Quale futuro e quale storia per il Padiglione Venezia? Parla Angela Vettese

La critica d’arte e docente Angela Vettese è tra i firmatari della lettera che l’associazione “Venezia c’è” ha mandato al sindaco Luigi Brugnaro per chiedere una maggiore trasparenza sul Padiglione Venezia. Qui racconta perché sarebbe importante che il padiglione sia affidato alla comunità artistica della città

Come mai la Biennale di Venezia ospita un Padiglione dedicato a Venezia? Chi decide i contenuti delle sue esposizioni? Perché molti visitatori lo saltano senza rimpianto? E come mai negli ultimi tempi il Corriere, Il Gazzettino e altri organi di stampa specializzata se ne sono occupati? Queste sono le domande che soggiacciono alla battaglia che un gruppo di galleristi, curatori, organizzatori, artisti e amanti in generale della città lagunare stanno portando avanti da alcuni anni, cercando un contatto con il sindaco. L’ultimo comunicato è stato rivolto quest’estate alla stampa e vi si recita tra l’altro: “Riteniamo che il Padiglione debba dotarsi di uno statuto ufficiale, che chiarifichi i criteri della propria missione culturale adeguando il proprio funzionamento a quello degli altri padiglioni nazionali – in particolare il Padiglione Italia. A tal fine riteniamo necessaria la creazione di un comitato scientifico che restituisca l’eterogeneità del sistema culturale cittadino nell’ottica di un dialogo plurale. Questo organo avrebbe la funzione di redigere un bando volto alla selezione di un progetto curatoriale all’anno – secondo l’alternanza Arte / Architettura”.

La storia del Padiglione Venezia

La storia inizia nel 1932, quando il Padiglione Venezia venne costruito su progetto dell’architetto Brenno Del Giudice, come parte della stecca che parte accanto alla rappresentanza dell’Austria e termina accanto a quella della Grecia. Al suo interno trovano ospitalità molte nazioni e al suo centro sta appunto lo spazio dedicato a Venezia, con una planimetria non facile da riempire, connotato com’è da ambienti piccoli e disomogenei. Neppure la revisione del 1938 gli conferì una maggiore capacità espositiva, lasciandovi per esempio un budello dove è difficile avere la giusta distanza dalle opere. D’altra parte, era stato concepito soprattutto perché vi si mostrassero le produzioni artigianali tipiche della città, in uno spirito dettato dal Fascismo, dal vetro al pizzo alle stoffe, senza pensare dunque a una fruibilità adatta a opere d’arte in senso proprio. Non si trattava, dunque, di un luogo dedicato agli artisti veneziani, i quali già nel 1898 erano stati nominati nel testamento di Felicita Bevilacqua La Masa, proprietaria del palazzo Ca’ Pesaro, perché appunto in quel palazzo potessero essere esposte e vendute le loro opere e ai più indigenti fossero offerti degli atelier. In questo modo la duchessa intendeva sanare le proteste di pittori e scultori veneziani ai quali era preclusa la partecipazione alla Biennale: dalla sua nascita nel 1895, infatti, questa si distinse per un orientamento prettamente internazionale e slegato dalle vicende cittadine. Oltre a questo rifugio, attivo dai primi anni del Novecento e responsabile di avere dato voce agli artisti cosiddetti capesarini, presto i veneziani più arditi incominciarono a influire sulle decisioni della Biennale stessa: si pensi all’onnipresenza di Vedova e Santomaso, più o meno ufficiale, nei momenti di selezione degli invitati. Nel dopoguerra il padiglione Venezia venne a perdere mordente e lo ritroviamo per molti anni ridotto a sede delle relazioni con la stampa. 

Gaggiandre, Photo by Andrea Avezzu, Courtesy of La Biennale di Venezia
Gaggiandre, Photo by Andrea Avezzu, Courtesy of La Biennale di Venezia

Venezia e il suo brulicante ambiente artistico

Nel frattempo, a partire dagli Anni Duemila, la città ha incominciato a veder crescere un fermento inedito composto da molti fattori: si sono stabilite in città fondazioni private di grande impatto economico, da quella di François Pinault, che occupa Palazzo Grassi e Punta della Dogana, alle Stanze del Vetro, da Ocean Space voluta da Francesca Thyssen Bornemisza fino alla Berggruen Arts and Culture a Palazzo Diedo, aperta con grande dispendio di mezzi lo scorso aprile. Molto hanno fatto anche i più giovani, fondando luoghi con una programmazione continuativa come il centro S.a.L.E. Docks, ambiti più flessibili come la Casa Punto Croce, gli spazi della Giudecca dove si accavallano nelle stesse calli studi d’artista, spazi non profit come l’ormai rodato Punch e gallerie private. Tra queste ultime hanno assunto importanza, in città, quelle di Michela Rizzo, di Alberta Pane, di Gorgio Mastinu, di Caterina Tognon o la A+A, aiutando a creare un tessuto attrattivo anche per qualche galleria internazionale: vicino al Teatro La Fenice si è trasferita stabilmente una sede di Victoria Miro e, durante i periodi caldi della Biennale, altri importanti mercanti affittano locali e anche palazzi interi, come ha fatto più volte Hauser & Wirth. Ciò che stupisce di più sono però le iniziative che continuano a nascere senza pompa ma con grande successo, come Microclima che ha dapprima colonizzato la serra dei Giardini, e poi ha inventato un delizioso Cinema Galleggiante. Attorno girano anche registi che vedono in Venezia un luogo dove tornare a lavorare (si è appena aperta una sede collaterale del Centro Sperimentale di Roma), proposte di gastronomia sperimentale come quella di Tocia, rivendite di verdura a chilometro zero come About e altre mille situazioni che, se non sono direttamente legate alle arti visive, certamente vivono nello stesso humus di giovani colti, informati, volenterosi e avventurosi. Ovviamente l’elenco di coloro che mancano tra chi è nominato qui è lunghissimo e imperdonabile. 

Padiglione Venezia, 2022
Padiglione Venezia, 2022

Il dialogo mancato tra la città e il Padiglione Venezia

Una città che si muove così, tra grandi privati e iniziative underground, anche grazie allo sviluppo galoppante di atenei come Ca’ Foscari, Iuav, Accademia di Belle Arti, Conservatorio, Venice International University, è ovvio che desideri potersi vedere riflessa alla Biennale: in fondo resta l’istituzione italiana per le arti più visibile e prestigiosa del Paese. La questione del rispetto del territorio, ora che Ca’ Pesaro si è data altre priorità rispetto alla situazione veneziana, è ritornata attuale e urgente. Visto che questo benedetto Padiglione Venezia esiste, sarebbe bello che le mostre che vi si tengono rispecchiassero la realtà mobile di una Venezia che non muore, malgrado i molti funerali che se ne celebrano. Al Padiglione Venezia, invece, si propongono spesso esposizioni senza mordente e decise con criteri indecifrabili. In diverse occasioni si era visto uno spiraglio di rilancio: nel 2001 fu sede di un commosso omaggio ad Alighiero Boetti, scomparso nel 1994, nel 2007 di nuovo ricordò con vigore Emilio Vedova, morto nel 2006, ci fu un restauro ben fatto nel 2011 e una vivace mostra personale di disegni allestita dall’architetto Daniel Libeskind nel 2013. Era stato anche avviato un proficuo rapporto con il MAXXI di Roma e il suo premio per giovani.  Negli ultimi anni le proposte sono state trascurabili, anche se il sindaco la vede diversamente: all’associazione “Venezia c’è”, che gli ha scritto una lettera certificata, ha risposto solo nell’ambito di un discorso pubblico che il Corriere della Sera ha riportato con queste parole: “”Nessuno si ricordava più del Padiglione Venezia fino a quando sono arrivato e l’ho rilanciato. Ora gli intellettuali vogliono altre regole. Facile salire sul carro del vincitore”. Ma le cose stanno all’esatto opposto: è proprio la serie di mostre promosse recentemente, Artefici del nostro tempo, che ha fatto rimpiangere i pochi ma centrati tentativi passati di chiarirne la funzione.

Le richieste dell’associazione “Venezia c’è”

Va detto che mentre tutti gli altri padiglioni, pur poggiando fisicamente su di un terreno municipale, sono gestiti dai diversi Stati (compreso quello italiano attraverso il Ministero della Cultura), il Padiglione Venezia viene gestito dal Comune; e poiché le deleghe per la cultura non fanno riferimento a un assessore specifico, ma sono in capo al sindaco, è a lui che ci si deve rivolgere. L’associazione Venezia c’è, con tutti i suoi firmatari, chiede dunque a Luigi Brugnaro e alle dirigenze coinvolte che prendano in mano la situazione, portandola quantomeno all’attenzione del Consiglio Comunale. Ma da una città in cui non si è nemmeno ritenuto di selezionare un nuovo direttore per i Musei Civici, dopo il pensionamento di Gabriella Belli, cosa ci si può attendere?  Il settore Cultura non pare una priorità da seguire con occhio strategico. Il gruppo “Venezia c’è” però procede, e il 25 ottobre ha rivolto al consiglio Comunale una petizione in cui chiede per il Padiglione Venezia “bandi curatoriali annuali, con l’obiettivo di mettersi a livello degli altri padiglioni, rappresentando le eterogenee eccellenze locali e internazionali operanti in città“. Vedremo se, quando e come ci sarà una risposta. Il fermento culturale e soprattutto giovanile della città lagunare andrà avanti lo stesso, del resto, con o senza un Padiglione Venezia di cui si è quasi sempre fatto a meno. Però questo non-dialogo dispiace.

Angela Vettese

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Angela Vettese

Angela Vettese

Angela Vettese è direttore del corso di laurea magistrale di arti visive e moda presso il dipartimento di culture del progetto, dove insegna come professore associato teoria e critica dell'arte contemporanea così come, presso il triennio, fondamenti delle pratiche artistiche.…

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