Può l’arte collaborare davvero con la natura? La mostra al Castello di Rivoli
Giuseppe Penone, Caretto/Spagna e Tomás Saraceno sono solo alcuni dei nomi della mostra che il Castello di Rivoli dedica alla collaborazione tra l’arte e la natura. Ma è abbastanza?
Il binomio ‘arte-natura’ è oggi un soggetto molto frequentato, forse eccessivamente esplorato, non sempre nelle modalità più riuscite. Dall’arte alla musica, mostre, eventi, pubblicazioni, introducono argomenti legati alla natura, alla biodiversità, al dialogo tra le specie, all’antispecismo. A volte si tratta di attraversamenti coraggiosi e sensibilizzanti; altre di corse superficiali su prati e giardini; altre ancora, di salti carpiati su un argomento di grandissima attualità – diventato un’urgenza – a cui molti artisti e curatori si affidano.
La mostra “Mutual Aid” al Castello di Rivoli
Sembra questo il caso di Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura, inaugurata durante l’Art Week di Torino al Castello di Rivoli. Lo sforzo dei curatori Francesco Manacorda e Marianna Vecellio è sicuramente sincero, considerata anche la non facile sede dello spazio espositivo, la Manica Lunga. Appunto un lungo corridoio, con un’infilata di opere che faticosamente restituiscono le intenzioni del filosofo e naturalista russo Pëtr Kropotkin, sintetizzate nel suo saggio Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, che è stato d’ispirazione per la mostra. Le osservazioni di Kropotkin si distanziano da quelle di Charles Darwin – fondatore del concetto di selezione naturale – il quale sosteneva che le specie maggiormente capaci di adattarsi all’ambiente circostante hanno maggiori probabilità di sopravvivenza e di lasciare discendenza. Kropotkin sostiene invece che la sopravvivenza della specie non dipende tanto dalla competizione, bensì dalla cooperazione: gli organismi in grado di unirsi e cooperare si salvano.
Le opere in mostra al Castello di Rivoli
Nella mostra si cerca di percorrere il tema dell’interdipendenza tra umani e non-umani, mettendo in discussione la ormai superata concezione che vede l’Uomo (inteso come essere umano) al centro dell’universo. Troviamo in prima fila autori di grande rilievo come Giuseppe Penone, col suo ciclo di opere dedicate agli alberi. Agnes Denes, poetessa, eco-filosofa, artista, che negli Anni Settanta realizza un vasto campo di grano nel centro di Manhattan, e crea una collina con 10mila piante adottate da cittadini-custodi. Thomas Saraceno, con un paio di teche contenenti il suo sublime progetto di tele e filamenti realizzato in connessione con le più diverse specie di ragni del pianeta. Affiancano questi lavori (già ampiamente esposti), una serie di nuove ricerche come quella proposta dal duo torinese Caretto/Spagna, con la loro rilettura delle pietre, una lito-grafia inedita sulla definizione dei materiali che si possono trovare in natura. Maria Thereza Alves attraversa il territorio del borgo di Olivola in Piemonte, per ideare nuovi nidi utili a insetti e alla piccola avio-fauna. Hubert Duprat si limita a osservare e filmare il lavoro di un Tricottero mentre crea il proprio nido-gioiello. Le larve di questo insetto, simile alle farfalle, si costruiscono dei curiosi astucci, ricoprendosi con minuscoli frammenti di materiali vari che trovano nell’ambiente, come foglie, granelli di sabbia, sassolini, piccole conchiglie. Molto suggestiva l’opera video di Nicolas Mangan, sull’allarmante sbiancamento della barriera corallina australiana, considerato il più ampio organismo vivente del pianeta.
Il rapporto arte-natura al Castello di Rivoli
Ma basterà il percorso di una lumaca, con i segni della sua bava sulla tela nell’opera di Michel Blazy, a ricucire la connessione perduta tra uomo e natura? Lois Weinberger, artista, teorico del concetto “il giardino come opera d’arte”, nel suo indimenticabile intervento a documenta X di Catherine David, ha occupato un ruolo fondamentale nel dibattito “arte e natura”. È considerato tra i primi artisti a mescolare pratica agricola, conoscenza biologica, riflessioni ecologiche, oltre a considerazioni sociologiche ed economiche. Weinberger rispecchia a pieno le teorie del noto antropologo Tim Ingold, il quale mette in discussione il paradigma dominante della vita di oggi quale simbolo unico, suggerendo un flusso di relazioni tra le specie che nasce, si sviluppa e si trasforma continuamente. Ecco che il tema proposto dalla mostra – seppur con i necessari approfondimenti – risulta utile per avviare riflessioni sulla percezione dell’ambiente, il linguaggio, l’arte, la creatività, il rapporto tra umani e non, l’ecologia, superando il modello tradizionale e dicotomico del rapporto tra natura e cultura.
Claudia Zanfi
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