Quando l’arte trasforma lo spazio: 12 importanti artisti in mostra a Milano
La galleria A arte invernizzi presenta una mostra che, attraverso le opere di artisti come Arcangelo Sassolino, David Tremlett, Grazia Varisco e Mauro Staccioli, esplora le modalità con cui l’arte si rapporta con la multidimensionalità
Dimensionare lo spazio, la mostra attualmente in corso alla galleria A arte Invernizzi, comprende opere di una dozzina di artisti, i quali, come precisa nel catalogo il curatore Lorenzo Madaro, “rappresentano differenti possibilità di immaginare la pittura, la materia plastica, la luce e i materiali come parte integrante di un processo che intervalla nuove porzioni di perimetri, dimensionando lo spazio”.
La mostra “Dimensionare lo spazio” a Milano
Il titolo è mutuato da una frase pronunciata da Nicola Carrino (Taranto, 1932 – Roma, 2018): “Scultura è operazione del mutare, strumento indispensabile del continuo occupare e dimensionare lo spazio”. Ed è proprio il lavoro di quest’ultimo, Ri/Costruttivo (1969-2016), a venirci incontro per primo al piano superiore: strutture di acciaio molato ortogonalmente scalettate, vibranti di riflessi luminosi, che si dispongono sul pavimento quasi ingranandosi con la risonanza dei nostri passi. Di fianco troviamo i Sospiri (1999) di Antonio Trotta (Stio, 1937 – Milano, 2019), che ci testimoniano la sua capacità di assottigliare il marmo contraddicendone la sua stessa struttura molecolare, per cui i dodici ritagli quadrati che qui formano un articolato polittico li vediamo librarsi sul muro come fogli di carta. Di fronte, le bianche sfoglie di cemento, Senza titolo (2024), di Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), risultato di una sfida materica altrettanto arrischiata, si rigonfiano e si ritraggono rispetto alla verticalità della parete secondo un andamento ondulatorio che sembra mantenere all’infinito la fluida consistenza di questo materiale.
Le opere di François Morellet e Gianni Colombo da A arte Invernizzi
I tre neon bianchi leggermente separati tra loro e come bloccati sul punto di incrociarsi reciprocamente, per metà della loro lunghezza addossati a un quadrato un poco aggettante dal muro, Neons 3D (2015), costituiscono l’essenziale struttura di François Morellet (Cholet, Francia, 1926 – 2016): essi si stagliano sul piano sporgente come segmenti dalla luminosità corposa e compatta, per poi sdefinirsi in una traccia vaporosa una volta affacciati sul circostante intonaco. Nella sala adiacente ci troviamo immersi nello ieratico alone di Luce/Ombra + X (1981) Gianni Colombo (Milano, 1937 – Melzo, 1993), una installazione modulata come una croce di sant’Andrea, che convoglia lo sguardo verso un punto vivo di luce che al tempo stesso viene interdetto e sbarrato, e del quale percepiamo solo i riflessi e le ombre che genera.
Scultura materiale e immateriale nella mostra “Dimensionare lo spazio”
Igino Legnaghi (Verona, 1936), che ci accompagna con il suo lavoro verso il piano inferiore, con i suoi sottili parallelepipedi appiattiti contro la parete e impercettibilmente fuori asse, Infoco di stelle (2008), ci propone un ideale di scultura sobria e calibrata secondo rigorosi criteri matematici. Se Michel Verjux (Chalon-sur-Saône, Francia, 1956), con Poursuite ascendante (2024), uno dei suoi oculi di luce, qui proiettato a diffrangersi sul profilo delle scale, insignisce lo spazio di una connotazione impalpabile, disincarnata, spiritualizzandolo attraverso il contrassegno di una sorta di aureola, Scultura ’96 (1996) di Mauro Staccioli (Volterra, 1937 – Milano, 2018), un grande cuneo aggettante realizzato in cemento rosso, lo spazio lo penetra, lo taglia, lo squadra.
Da Grazia Varisco a David Tremlett in mostra a Milano
Stacked (Vertical Corner) (2017) di Lesley Foxcroft (Sheffield, Regno Unito, 1949) prende invece l’aire dall’angolo del muro facendo vibrare le lastre rettangolari di MDF nero sulla parete bianca come caselle di una scacchiera variamente divaricate rispetto al piano d’appoggio, mentre gli Gnomoni (1987) di Grazia Varisco (Milano, 1937), che sembrano incorporare, attraverso la suggestione del titolo, la loro stessa ombra, si dipartono dalla parete variamente contorcendo i loro spigoli, invitandoci a concepirli secondo una scansione temporale oltre che spaziale. Ecco poi dipanarsi su opposte pareti i wall paintings di David Tremlett (St. Austell, Cornovaglia, 1945) e di Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955): se Drawing for an Exhibition (2024) del primo ci pone davanti a dentellature bidimensionali dal ritmo grave e misurato su minimi spostamenti d’angolazione, Chamorra (2024) del secondo ci intriga in un reticolo segnico dall’andatura nervosa e quasi umorale, in cui le porzioni di bianco e di nero sembrano interfacciarsi e incastrarsi spalancando bocche e inarcando gobbe.
Lo spazio come elemento modificabile nella mostra da A arte Invernizzi
Dalla interazione reciproca di tutte queste opere risulta dunque una spazialità multidimensionale, per cui la volumetria della galleria risulta incrociata, tagliata, soffusa, concentrata, dilatata e molto altro, in una combinazione inesausta che, col mutare dei nostri spostamenti e punti di vista, si moltiplica all’infinito.
Alberto Mugnaini
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