Cosa c’entrano i videogiochi con l’arte concettuale? I libri per scoprirlo

Il videogioco è (o può essere) arte concettuale? Spunti di (auto)riflessione a partire da due libri da poco usciti in libreria, tra filosofia, politica e mondi virtuali

“Come possiamo comunicare idee e perseguire scopi filosofici per mezzo di mondi virtuali?” si chiede il filosofo e game designer Stefano Gualeni ne Il videogioco del mondo. Istruzioni per l’uso (Timeo, 2024). Nel libro Gualeni sintetizza con tono discorsivo e approccio introduttivo e accessibile anni di suoi studi sui mondi virtuali“tecnologie che ci permettono di essere (vicariamente e temporaneamente) qualcosa di diverso da chi siamo e da come viviamo nella nostra quotidianità”. E all’interno dei mondi virtuali, spiega Gualeni, è anche possibile “fare filosofia”, cioè è possibile “stimolare domande e riflessioni di carattere filosofico in maniera attiva ed esperienziale”. Per dimostrarlo, Gualeni parte dall’arte concettuale.

Videogioco e arte concettuale

Gualeni riprende la definizione di arte concettuale data dall’artista statunitense Sol LeWitt in Paragraphs on Conceptual Art, pubblicato su Artforum nel 1967: “nell’arte concettuale l’idea è la parte più importante del lavoro”. È un’arte che sacrifica le qualità estetiche per concentrarsi sull’espressione di idee che non potrebbero essere altrimenti comunicate, e che soprattutto non potrebbero essere comunicate linguisticamente. Perché, spiega Gualeni, “esistono [..] forme di conoscenza che non possono essere codificate linguisticamente senza che qualcosa si perda nel corso di quel processo”. Concetti come il funzionamento di un sistema complesso potrebbero essere meglio compresi per via esperienziale. Provandoli, insomma, in un videogioco. 

Videogioco ed esperienza nel libro di Stefano Gualeni

Viene in mente il movimento del “proceduralismo” individuato dal critico e game designer Ian Bogost in una serie di videogiochi usciti alla fine del primo decennio del nuovo millennio e interessati a rappresentare esperienze del mondo fisico (e a farci porre domande su tali esperienze) non tanto con il loro stile audiovisivo ma attraverso le loro meccaniche ludiche e la nostra interazione con esse. Passage (Jason Rohrer, 2007) è il caso più celebre di questa tendenza. Tra gli usi possibili del videogioco inteso come artefatto con valore cognitivo e comunicativo, Gualeni discute nel libro soprattutto quelli “autoriflessivi”, opportunità “di offrire al giocatore prospettive critiche e/o satiriche su come i videogiochi stessi sono progettati, giocati, venduti, modificati, compresi e discussi come oggetti sociali”. Ne è esempio un videogioco da lui co-sviluppato, Doors (the game) (2021), un articolo accademico giocabile sulla rappresentazione virtuale e interattiva (in questo caso, delle porte). 

Videogioco e institutional critique

Un altro recente saggio, Everything to Play For: How Videogames Are Changing the World della sviluppatrice, critica e sindacalista Marijam Did (Verso, 2024), ci aiuta ad approfondire la questione del videogioco autoriflessivo. Did scrive un libro esplicitamente politico per richiamare l’attenzione delle sinistre sul valore economico, sociale e appunto politico del videogioco. Ma problematizza anche il modo in cui vengono solitamente realizzati e discussi i videogiochi che pretendono di trattare temi sociali e politici e di sfidare le convinzioni del pubblico e lo status quo. Per questo, il terzo capitolo divaga in una piuttosto informata esplorazione di come l’arte contemporanea si sia posta tale problema. Did, di formazione materialista, è interessata soprattutto alle opere dell’institutional critique, che si sviluppa (anche) dall’arte concettuale e mette in discussione la stessa industria dell’arte, per poi finire a sua volta assorbita dal sistema e istituzionalizzata. 

Videogioco e politica nel libro di Marijam Did

Ma, scrive Did, “mentre molti giochi discutono se stessi e il medium, molto pochi osano sfidare in modo significativo l’industria in quanto istituzione”, e le regole delle piattaforme di distribuzione sono pensate per impedire operazioni di sabotaggio artistico che sarebbero permesse negli spazi del museo e della galleria. Il videogioco autoriflessivo di cui parla Gualeni potrebbe però non poter più rimandare il confronto e lo scontro con la dimensione produttiva e distributiva del medium. Perché, come afferma Did, “se chi fa videogiochi vuole seriamente ambire a spingere limiti culturali e creare arte che sia rilevante, deve mettere criticamente in discussione gli spazi in cui questi giochi sono ospitati”.

Matteo Lupetti

Stefano Gualeni – Il videogioco del mondo. Istruzioni per l’uso
Timeo, Palermo 2024
Pagg. 120, € 17
ISBN 9791281227156


Marijam Did – Everything to Play For: How Videogames Are Changing the World
Verso, Londra, New York, 2024
Pagg. 288, £ 16.99
ISBN 9781804293249

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Matteo Lupetti

Matteo Lupetti

Diplomato in Fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze nel 2010, gestisce il collettivo di fumettisti indipendenti Gravure e scrive di videogiochi per varie testate italiane ed estere. È diplomato in sommelerie all’interno dell’associazione FISAR ed è direttore artistico…

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