Flow: al cinema la favola apocalittica senza parole e senza persone
Arriva in Italia il film d’animazione che ha incantato il Festival di Cannes e che rappresenta la Lettonia nella corsa ai prossimi Premi Oscar. In esclusiva mostriamo le tavole realizzate dal regista Gints Zilbalodis
Il protagonista di questa storia è un gatto nero con due occhioni increduli che cercano qualcosa o qualcuno di familiare, senza però trovarlo. Suoni, rumori, versi: in questo film d’animazione non ci sono parole e non ci sono neanche persone. Solo natura e animali, sospesi tra qualcosa che è successo e qualcosa che accadrà. Flow – Un mondo da salvare, nelle sale italiane dal 7 novembre con Teodora Film, è, senza troppi giri di parole, un film sorprendente. Le emozioni e le sensazioni che trasmette sono incredibili, a tratti destabilizzanti.
Flow, un gatto eroe
Quella che viene presentata agli occhi dello spettatore è una storia di solidarietà e di cooperazione in cui a trionfare è l’unione tra esseri diversi. Il paesaggio colorato, vivace e realistico che accoglie il racconto è costituito da abbagliante bellezza e da pericoli imprevisti. È un mondo in cui l’uomo non esiste, forse da poco estinto: lui e i suoi simili non ci sono, eppure tante sono le tracce che indicano un loro passaggio, un loro stare e sostare. Quella proposta è una sorta di arca di Noè senza però quest’ultimo, in cui gli animali vanno avanti, prima che l’acqua sovrasti e affondi ogni altra cosa.
L’eroe di questa storia è il gatto Flow, e nonostante non parli – come siamo invece abituati a vedere e sentire gli animali sul grande schermo in altri prodotti d’animazione – riusciamo a sentire e percepire tutto il suo essere, il suo sentire. Il nostro protagonista, che molto ricorda nell’aspetto quello de La gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò, riesce a creare da subito empatia e a portare alto il livello emotivo della visione, con grande semplicità e vulnerabilità.
Il potere dell’animazione nel film Flow
Non si direbbe ma Flow è un film d’animazione a basso costo, ed è stato realizzato con software open source tipico nella realizzazione dei videogame. “Penso che l’animazione possa andare più in profondità nel subconscio degli spettatori di quanto riesca a fare un film ripreso dal vivo. L’animazione non è influenzata da barriere culturali o linguistiche, può essere molto più universale e primordiale. Ma, allo stesso tempo, non credo che dovrebbe essere vista come qualcosa di diverso. È solo un’altra tecnica narrativa”, commenta Gints Zilbalodis, regista e animatore lettone classe 1994. Flow – Un mondo da salvare, suo secondo lungometraggio, è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival di Cannes e vincitore di quattro premi ad Annecy. Il film, da un lato favola e dall’altro dramma apocalittico, è inoltre nominato agli EFA, al premio LUX del Parlamento Europeo ed è il candidato della Lettonia all’Oscar come Miglior film internazionale.
Flow, un film aperto per far riflettere
“Quando ero adolescente sognavo di fare cinema, ma era difficile realizzare i film che immaginavo, non avendo budget e competenze. Inoltre ero timido e non avevo fiducia in me stesso, quindi pensavo che avrei avuto molte difficoltà se avessi dovuto lavorare con una troupe, dicendo alla gente cosa fare. Ho scoperto allora che potevo fare film animati da solo, con i miei ritmi, e potevo creare qualsiasi cosa volessi”, afferma Zilbalodis. “All’inizio ho tentato con l’animazione tradizionale disegnata a mano, perché mi sembrava la tecnica più semplice, poi sono passato alla CGI (computer-generated imagery). Non ho frequentato scuole di cinema, ho imparato tutto sul campo grazie ai miei primi cortometraggi”. E sul lavoro su Flow – Un mondo da salvare,primo film che non realizza completamente da solo, aggiunge: “Non spieghiamo tutto. Non spieghiamo davvero perché arrivi l’alluvione o il significato delle statue, ad esempio. L’obiettivo però non era creare un enigma da risolvere, ma offrire al pubblico un’intera esperienza da abbracciare, un film aperto che continui a farci pensare dopo averlo visto”.
Margherita Bordino
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