20 anni senza Giacinto Cerone. Un ricordo di Ines Musumeci Greco e una mostra a Roma 

Cerone amava l'arte, amava la libertà e amava la sua famiglia. La collezionista e amica ricorda l’uomo e l’artista, mentre negli spazi di Palazzo Taverna, alla galleria Eddart, si svolge una personale che ne celebra l’opera

“Amo il mare con l’orizzonte che divide i due blu”, così amava dire l’artista Giacinto Cerone (Melfi, 1957 – Roma, 2004), che, come il mare, era sempre in tumulto. 20 anni dopo la Galleria Eddart di Roma presenta in collaborazione con l’Archivio che lo rappresenta una mostra dedicata allo scultore negli spazi di Palazzo Taverna. 12 opere e un catalogo con una intervista inedita tra Elena Del Drago e Elena Cavallo Cerone testimoniano la padronanza dei materiali, l’amore per la ceramica, l’estro creativo, e la costante tensione nella pratica del maestro. Nel testo che segue, la collezionista e amica Ines Musumeci Greco ricorda l’artista e l’uomo. 

Giacinto Cerone, Una nota che non c’è
Giacinto Cerone, Una nota che non c’è

Chi era Giacinto Cerone 

Giacinto era un mio grande amico.  
Giacinto era gesto: i suoi erano gesti erano così veloci che a volte lo facevano sembrare un po’ folle.  
Ma Giacinto era molto dolce. 
Mi telefonava ogni mattina alle 9, veniva a trovarmi e mi parlava di Tano, di Bach, e di Charlie Parker. 
Ad alcune persone sembrava stravagante, forse perché ogni tanto era provocatorio; in realtà io credo sia stato un sognatore. Amava l’arte, amava la libertà e amava la sua famiglia. 
Amava molto i suoi due figli. 
Mi diceva che arrivava alle 10:29 e puntualmente a quell’ora suonava il campanello. 
Lavorava con costanza, ogni giorno, ogni giorno tentava, provava a plasmare la materia. Tante volte iniziava disegnando, poi accartocciava e buttava gli schizzi; forse gli servivano soltanto per farsi una prima idea. 
Da tifoso voleva incontrare ad ogni costo Capello per farlo conoscere a Michele e Lorenzo.  
Così, lo invitai ad una sua mostra, e poi ad una cena in Via della Mercede.  
Giacinto era al settimo cielo quella sera, e si mise al pianoforte e cantò “Per Ines“. 
Quante giornate sono passate, quante serate, quanti ricordi… 

Le sculture in castigo di Cerone 

Alla mostra “cattivissima” da Matteo mise in castigo tutte le sue sculture rivolte faccia al muro. 
Le sue erano sculture fragili, articolate sì, nelle linee, nelle forme, nelle composizioni, ma in un certo qual senso mantenevano sempre una certa delicatezza.  
Adesso che ci penso, il bronzo però non gli piaceva: il gesso e la ceramica sì, e molto, perché erano materiali plastici nei quali poteva affondare tutte le sue idee. 
Da Gatti a Faenza dove creò i Soffincielo, diceva: “l’azione deve battere la velocità del pensiero”.  
Con quelle sculture organizzammo una serata indimenticabile a casa mia. 

E poi il documentario su di lui; girare con lui è stato un divertimento; si sentiva “un nomade della vita”, sempre in movimento, sempre felice di fare, di lavorare, soprattutto all’aperto e in giro! 

E ancora: lui che disegna sulla spiaggia. Lui che mette in scena le sue astrazioni mentali. 
Davanti a questa immensità, come fai a pensare di essere qualcosa”. E lo diceva con grande umiltà. 
È sempre stato umile, fino ai suoi ultimi giorni. 

La forma secondo Cerone 

Continuo a pensare…e penso alle mie visite nel suo studio a via Grandis dove si rintanava. 
Mi faceva vedere tutti i suoi lavori e parlava, parlava, difficile interromperlo. 
Che pomeriggi; ora che li sto immaginando di nuovo mi viene in mente la sua energia:  
Giacinto emanava energia, quello studio emanava energia. 

La forma non contiene, la forma è. Un contenuto vuol dire essere dentro qualcosa. La forma è e non contiene nient’altro che se stessa. Spiegare qualcosa puzza sempre di goffo” 

Giacinto era un artista romantico e un altruista, e voleva bene ai suoi amici, anche se non frequentava le mostre e l’ambiente dell’arte. Non gli faceva simpatia, diciamo così. 
Gli piaceva l’arte primitiva. Assai.  
L’artista è un tramite tra la terra e il cielo”, diceva. 

Poi, il dolore per la sua malattia improvvisa. 

“Sono il risultato di una serie di stanchezze universali gonfie di emozioni degli altri”. 
Giacinto ha vissuto profondamente.  

Amava il mare, e come lui ogni tanto era in tumulto.  
È stato un grande scultore e la sua poesia vive ancora oggi tra le pieghe delle sue raffigurazioni, in ogni sua opera. 

Ines Musumeci Greco 

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