La prima mostra di un famoso artista di Instagram apre a Milano
Diventato famoso a livello internazionale grazie alla piattaforma artistica Love Watts, Jordan Watson porta in mostra nel nuovo spazio di Robilant+Voena l'afrofuturismo, un movimento che fonde fantascienza e cultura nera per immaginare un futuro di prosperità. L'intervista
Uomini neri, ma soprattutto donne nere, che partecipano ad attività come ciclismo, sci e sport motoristici: è un ribaltamento consapevole, e ottimista, quello che l’artista statunitense Jordan Watson mette in campo nella sua prima mostra personale. Diventato famoso a livello internazionale grazie alla piattaforma artistica Love Watts (oltre due milioni di follower su Instagram), Watson inaugura con con la sua pittura anche il nuovo spazio espositivo di Robilant+Voena a Milano.
Jordan Watson da Robilant+Voena con Octavia’s Butler
La mostra Octavia’s Butler, che sarà portata anche nella sede di R+V a St. Moritz nel febbraio 2025, rappresenta quindi il debutto ufficiale di un artista (in gran parte autodidatta) riconosciuto negli ultimi anni per il suo lavoro di promozione dell’accesso e di smantellamento delle barriere al mondo dell’arte. Vibrante e difficile da incasellare, la pittura di Watson omaggia molti temi dell’afrofuturismo, movimento nato negli Anni Novanta che fonde fantascienza e cultura black per immaginare un futuro di prosperità nera, a cominciare dal titolo, un omaggio diretto alla sua voce più autorevole, la scrittrice californiana Octavia E. Butler, premiata con i prestigiosi riconoscimenti Hugo e Nebula per la letteratura fantascientifica.
Il debutto di Jordan Watson e la missione dell’arte. L’intervista
Questo è il tuo debutto pubblico ufficiale: l’hai trovato diverso da ciò che hai fatto in precedenza?
Questo debutto sembra molto diverso, quasi come entrare in un nuovo paesaggio. Il mio lavoro passato ha sempre riguardato la curatela, la direzione o il supporto di altre voci, la creazione di una cornice attorno alla visione di qualcun altro. Suppongo di essere stata come una guida, che aiutava gli altri a trovare la loro strada attraverso il lavoro. Ora sembra quasi intimo. Non sto preparando la scena per qualcun altro, sono io la scena. Sto condividendo la mia prospettiva direttamente, senza quello strato di curatela nel mezzo. È diverso, perché non c’è velo; sono solo io, che metto in mostra qualcosa di completamente mio. C’è un’onestà in questo, una vulnerabilità, che cambia l’intero processo. Sembra di dipingere su una tela più grande, e la posta in gioco è più alta, ma c’è qualcosa di emozionante in questa esposizione, nel lasciare che le persone vedano l’opera come un’estensione di me stesso.
Con questa mostra, rendi omaggio a Octavia Butler e all’afrofuturismo, concentrandoti sulle vite dei neri e promuovendo un cambiamento di prospettiva: senti mai di stare andando controcorrente?
Assolutamente, ho sempre sentito quell’impulso ad andare controcorrente. Penso che l’arte debba sfidare la corrente, mettere in discussione ciò che vediamo e rimodellare ciò che è familiare. È qui che il lavoro di Octavia Butler risuona profondamente con me. Ho chiamato questa mostra in suo onore perché ha capito che le narrazioni non devono essere lineari o limitate dalle convenzioni: piegava costantemente le regole, costruendo mondi che non rientravano nei confini stabiliti ma che sembravano appartenere al passato, al presente e al futuro tutti in una volta, ed è esattamente ciò che voglio evocare con questi dipinti. Ho sempre cercato di costruire la mia narrazione, di creare immagini che sembrassero senza tempo, scene che potrebbero esistere in modo altrettanto vivido cinquant’anni fa o tra cento anni. Per me, centrare le vite dei neri in questo lavoro significa creare un cambiamento di prospettiva che vada oltre qualsiasi momento particolare nel tempo. Voglio che i dipinti abbiano lo stesso senso di permanenza e possibilità che avevano i mondi di Butler, che esistano sia come tributo alla sua visione sia come esplorazioni senza tempo dell’eccellenza e della resilienza dei neri. Questo lavoro può andare controcorrente, ma penso che sia lì che vive la vera arte: sfidando le aspettative, ritagliandosi il proprio spazio nella storia.
Jordan Watson, Love Watts, spazi tradizionali e messaggi senza tempo
La tua creatura, Love Watts, è in continua crescita: cosa è cambiato (se è cambiato) in questi anni?
Nel corso degli anni, Love Watts è cresciuta fino a diventare qualcosa di più grande di quanto avrei potuto immaginare e, come la costruzione di qualsiasi marchio, ha avuto alti e bassi. All’inizio, sembrava che ci fosse una certa crudezza, un senso di scoperta nel curare l’arte e nel metterla in contatto con persone che altrimenti non l’avrebbero mai vista. Ora, ci sono più contenuti disponibili che mai, il che è sia una benedizione sia una sfida. C’è un flusso infinito di arte da setacciare, ma con questa abbondanza è più difficile trovare opere che parlino davvero da sole e non siano create solo per il bene della piattaforma.
C’è qualcosa che è diventato più facile?
Ora è molto più semplice connettersi con artisti, gallerie, collezionisti e follower; l’intero mondo dell’arte sembra più vicino, più accessibile. C’è molta più apertura, più “sì” di prima. E i social media hanno questa continua evoluzione: cercare di tenere il passo con i loro cambiamenti è sia la sfida che l’attrattiva. Scherzo dicendo che mi sono trasformato in una “nepo baby” perché, dopo anni di costruzione di queste relazioni, mi ritrovo a raggiungere vette nel mondo dell’arte con cui sto ancora facendo i conti. È surreale pensare che tutte quelle connessioni e quei momenti di curatela mi abbiano catapultato in questo luogo, dove la piattaforma Love Watts è diventata una parte importante della cultura artistica contemporanea. E mentre il panorama continua a cambiare, il mio obiettivo è rimanere fedele alla visione originale, mantenendo l’arte al centro e adattandomi mentre il mondo digitale cambia intorno a essa.
Proprio come Love Watts, il tuo stile e le tue espressioni sono “rivoluzionari”: come concili il tuo atteggiamento con uno spazio espositivo tradizionale?
Mi vedo come parte di una nuova ondata, un movimento che sta rimodellando ciò che può essere lo spazio espositivo “tradizionale”. In un certo senso, stiamo costruendo una nuova tradizione dalle fondamenta. Gallerie come Robilant+Voena sono in prima linea in questo cambiamento, creando spazio per gli artisti per portare se stessi nella galleria, liberi dai soliti vincoli. Sanno che, consentendo ad artisti come me di essere, semplicemente, stanno creando un ambiente che è allo stesso tempo senza tempo e rivolto al futuro. Questo approccio rispecchia il modo in cui vivo e dipingo: mescolando il classico con il contemporaneo, onorando ciò che è venuto prima, spingendolo verso nuovi territori. Voglio che il mio lavoro sfidi le convenzioni, pur mantenendo un posto nella più ampia storia dell’arte. In questo senso, sento che stiamo stabilendo un nuovo standard, creando il “tradizionale” per il futuro. Questo è il futuro che sto dipingendo, uno in cui i confini sono fluidi e lo spazio si adatta all’artista tanto quanto l’artista si adatta allo spazio.
Sembri sempre pieno di idee: quali sono i tuoi nuovi progetti?
In questo momento sono completamente immerso nella pittura, semplicemente profondamente concentrato: mi sento incredibile. Ho un’altra mostra personale in arrivo con Robilant+Voena a febbraio a St. Moritz, quindi mi sto davvero chiudendo in studio per creare qualcosa di significativo e di impatto. Voglio che sia qualcosa di speciale, qualcosa che rimanga con le persone. Allo stesso tempo, sto costruendo Love Watts in modi che sono sia ambiziosi sia molto vicini al mio cuore: il mio obiettivo principale con la piattaforma è quello di elevare e supportare altri creativi, e ho alcuni progetti che penso scuoteranno il mondo dell’arte. Diciamo solo che c’è molto altro in arrivo, e non potrei essere più entusiasta di condividerlo tutto.
Giulia Giaume
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