A Parma lo spettacolo di Rafael Spregelburd per rileggere Cassandra in chiave contemporanea 

Il Teatro Due di Parma dedica una “personale” all’artista regista, drammaturgo e regista di fama internazionale, le cui opere surreali e ironiche fece conoscere in Italia Luca Ronconi. Lo abbiamo intervistato

Non fare la Cassandra” è un modo di dire, è la testimonianza del mito che s’invera nel linguaggio quotidiano, è la fabula che diventa avvertimento inascoltato. Diciassette cavallini di Rafael Spregelburd – drammaturgo argentino, fra i più apprezzati nel mondo – debutta al Teatro Due di Parma fino al 10 dicembre 2024 nell’ambito del Reggio Parma Festival.  

Lo spettacolo di Rafael Spregelburd al Teatro Due 

L’appuntamento si inserisce in una monografica dedicata all’autore ma ciò che è interessante dell’operazione portata avanti da Fondazione Teatro Due sta forse nel processo più che nell’esito. Non si è trattato, infatti, semplicemente di chiamare un drammaturgo a produrre uno spettacolo, ma il teatro emiliano di Parma ha voluto che Spregelburd diventasse parte del “collettivo”, per usare un termine caro al gruppo parmense. “Le condizioni di produzione erano quelle ideali per questo esperimento. Il Teatro Due, grazie alla sua unicità di essere basato su una cooperativa di attori, ha potuto permettersi un periodo molto lungo di sviluppo del testo (sono venuto già quattro volte a Parma per diverse fasi di prova con gli attori) e in questo modo il concepimento, la scrittura e la direzione di quest’opera italiana assomigliano un po’ a quelle che impongo nel mio modo di fare teatro nella mia città, Buenos Aires; ovvero: il teatro come laboratorio di produzione del senso, dove il processo è più importante della produzione del risultato”. 

Rafael Spregelburd. Photo Andrea Morgillo
Rafael Spregelburd. Photo Andrea Morgillo

Intervista a Rafael Spregelburd 

Cassandra e 17 cavallini… si sfida la superstizione?  
Perché no? I 17 cavallini si propongono come una metafora elusiva di estrema duttilità all’interno dell’opera: a volte, 17 sono i minuti della sessione di terapia che rimangono al paziente (minuti insufficienti per giungere a qualsiasi risultato); altre volte, 17 sono i soldati achei nascosti nell’ingannevole cavallo di Troia; a volte, invece, 17 sono i movimenti esatti della coreografia che gli attori devono percorrere in senso inverso alle lancette dell’orologio, a ritroso. Che siano 17 e non 10, o 60 o 1000, racchiude anche un ulteriore e semplice curiosità: il 17 è un numero primo (cosa che comporta non poche conseguenze nel provare a integrarlo in operazioni con numeri razionali), è una porta di ingresso alla sventura (nel significato folkloristico che si attribuisce ai numeri nella lotteria, il 17 simboleggia la disgrazia), è indivisibile e allo stesso tempo fattore primo di operazioni più complesse. 

Come si articola questo suo nuovo lavoro? 
Lo spettacolo è creato come un poema: le parole e le azioni, qui, sono come pietre lanciate nel confortevole lago della ragione per produrre una sequenza di onde imprevedibili che finiranno per mettere a rischio la nostra percezione e le nostre categorie predeterminate, per dialogare liberamente con un tema che mi è molto caro: la grammatica interna della catastrofe, definita come un evento nel quale gli effetti precedono le cause. 

Che cosa l’ha affascinata del mito di Cassandra? 
Quando abbiamo parlato con gli attori del Teatro Due di quali tematiche avrebbero potuto coinvolgere i nostri interessi comuni, è venuto a galla il tema del mito. I miti classici, che forse in Italia sono presenti dappertutto (nelle vostre statue, nei vostri musei, nei nomi delle vostre strade), nel mio paese sono invece una materia un po’ distante. Tuttavia, ho sempre condiviso quello che dice il mio maestro, Mauricio Kartun: una buona opera di teatro crea sempre un micromito, un mito di fattura artigianale che prende piede all’interno di una comunità di senso. Un racconto con una struttura molto precisa che crea le sue personali regole di gioco. Fra tutti i possibili miti classici, quello di Cassandra è fantastico, soprattutto per le infinite versioni che esistono.

Una variazione di racconto che si riflette in scena, in che modo? 
Il primo atto, che si chiama L’oracolo invertito, presenta una forma “apollinea” del mito. Potremmo dire che racconta una storia dall’inizio alla fine, pur con i suoi meandri insondabili, ma come se fosse più o meno una pièce teatrale con personaggi, dialoghi, sviluppo, conseguenze, metafore. In questo primo atto si mostra il terribile conflitto di Cassandra: di fatto può prevedere il futuro, ma solo quando è orrendo. Inoltre, nessuno le crede. La nostra Cassandra è un essere umano dei giorni nostri che decide di ricorrere alla terapia per mitigare i suoi super poteri tramite farmaci di dubbia origine. L’opera racconta la sua relazione con Antonio, uno psichiatra che ovviamente non le crede ma che cercherà di aiutarla, con risultati catastrofici. Il secondo atto è, invece, quello che consideriamo la versione “dionisiaca”, che ricicla l’informazione diligente che il primo atto ha dispiegato e la trasforma in puro gioco. È un esercizio di attenzione esasperante che invita lo spettatore in un labirinto costruito minuziosamente e nel cui cuore non abita un Minotauro ma qualcosa di molto peggio: Cronos. L’artefice del tempo. 

Nicola Arrigoni 

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Nicola Arrigoni

Nicola Arrigoni

Nicola Arrigoni, giornalista professionista, è redattore ordinario presso il quotidiano «La Provincia» di Cremona dove si occupa di cronaca culturale della città, politica culturale, liuteria e ricopre il ruolo di critico militante per il teatro drammatico. É critico teatrale e…

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