Letizia Battaglia
Letizia Battaglia ha trovato nella fotografia il suo riscatto. Inizia a fotografare “tardi” e per arrivarci ha dovuto compiere il viaggio più difficile e doloroso: quello verso se stessa.
Comunicato stampa
“Io ho fatto fotografie cosi' come sono: appassionata, avventuriera e un po' disordinata.
Non c'e' bisogno di grande tecnica, ma di grande cuore”.
Letizia Battaglia ha trovato nella fotografia il suo riscatto.
Inizia a fotografare “tardi” e per arrivarci ha dovuto compiere il viaggio più difficile e doloroso: quello verso se stessa.
“Sono nata come persona solamente quando avevo 39 anni: è stata la fotografia a reinventarmi come donna, a darmi una identità, una autonomia, a farmi superare timori ed ostacoli. La fotografia mi ha resa libera”
Il percorso in salita della sua vita inizia a dieci anni, quando incontra per strada un uomo esibizionista e suo padre per paura non la lascia più uscire da sola. Letizia si sente in gabbia, prigioniera: “Avrei fatto qualunque cosa per uscirne. Anche sposarmi” e così si sposa a sedici anni, diventa madre prestissimo ma quel ruolo, pur amando le figlie, le sta sempre più stretto, vorrebbe studiare, lavorare. Va in crisi profonda, si perde, rischia di essere rinchiusa in un manicomio, come spesso finivano a quei tempi le donne che si ribellavano, quelle che non si riuscivano a “tenere a freno”.
Lei stessa dice “mio marito era preoccupato dello sviluppo della mia personalità”
Fortunatamente sfugge a questo destino e lotta tenacemente per la sua libertà.
Inizia a collaborare con il giornale palermitano L’Ora e, per la prima volta, prende in mano una macchina fotografica, diventando la prima donna-fotografa a lavorare per un giornale italiano; spingendosi in un territorio da nessuno mai battuto a Palermo, soprattutto da donna.
“E io ero una donna, unica donna in un mondo di uomini, erano tutti uomini: poliziotti, magistrati, medici legali. E io in quanto donna non ero credibile”.
Inizia senza sapere come funziona una macchina fotografica, ma è ciò che caratterizzerà la sua fotografia: un fotografare che viene dalla pancia, puro istinto.
Il suo motto è sempre stato: “Il mezzo non conta, e' il modo in cui si orienta lo sguardo che racconta mondo”
Nel 1970 si trasferisce a Milano dove avviene la sua vera formazione di fotografa collaborando con varie testate. Sperimenta un linguaggio più moderno, impara cosa significhi veramente fare un “reportage” e trasporta questo approccio a Palermo, quando vi ritorna nel 1974.
Ci dice “Noi usavamo il grandangolo, non usavamo il flash, siamo stati i primi a Palermo ad usare il 35 mm”, perchè Lei voleva essere vicina al soggetto, voleva essere lì, soprattutto voleva che il soggetto la vedesse e sapesse di essere fotografato, perchè ha sempre inseguito la verità ad ogni costo. Non voleva usare il teleobiettivo e fare foto rubate.
“Con il teleobiettivo le fotografie si possono rubare e a me questa cosa non piace, voglio essere riconosciuta, voglio essere alla pari con la persona che fotografo, voglio prendermi calci e sputi ma voglio che quella persona ne sia consapevole”
Questa sua “vicinanza” la porterà anche a ricevere minacce di morte, il clima diventa pesante, lo stesso giudice Falcone ad un certo punto le consiglia di lasciare Palermo ma lei rimane, spaventata a morte, passa anni di paura, le offrono la scorta ma lei rifiuta anche quella.
Le sue fotografie raccontano la mafia non solo come organizzazione criminale, ma come fenomeno sociale che ha condizionato le vite, i volti e i destini di intere generazioni. Nelle sue opere, le immagini di omicidi, funerali e arresti si alternano a ritratti intimi e delicati di volti siciliani, bambini e donne, raffigurati non solo come vittime ma anche come simboli di speranza e rinascita.
In ogni scatto di Letizia Battaglia c'è anche lei, è per questo motivo che sono così potenti, perchè questo suo esserci questo suo sentirsi addosso e vicino al soggetto, lo si sente, lo si percepisce, lo si tocca.
Lo sguardo di Letizia non giudica e non critica, non infierisce perché non è crudele né cerca di abbellire le cose: la realtà è quel che è.
Le persone sono sempre al centro del suo interesse e il suo obiettivo è sempre stato quello di testimoniare ed informare. La fotografia diventa per lei battaglia civile e politica. Raccoglie il gridi di Palermo, lei stessa diventa Palermo, lo dirà più volte: “se Palermo sta male io sto male”.
Ma questo sentirsi addosso il carico e i drammi di quella città la porterà anche ad un punto di rottura e sentirà la necessità di allontanarsi dall'orrore e dal dolore e per guarire il suo spirito si circonderà di “bellezza” dedicandosi a fotografare le donne e le bambine.
“Per iniziare una nuova storia bisogna lasciare andare via quella precedente o rielaborarla in qualcosa che ci plachi...per 20 anni ho fotografato sangue, morte, dolore, violenza, ...come ci si sente dopo aver vissuto tutto questo? Ci si sente devastati, come ci si sente a camminare per 20 anni sul sangue”.
Negli ultimi anni della sua vita si chiede ossessivamente “cosa ne sarà dei miei negativi” ma non pensando a se stessa, al suo ego di fotografa, ma pensando a “cosa ne sarà di tutto ciò sta lì dentro, di tutto quell'orrore e dolore che non può andare dimenticato”.
A questo scopo si dedicata instancabilmente alla realizzazione del suo pi grande sogno e fonda nella sua Palermo il “Centro Internazionale di Fotografia” per sostenere i giovani talenti e dare uno spazio libero e aperto a tutti. “io posso imparare da una ventenne e una ventenne imparare da me”.
E non parla al femminile per caso, perchè non ha mai negato di avere una predilezione per le donne, perchè dando voce alle donne dava voce a se stessa alla donna che lei è stata, alla bambina che a 10 anni perde l'innocenza e viene rinchiusa in casa e punita per la colpa di un uomo.
Marida Augusto
Biella, novembre 2024