca è anche un viaggio soggettivo, persino personale. È frutto di un percorso incrociato di transiti, che ha alla base quella che chiamo “geografia emozionale”. Notari ha rappresentato per me una guida, che mi ha anche permesso di ripensare alla mia città e alle sue migrazioni. La figura di questa pioniera, che si inventava un linguaggio nuovo, fatto di immagini in movimento, mi ha resa ancor più sensibile alla storia di Napoli in quanto metropoli di movimento. Ho voluto evidenziare come Elvira Notari, che girava “dal vero” per vicoli e panorami, si era cimentata proprio nel raccontare il moto della città con le sue filmiche motion pictures. In questo movimento, c’è emozione, sommovimento.
Questo libro, dunque, parla di immagini di città e anche di una Napoli vista con i tuoi occhi?
Certo! Napoli non è solo il contesto, è al centro della mia narrazione, sia storica che soggettiva. Le città sono siti di memoria, di emozioni. I luoghi sono anche frutto dell’esperienza e della percezione, anche soggettiva, che se ne ha, attraverso la loro elaborazione artistica, letteraria, figurativa e filosofica. È per questo che dico che il concetto di geografia emozionale che ho poi teorizzato con l’Atlante delle emozioni nasce proprio qui, in questo libro su Napoli.
Mi sono immaginata un modo di guardare Napoli che mettesse a contatto e in circolazione discipline differenti lavorando sul tramite, sui transiti, muovendomi per “passeggiate inferenziali”. Nasce qui un metodo ancor più che interdisciplinare, diciamo “infradisciplinare”. Ho voluto esprimermi con un linguaggio nuovo, di movimento, che si confacesse a quella situazione inedita che era, agli albori della modernità, la nascita di un nuovo mezzo di comunicazione visiva, consentendo inoltre l’affermarsi di un’impresa al femminile inedita come quella di Notari.
Arianna Rosica
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