Picasso. A Milano una grande mostra sulla sua “vita da straniero”
Costruita a partire dalle scoperte emerse dagli archivi della polizia francese, questa mostra a Palazzo Reale racconta un lato di Picasso che sicuramente non conoscete. Ecco i dettagli e la recensione
“Il più grande pittore francese non è francese”. Così potrebbe cominciare il quinto incontro espositivo tra Pablo Picasso e Milano, a ormai più di 70 anni di distanza da quando – nel 1953 – la Sala delle Cariatidi accolse il monumentale capolavoro di Guernica. Sono le parole esclamate dallo storico francese Benjamin Stora, all’indomani dell’inaugurazione della prima versione di questa mostra nel 2021. A guidare il progetto allestito a Milano a Palazzo Reale in questo autunno 2024 è un messaggio politico, del tutto inedito e inaspettato. Se il pubblico si aspetta la solita rassegna su Picasso e il Cubismo, rimarrà deluso. Il punto di vista scelto dalle curatrici Annie Cohen-Solal e Cécile Debray è qualcosa di mai visto prima: una riscoperta di quella che fu la vera storia dell’incontro tra l’artista catalano e la Francia. Non una storia di fama e successo – non prima del Secondo Dopoguerra almeno – ma quella di uno straniero “pericoloso”, a cui non fu mai concessa la naturalizzazione. Si tratta dunque di una prospettiva particolare, tangente all’arte, quanto a questioni sociali e politiche – accoglienza e apertura alla diversità in primis – care alla città di Milano, come sottolinea l’Assessore Tommaso Sacchi. Vi proponiamo qui le chiavi di lettura e gli highlight del percorso, per aiutarvi a capire e apprezzare questa mostra.
Per punti
Picasso lo straniero: il libro alla base della mostra
L’originale taglio espositivo scaturisce direttamente da un saggio (Picasso. Una vita da straniero) pubblicato da una delle curatrici, Annie Cohen-Solal, quale esito delle sue indagini sul passato di Picasso sepolto nell’oblio. Una ricerca, la sua, che l’ha condotta a riesumare molteplici documenti tanto dagli archivi della polizia parigina, quanto dai depositi del Musée Picasso stesso. Il risultato delle scoperte è sottinteso nel titolo stesso della mostra: Picasso non fu mai accettato completamente in Francia. Malgrado il successo che accumulò già in vita, malgrado – ironia della sorte – egli sia oggi considerato uno dei pittori più importanti del Paese, la sua domanda di cittadinanza fu sempre rigettata.
Tuttavia, non si deve pensare che il suo stato di straniero l’abbia fermato, né che l’abbia limitato nella sua attività creativa. Al contrario, il significato delle sue opere fu in un certo senso rafforzato dalla consapevolezza di essere parte dei rifiutati, diventando un mezzo per esprimere voci di ribellione comune a molti.
Cogliendo tutti questi spunti, le curatrici hanno unito la storia raccontata nei documenti ai dipinti e allo sviluppo del lavoro di Picasso. Ne deriva un percorso dal doppio filo narrativo – biografico e artistico – che offre al pubblico una visione inedita, più completa e fine, dell’icona del maestro.
La storia di Picasso straniero in Francia nella mostra a Milano
Tra i contributi più interessanti che si possono trattenere da questo progetti c’è senz’altro la scoperta dell’altra, vera, vita di Pablo Picasso. La vita da straniero, da spagnolo innamorato di una Parigi che non lo volle mai considerare proprio cittadino. Vediamo qui di ripercorrere le tappe principali e maggiormente curiose.
Il primo incontro tra Picasso e Parigi
Era l’ottobre 1900, quando Picasso giunse per la prima volta a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale in cui era in mostra un suo dipinto. Si trovava in compagnia dell’amico, pittore anch’egli, Casagemas, che poi si suiciderà una volta tornato a casa per amore. Ad “accoglierli” – con non poco sospetto viste le recenti rivolte in Catalogna che avevano prodotto numerosi esuli terroristi – trovarono una capitale in pieno fermento artistico, che affascinò subito i due stranieri. Molta della fortuna di sopravvivenza di Picasso in città fu dovuta alla fitta rete di contatti che riuscì a intessere fin dal principio, ospitato dai suoi connazionali catalani che già si erano insediati in precedenza a Montmartre. La legge, dall’altro lato, non aiutava: dal 1893 era obbligatorio per tutti gli immigrati avere la “dichiarazione di soggiorno”, documento che sanciva la rigida distinzione tra chi era francese e chi no. Questo permetteva alla polizia di controllare più facilmente tutti gli individui potenzialmente pericolosi, tra cui gli artisti erano inevitabilmente inclusi.
Il secondo viaggio a Parigi
Invitato a esporre alla galleria di Vollard dal mercante Pere Mañach, il pittore tornò presto a Parigi, già l’anno successivo. Incredibili e inquietanti i 64 quadri realizzati nel mentre. Vecchie ingobbite, morfinomani, madri esauste… soggetti ai margini della società, di cui Il tagliatore di teste in mostra è un buon esempio. Ma se c’era chi – come il critico Gustave Coquiot – elogiava il suo stile di pittura, di diversa opinione era la polizia, che lo teneva a stretto controllo. Una testimonianza è il primo – velenoso e falso – rapporto che fu steso su Picasso,ritrovato dalla curatrice negli archivi. Un testo basato su dicerie di quartiere, e soggetti artistici fuori dai canoni accademici, che gli valsero l’etichetta di soggetto anarchico.
Il terzo viaggio a Parigi
L’esposizione prosegue, raccontando del terzo soggiorno di Picasso in città, segnato da una fortissima miseria, che lo costrinse a vagare nel tentativo di raccogliere qualche soldo per sopravvivere. Per fortuna, gli si dimostrò amico il poeta Max Jacob, incontrato già l’anno prima, che non solo lo ospitò, ma gli fece anche da “agente” e da insegnante di francese. In mostra, un ritratto di Picasso realizzato dal letterato stesso testimonia il legame che unì i due in quel soggiorno breve e doloroso.
La rivoluzione artistica di Picasso a Parigi
Nel mentre di tali brevi soggiorni, diventati poi stabile residenza, scorreva fervida l’attività artistica del pittore, che non si lasciava intimidire dalla polizia e proseguiva sulla sua strada. Con gli esperimenti a fianco del collega George Braque, Picasso diede vita alla rivoluzione del Cubismo, in completa opposizione alle tradizioni propugnate dalle accademie. Una rivoluzione che – in quanto proveniente da “fuori” dai confini del Paese – era ancor più mal vista, a tal punto da etichettarla come Kubismo. Il riferimento era a KUB, la marca di un comune dado da brodo tedesco (e dunque dello Stato nemico per eccellenza), che aumentava il tono dispregiativo nei confronti di quell’arte. Ma se Picasso non fu capito dai francesi, trovò invece accoglienza presso altri intellettuali (anch’essi stranieri) cosmopoliti, quali Gertrude Stein, Henry Kahnweiler e ulteriori eredi della storia dell’arte tedesca. Fu proprio quest’ultimo – ricco gallerista – a trovare un mercato per le sue opere.
Francia e Stati Uniti: due lati opposti del successo
Fino al 1947, Picasso rimase praticamente escluso dalle collezioni pubbliche francesi, e si vide anche rifiutare la richiesta di naturalizzazione. Opposta la situazione negli USA, grazie alla promozione del direttore del MOMA, Alfred Barr, che legittimò il Cubismo già negli Anni Trenta.
Solamente dopo il 1960, la Francia – visto ormai il successo clamoroso dell’artista – gli avrebbe offerto tanto la cittadinanza, quanto la Legion d’Onore. Da lui orgogliosamente rifiutate.
Le opere di Picasso da non perdere nella mostra a Palazzo Reale a Milano
I Saltimbanchi
Un primo gruppo di opere interessanti – ma soprattutto rappresentative dello status di immigrato che gravava sull’artista – sono gli studi a puntasecca dei suoi celebri Saltimbanchi. Malgrado manchi la presenza del dipinto chiave della serie, ci sono alcuni disegni che ben danno l’idea dell’atmosfera del “ghetto” di Montmartre all’inizio del secolo, e dei suoi abitanti. Picasso si dedicò al tema per tutto il 1905, facendo dei personaggi del circo l’emblema degli emarginati sociali, quanto degli eroi nomadi al pari di Ulisse e Don Chisciotte.
La finestra omaggio a Matisse
Emblematica è l’opera del 1958 (Finestra con testa di toro) che si presenta innanzitutto come omaggio all’amico Matisse – che amava dipingere questo tipo di soggetti – morto poco tempo prima. Strizzano l’occhio al Fauvismo anche i colori caldi e solari: sono quelli del Mediterraneo, della Provenza. Dall’altro lato, però, il dipinto è anche un’occasione per sottolineare l’importanza e la ricorrenza della testa di toro, riferimento alla sua Spagna, nonché terra d’origine che lo rendeva eternamente straniero a Parigi.
Il Minotauro
Una “variante” del toro molto ricorrente nelle opere esposte, come sottolineano le curatrici, è il Minotauro. Quella figura mitica – metà uomo e metà toro – conosciuta come essere mostruoso e selvaggio, che crea fascino e spavento. Picasso vi si identificava, facendo una provocazione sottile alla stampa razzista. Quest’ultima, infatti, elogiava lo stile apollineo, come quello di Matisse, opposto a quello più dionisiaco e carnale espresso dal Minotauro. Un ultimo riferimento attribuibile a questo mostro ambivalente è il tema del doppio, dell’ibrido, protagonista degli studi psicanalitici, a cui anche Picasso si interesserà per un certo periodo.
Emma Sedini
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