Niki de Saint Phalle a Milano: una mostra racconta l’arte libera e irriverente della grande artista
Otto ricchissime sezioni invitano il pubblico a scoprire l’arte irriverente e liberatoria di una delle più grandi artiste del XX Secolo, che si salvò dalla depressione grazie alla pittura e la utilizzò come mezzo di difesa dei diritti di ogni genere e razza
Coloratissima, gioiosa, violenta, irriverente e liberatoria. Ma anche estremamente sensibile alle fragilità umane e sociali, soprattutto femminili. Questa è l’arte di Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – San Diego, 2002) illustrata nell’articolata rassegna proposta dal MUDEC di Milano per la stagione autunno-inverno 2024. Otto sezioni esplorano in modo esaustivo la sua produzione variegata, che si estende dai primi gesti pittorici “terapeutici” – si può dire infatti che l’artista si sia psicologicamente risollevata grazie al disegno – fino alle grandi opere monumentali e ambientali. Il percorso espositivo raccoglie ogni tipo di medium artistico: lavori grafici, installazioni, sculture di diverse dimensioni, e persino libri d’artista. C’è tutto quanto possa essere utile per entrare nella complessità di Niki de Saint Phalle. Una complessità che lega produzione e biografia, vita pubblica e privata. Ecco quello che vi aspetta in questa mostra.
Per punti
Niki de Saint Phalle: una donna e artista impegnata
Come già abbiamo avuto modo di illustrare in modo approfondito in questo articolo biografico, Niki de Saint Phalle è stata una figura dal grande senso di responsabilità sociale, nutrito dalle violenze subite in prima persona da parte del padre. Una donna sensibile, inizialmente fragile, che ha saputo però risollevarsi – e curarsi – grazie all’arte. Emblematici in questo senso i suoi Tiri – spari di pittura contro supporti e sculture, di cui le prime sezioni della mostra offrono numerosi esempi – che rappresentano veri e propri gesti di liberazione dalla rabbia repressa contro gli uomini violenti.
Non tutto il genere maschile le è stato però inviso. Anzi, se il primo matrimonio non dura a lungo, la seconda relazione con l’artista Jean Tinguely è così forte da divenire un sodalizio artistico e una collaborazione continua. Nessuna delle sue grandi installazioni ambientali sarebbe mai stata possibile da realizzare senza l’aiuto della perizia tecnica del marito. E non è dunque un caso se nel periodo di apertura della mostra al MUDEC è visitabile al contempo anche un’altra grande esposizione monografica, dedicata a Tinguely al Pirelli HangarBicocca di Milano. Qui tutti i dettagli nella nostra recensione.
La mostra di Niki de Saint Phalle a Milano
La mostra che vede protagonista Niki de Saint Phalle, a cura di Lucia Pesapane, racconta il suo sviluppo artistico con un ricco percorso in 110 opere, anticipato da una serie di abiti firmati Dior, che rievocano l’iniziale carriera di modella dell’artista. Otto le sezioni, di cui qui di seguito i passi principali.
I Tiri di pittura
Nella prima sala, il percorso si apre con alcuni quadretti inaspettati; ci si domanda quasi che cosa ci facciano lì. Sono opere di maestri del Medioevo dell’area senese e c’è un motivo dietro alla loro presenza. Nel 1957, de Saint Phalle vive per un periodo in Val d’Orcia, in Toscana, dove ha occasione di vedere quelle pitture e di trarne spunti per la loro commistione di personaggi provenienti dal sacro, dall’immaginazione e da altre credenze mistiche. Soggetti che si ritrovano sparsi nei supporti a rilievo, ove si mescolano ad altri simboli e corpi dalle provenienze più disparate. Se ci si avvicina, si riconoscono soldatini, portafortuna scaramantici, bamboline di plastica e persino figure che potrebbero essere prese dai presepi. C’è di tutto, e tutto è posto uno accanto all’altro, uno sull’altro, formando uno “strato di culture e credenze”. Strato poi coperto di pittura, in molti casi schizzata sulla tela come esito dei painting shots dell’artista: gli spari liberatori, quali performance che per lungo tempo le servirono come terapia psicologica per rifarsi dalle violenze passate durante l’infanzia.
Le Nanas di Niki de Saint Phalle
“Ho deciso molto presto di diventare un’eroina. E chi sarei? George Sand? Giovanna d’Arco? Un Napoleone in sottana?“. È una delle citazioni stampate sulle pareti, che esprime la risoluzione di Niki de Saint Phalle di diventare una nuova eroina, rompendo gli stereotipi di genere in cui aveva sempre visto imbrigliata la madre, da bambina. Una presa di posizione concretizzatasi nelle Nanas. Sono gli inizi degli Anni Settanta: periodo in cui la temperatura artistica dell’autrice “si scalda”, assumendo forti colori e connotati di gioia. Riprendendo gli stilemi delle veneri arcaiche – immediato il nesso alla Venere di Willendorf o alle statuette delle tribù africane simbolo di fertilità – nascono queste nuove figure formose, il cui nome, Nanas, riflette tra i vari significati quello della divinità sumera guardiana del fiume Eufrate. Il percorso espositivo ne propone diversi esempi, di varie dimensioni, materiali e colori. Dalle piccole miniature, alle versioni “chocolate”, rappresentanti della difesa della diversità contro ogni razzismo. Ma l’estro di de Saint Palle non si ferma qui, trasformando le Nanas in vere installazioni abitabili, con tanto di cucine, bagni e spazi in cui sostare. A farne le veci, fotografie e bozzetti che ben ne descrivono i colori e le forme tra il fantastico e l’irriverente e che inneggiano alla “nuova società matriarcale” che Niki de Saint Phalle avrebbe voluto costruire.
Dal Giardino dei Tarocchi all’impegno sociale e politico
Niki de Saint Phalle è da ricordare anche per essere stata tra le poche artiste donne ad affermarsi nel campo delle opere pubbliche. Tra tutte spicca il suo Giardino dei Tarocchi, costruito in Toscana. Un parco abitato da grandi installazioni che uniscono nei protagonisti degli Arcani dei Tarocchi riferimenti alla cultura indiana, etrusca e mitologica. Un tripudio di colori che la quarta sezione rievoca attraverso modellini e bozzetti dal valore di opere a sé stanti.
Si prosegue poi a evidenziare l’impegno sociale di de Saint Phalle, attiva a difendere prima i diritti femminili con le opere delle Madri divoratrici, e poi a sostegno dei malati di AIDS, pubblicando addirittura un libro tra il giocoso e lo scientifico, per spiegare al pubblico la malattia. Ancora, a fine Anni Novanta si colloca la serie Black Heroes, a favore dei neri americani.
Il grande schermo e il dialogo tra culture
La sesta sezione della mostra racconta l’avventura di Niki de Saint Phalle sul grande schermo, con la pellicola “liberatoria” Daddy. È in questa che riemerge con forza la storia di violenza subita in gioventù per mano del padre, che viene simbolicamente ucciso con 17 spari.
Diversi i sentimenti – qui si passa piuttosto al fascino e al rispetto – che emergono nelle opere che si rifanno all’arte dei popoli di varie culture intorno al mondo. Reinterpretazioni pop di divinità e oggetti sacri dal sapore mistico, dialoganti con alcuni pezzi provenienti dalle collezioni del MUDEC.
Il congedo californiano
A conclusione del ricco percorso espositivo, l’atmosfera è quella del deserto californiano. Si viaggia dunque fino a San Diego, dove l’artista si trasferì nell’ultima parte della sua vita. Lì cominciò il progetto – mai visto concluso in vita – di un secondo giardino, dedicato alla mitica fondatrice della California. Queen Califia’s Magical Circle: il nome del grande parco, inaugurato postumo nel 2002. L’ultima sala del MUDEC trasporta lì il pubblico, rievocandone le sculture totemiche che celebrano le culture dei nativi americani. Il lascito di Niki de Saint Phalle alle sue radici statunitensi.
Emma Sedini
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