Arte e design diventano mondi complementari al museo MA*GA di Gallarate

Per cinque mesi il design italiano è protagonista del museo in provincia di Varese con due grandi mostre che omaggiano la creatività nostrana, tra storia e progetti per il futuro. Ne abbiamo parlato con la direttrice Emma Zanella

L’energia che apparteneva al mondo dell’arte è passata al design”: così anticipava, ormai una decina d’anni fa, il celebre critico d’arte Philippe Daverio. È questo slancio il cuore di Arte e design. Design è arte, mostra che per cinque mesi apre il MA*GA di Gallarate alla storia del migliore design italiano. Curato dalla direttrice Emma Zanella, da Vittoria Broggini e Alessandro Castiglioni, il percorso ispirato dal critico francese si pone come obiettivo quello di esplorare l’instancabile processo d’innovazione e sperimentazione del design, colto nel suo fitto dialogo con le arti visive del secondo Novecento e di oggi. Ma non solo: questa forza proiettiva del design è al centro di una seconda mostra, HYPERDESIGN. XXVII edizione del Premio Gallarate a cura di Chiara Alessi, che fa della progettazione e della sua capacità di visione la propria spina dorsale. Il grande, doppio percorso tocca il museo fino a marzo 2025: ne parliamo con la direttrice del MA*GA, Emma Zanella.

L’intervista alla direttrice del MA*GA Emma Zanella

“Un fenomeno complesso, ambiguo”: così Philippe Daverio definiva il design. È ancora vero?
È anche più vero. Definire il design oggi comporta una complessità tale che è quasi impossibile. È la tesi che andiamo a dimostrare soprattutto in HYPERDESIGN, dove raccogliamo un’esplosione di ricerche che riguardano campi differenti, progetti e questioni sulla contemporaneità che toccano lavoro, produzione, sicurezza, ambiente, genere. Mai come oggi definirei il design più come un processo che una risposta precisa. Poi Daverio intendeva questa ambiguità non tanto per il campo d’indagine ma quanto piuttosto per la relazione tra arte e design.

Una relazione di cui possiamo sancire il formale superamento?
È così. Basta osservare l’ambiguità delle figure che oscillano, in maniera consapevole, tra i due ambiti: ecco perché Daverio traccia una linea molto sottile. Un esempio è il Movimento Arte Concreta degli Anni Cinquanta, che ambiva all’unità delle arti, oppure gli artisti come Munari e Bozzola, che entrano nella progettazione, o come Castellani e Fontana, che piegano loro linguaggio al mondo del design, o di designer come Mari che entra nell’arte. Il titolo stesso della mostra è una dichiarazione di superamento della differenza tra due ambiti

Il design come scardinatore. Le mostre al MA*GA

Il design è molto sensibile ai temi cruciali del nostro presente. Più sensibile e impegnato dell’arte?
No, non farei questa distinzione. Sia dal punto di vista dei designer sia da quello degli artisti oggi c’è un’attenzione molto forte ai temi più scottanti della contemporaneità, quelli che ci stanno più a cuore. Hanno modi diversi di affrontare le stesse questioni ambientali, di genere, di relazioni interpersonali: le opere non hanno finalità, se non quella di mettere in luce le criticità o le situazioni, mentre il mondo del design riflette sul trovare delle possibili soluzioni, ad esempio per la sicurezza sul mondo del lavoro. Quindi c’è obiettivo preciso, e così anche per attenzione ad ambiente, ma non farei una distinzione: dipende dalla ricerca che ciascuno porta avanti.

Quali le tematiche osservate e discusse dai designer in mostra?
C’è Archeoplastica, che fa un’operazione quasi archeologica in cui si raccolgono oggetti di plastica dalle spiagge della Puglia, che vengono poi schedati e narrati. Parliamo di oggetti prodotti a partire dagli Anni Cinquanta: inevitabilmente il progetto mette in luce anche quanto la plastica tenga il tempo e non si disintegri. Ci sono Sex & the City o il gruppo CHEAP, architette e artiste che usano la pratica dell’analisi sulla città: le une per mettere a fuoco la città di genere, cioè come le donne vivono la città e si relazionano con paure e opportunità, le altre facendo azione di sensibilizzazione e design della comunicazione. Sono presenti al MA*GA con un intervento quasi impercettibile fatto di cartelli e manifesti, che portano a una serie di domande: il design è in sé un elemento di soluzione? I musei servono le persone? C’è una pratica di comunicazione democratica?

I progetti che avete ospitato sembrano mostrare un’unica direzione?
La direzione è data anche dall’allestimento che noi abbiamo voluto mettere in campo insieme a Parasite 2.0, che dà un’idea di design come di apertura. L’allestimento è fatto di pareti leggere e comunicanti, che fanno da supporto alla continua ricerca di territori di dialogo tra designer ma anche e soprattuto con i pubblici del museo. Questa volontà di aprire questioni e intessere relazioni è l’aspetto che oggi mi sembra più forte dentro il mondo del design. Un concetto che si concretizza, per esempio, con la messa in discussione della filiera che distingue design, industria, distribuzione: Interno Italiano mette in crisi questa tradizionale modalità di concepire il design, lavorando con gli artigiani. C’è una diffusa volontà di scardinare il tradizionale mondo del design e di entrare in mondi e modalità partecipate e partecipative differenti.

Una cifra, quella dello sfondamento dei confini e della messa in dubbio, che è intrinseca del design?
Nella mostra di Daverio questa tendenza già si percepisce, anche se meno. Autoproduzione di Enzo Mari, con la sedia degli Anni Settanta che si può smontare, o altri oggetti Anni Sessanta e Settanta come Gufram e Archizoom: il design era già inteso come scardinatore di convenzioni. Un esempio su tutti è la poltrona sacco di Cassina, o quando nell’83 Memphis chiama Studio Azzurro per esporre in maniera diversa i suoi vasi di vetro: abbiamo ricostruito l’ambientazione con i vasi prodotti dallo Studio Memphis e i video di Studio Azzurro, c’è una stretta relazione tra il gruppo, che allora stava emergendo, e la casa di produzione, con il vaso che diventa parte dell’opera e viceversa. Entrambe le mostre al MA*GA indicano che il design tocca mondi e questioni diverse, ampie e difficili da etichettare.

Raccontare il design. La partecipazione al Museo MA*GA

Ancora una volta c’è un fitto programma interattivo, tra laboratori per giovani e talk, cosa che conferma la partecipazione come una delle cifre del MA*GA. Ma come si racconta il design?
La spiegazione avviene attraverso molti registri diversi: dai progetti speciali nati per le scuole, che per esempio riflettono su come si progetta un oggetto, si passa ad accompagnare i visitatori con visite guidate e audio guide, piuttosto che tenendo momenti di convegni e conferenze. E oggi non ci preoccupiamo solo di spiegare, ma anche di fare comprendere l’evoluzione stilistica nei decenni, distinguendoli e raccontandoli, e illustrando il rapporto tra design e arte. Mettiamo anche il pubblico in situazioni laboratoriali. Abbiamo fino a marzo: c’è tutto il tempo per accompagnare i nostri pubblici in tutte le riflessioni possibili.

E piace? C’è pubblico?
Molto: tutte le attività educative erano sold out ancora prima di inaugurare. Non solo Gallarate, ma tutto l’Alto milanese è subito accorso: le due mostre hanno riscosso molta attenzione, e in particolare dal mondo scolastico che da elementari tocca licei, università e accademie. Il pubblico sta rispondendo molto bene anche alle conferenze con l’Ordine degli Architetti della Provincia di Varese: nei nostri Giovedì del design abbiamo un alto numero di partecipanti sia in presenza sia online. Le persone che si collegano da tutta Italia, sono centinaia.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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