Il problema delle competenze nel Ministero della Cultura: un dilemma tra centralizzazione e diffusione
Italia e politiche culturali: serve una conversione di intenti, e un dibattito pubblico che sappia di nuovo derivare da una visione di sviluppo azioni concrete. A partire dai piccoli centri
Pur essendo l’attenzione del mondo della cultura tutta rivolta alle dinamiche, talvolta parossistiche, del Ministero e del Governo, e pur essendo ancora del tutto inesplorata la strada dell’autonomia regionale differenziata e dei cosiddetti LEP – i livelli essenziali delle prestazioni – bisogna tener conto che nel frattempo, il nodo che unisce l’aulica disposizione ministeriale, la prosaica delle nomine e delle nomination, e la vita quotidiana dei cittadini è rappresentato spesso da Comuni e da Città.
Cultura. le competenze nelle amministrazioni pubbliche
Lontani dalla Roma dei palazzi e dalla Milano della finanza, lontani dalla Torino dell’industria e del suo ricordo e dalla Napoli delle contraddizioni e della rinascita, esistono territori in cui la battaglia per la produzione culturale è condotta da amministratori e decisori pubblici che non sempre hanno la dovuta preparazione e competenza per comprendere quanto il proprio ruolo non sia soltanto volto a sviluppare il rapporto tra amministrazione e cittadinanza, ma anche a svolgere un processo di ricostruzione di una cultura italiana che è andata via via dissipandosi tra globalizzazione ed ex-provincialismi.
Il ruolo delle Capitali della cultura
La riflessione sulla produzione culturale, ad esempio, si è da tempo concentrata sugli elementi apicali: le direzioni, la RAI, la disponibilità di risorse da attribuire a ciascuna delle materie su cui il Ministero della Cultura interviene, lo spettacolo, la tecnologia.
I Comuni, soprattutto quelli più piccoli svolgono, in questo contesto, un ruolo sempre meno influente. Non solo quelli che vivono all’interno dei cosiddetti “territori interni”, ma anche quelle realtà che, per popolazione ed estensione, rappresentano delle città di medio-piccole dimensioni. Certo, la strategia delle capitali sicuramente consente di allocare risorse straordinarie, ma rappresenta un’azione faro (utilizzando il lessico che piace all’Unione Europea), e non una rete di candeline che, messe insieme, consentono di illuminare un territorio.
La logica degli eventi in Italia
Fuori dalla cultura istituzionale, e fuori dai grandi musei, la cultura cittadina spesso si riduce ad una programmazione di eventi, concerti di medio valore musicale, adesione a giornate europee (dell’archeologia, dei musei). Eppure, il nostro Paese, ha le proprie origini più reali proprio in quella fitta rete di Comuni che popolavano e popolano il nostro territorio. Una dimensione realistica di valorizzazione, quindi, è quella che preveda la presenza di persone di alto profilo all’interno di ciascuno di questi territori. Attraverso la rotazione territoriale degli amministratori, o attraverso l’adozione di figure tecniche esterne, che permettano di inquadrare ogni azione culturale all’interno di una strategia più ampia, che si ponga in una logica di “confronto” con le altre misure centrali e comunitarie, al fine di creare una rete di competenze che sia la base per la definizione di una reale politica culturale, termine ormai entrato in disuso, e che quando è utilizzato si riferisce a singole norme, o singoli indirizzi politici e linee guida.
Non è possibile immaginare una reale produzione culturale se non dal territorio. Il nostro tessuto territoriale, la nostra distribuzione geografica e demografica, che pur hanno aderito all’urbanizzazione e alla polarizzazione, non presentano le stesse caratteristiche amministrative, finanziarie e politiche di altri Paesi.
Qualità e competenze nei territori
La pluralità, che oggi è uno stendardo che tutti intendono sventolare, non è così evidente quanto potrebbe essere. E tutto dipende anche dalla capacità di un territorio di comprendere quali siano quei fattori di vantaggio che può rappresentare rispetto ad altre realtà rurali o urbane.
Tutto ciò può avvenire soltanto attraverso la presenza diffusa di competenze. E tale presenza diffusa, nell’attuale contesto in cui viviamo, è possibile soltanto attraverso la definizione di un livello minimo imposto a tutte le amministrazioni.
E questo livello minimo di qualità e di competenze va misurato, e va finanziato, pur mantenendo inalterato il livello di spesa pubblica, che in ogni caso dobbiamo abituarci a ridurre nel tempo.
Italia: manca una visione della politica (culturale)
Prima ancora delle risorse, però, serve una riflessione, e serve un orientamento. Serve una conversione di intenti, e un dibattito pubblico che sappia di nuovo derivare da una visione di sviluppo azioni concrete.
Non mancano strumenti. Né mancano competenze per creare strumenti nuovi, che sappiano tradurre in regolamenti, risorse, meccanismi di valutazione, analisi di risultati degli indirizzi di governo. Né mancano competenze, soprattutto, per ridurre l’insieme di regole, regolamenti, leggi, che ad oggi generano più costi che benefici.
Ciò che manca, è una visione della politica che veda nel compromesso un mezzo necessario per poter imprimere al Paese un percorso di sviluppo e non un fine.
Stefano Monti
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