Negli Anni Sessanta, i computer mainframe occupavano intere stanze e i costi per costruirli e gestirli erano talmente elevati da limitarne la proprietà a enti statali, grandi aziende e istituzioni accademiche. Gradualmente queste macchine iniziarono a svolgere calcoli lunghi e noiosi, un compito precedentemente espletato a mano da “computer” umani, spesso donne, sin dal XVII Secolo. Fin da subito, alcune università offrirono le macchine per esplorazioni creative, dando l’opportunità a un ristretto numero di artisti di accedere ai computer: molte erano artiste donne, pioniere dell’arte computazionale come Elena Asins, Colette Stuebe Bangert, Rebecca Allen e Ruth Leavitt. A loro e a molte altre è dedicata la mostra Radical Software: Women, Art & Computing 1960–1991, allestita al Mudam Luxembourg.
Le pioniere dell’arte digitale in mostra a Lussemburgo
Si tratta della prima esposizione a indagare sistematicamente il contributo pionieristico delle donne nell’ambito dell’arte digitale, mettendo in mostra oltre 100 opere di 50 artiste provenienti da quattordici Paesi. Curata da Michelle Cotton, la mostra offre un’innovativa prospettiva femminista, esaminando come le artiste abbiano utilizzato i computer sia come strumenti che come soggetti delle loro opere. Con un’ampia gamma di mezzi, che spaziano dalla pittura alla scultura, alla performance e oltre, l’esposizione rappresenta un’importante riflessione sul ruolo delle donne in un campo tradizionalmente dominato da narrazioni maschili.
Le teorie cyborg e le sperimentazioni femministe
La mostra non si limita ad essere una celebrazione di opere digitali, ma si presenta come un’analisi critica delle origini dell’arte digitale prima dell’avvento del World Wide Web. Il titolo richiama il magazine Radical Software, fondato nel 1970 da Beryl Korot e altre artiste, che promuoveva un accesso decentralizzato all’informazione e considerava il “software” come un potente strumento di cambiamento sociale. Attraverso le opere in esposizione, si esplorano le tensioni e le trasformazioni culturali che hanno caratterizzato un periodo centrale, tra gli Anni Sessanta e Ottanta, contribuendo a plasmare una nuova estetica in un contesto di continua evoluzione tecnologica. In mostra troviamo opere come Self Portrait as Another Person di Lynn Hershman Leeson e Swimmer di Rebecca Allen (la prima animazione tridimensionale di un corpo femminile), che riflettono questa la fra tecnologia e identità nel solco delle teorie di Donna Haraway che negli stessi anni pubblicava A Cyborg Manifesto. Non è un caso, infatti, che la storia spesso trascurata del coinvolgimento delle donne nella tecnologia coincide con la seconda ondata del movimento femminista.
Interattività e videogiochi nella mostra al Mudam Luxembourg
Negli Anni Ottanta, “una memoria più veloce e gli schermi migliori facilitavano interattività in tempo reale, trasformando il computer in un dispositivo con cui si poteva giocare”, spiega Tina Rivers Ryan. Ed è così che arriva un’altra rivoluzione, quella del videogioco, cavalcata da sperimentazioni quali come Pop-Pop Video: Kojak/Wang di Dara Birnbaum, che campiona una pubblicità televisiva per una di queste console, o il lavoro interattivo e partecipativo di Nina Sobell e Sonya Rapoport, che può essere visto in relazione ai cambiamenti nell’interazione tra uomo e computer e all’ascesa dei videogiochi nella cultura popolare. In conclusione, il merito di Radical Software è quello di offrire una prospettiva alternativa sulla storia dell’arte, controbilanciando le narrazioni predominanti che rischiano di oscurare i contributi femminili. Attraverso le opere esposte, si riesce nel tentativo di valorizzare l’importante ruolo delle donne nell’evoluzione del digitale e sul modo in cui queste hanno ridefinito il panorama artistico.
Laura Cocciolillo
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