Riccardo Lumaca – Antologica 1967-2001
La mostra riunisce oltre 130 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali mai esposte prima, offrendo al pubblico l’opportunità di esplorare la produzione artistica di un autore che ha saputo condurre, con un approccio innovativo e talvolta ironico, una riflessione critica originale sulla storia dell’arte
Comunicato stampa
Con la mostra Riccardo Lumaca. Antologica 1967-2001
Fondazione Monteparma dedica un nuovo capitolo della sua missione di promozione
culturale a uno degli artisti più interessanti, e ancora troppo poco conosciuti, della nostra
città.
L’antologica, che sarà visitabile all’APE Parma Museo dal 14 dicembre al 9 marzo,
riunisce oltre 130 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali
mai esposte prima, offrendo al pubblico l’opportunità di esplorare la produzione artistica
di un autore che ha saputo condurre, con un approccio innovativo e talvolta ironico, una
riflessione critica originale sulla storia dell’arte.
Curata da Gloria Bianchino, Carla Dini e Arturo Carlo Quintavalle la mostra
ripercorre oltre tre decenni di produzione artistica, svelando i cicli tematici che hanno
caratterizzato il lavoro di Lumaca, dagli esordi alla maturità. Uomo gentile e riservato,
Lumaca si distingue per una ricerca rigorosa e lontana da protagonismi. Interprete
concettuale e innovativo, con la sua arte sfida lo spettatore a decifrare enigmi e a
riconsiderare i meccanismi della percezione. La sua opera è un ponte tra tradizione e
modernità, incentrata sulla rilettura del passato e sull’esplorazione delle potenzialità e
dei limiti della riproduzione artistica.
“La mostra dedicata a Riccardo Lumaca è il frutto di un ampio lavoro preliminare di
ricerca e sistemazione archivistica delle sue opere, reso possibile dalla piena
collaborazione della moglie Luisa, della figlia Lucia e dei nipoti Francesco e Alessandro, ai
quali vanno i più sentiti ringraziamenti. Cogliamo l’occasione per esprimere la nostra
sincera riconoscenza anche a quanti, tra amici e conoscenti dell’artista, si sono prodigati
per la migliore riuscita dell’iniziativa” dichiara il Presidente di Fondazione Monteparma,
avv. Mario Bonati.
Fondazione Monteparma è da sempre impegnata nello sviluppo di progetti capaci
di valorizzare il patrimonio artistico e, in questo caso, con Riccardo Lumaca ha potuto
accendere i riflettori sull’arte della seconda metà del Novecento, attraverso il lavoro di un
fine intellettuale che, soprattutto agli inizi, è stato fortemente stimolato dalla
partecipazione alle iniziative promosse dall’Università di Parma.
Accompagna l’esposizione l’omonimo catalogo, pubblicato dalla casa editrice
Monte Università Parma, che costituisce un ulteriore tassello dell’importante operazione
culturale che Fondazione Monteparma ha promosso e sostenuto per divulgare la figura di
Riccardo Lumaca, lasciandone un segno duraturo nella memoria collettiva.
La mostra è visitabile dal martedì alla domenica dalle ore 10.30 alle ore 17.30.
Maggiori informazioni sul sito: www.apeparmamuseo.it
RICCARDO LUMACA: PERCORSO ARTISTICO
Riccardo Lumaca (Parma, 12 agosto 1938-31 agosto 2001) respira l’interesse per
l’arte fin da piccolo. Pur essendosi sempre considerato un pittore e avere frequentato
assiduamente mostre e musei in Italia e nel mondo, afferma di non essere stato attivo
fino all’età di trent’anni.
Il suo esordio artistico si colloca negli anni in cui vede la luce l’arte concettuale e che
sono contraddistinti dal forte impegno politico e di denuncia sociale. Sono stimoli che
Lumaca raccoglie ed elabora con una ricerca attenta al lavoro di tanti suoi contemporanei
ma che esprime una sua originalità, sempre sottile, ironica, enigmatica e disincantata. Fin
dall’inizio rifiuta la sacralizzazione e la mercificazione dell’arte, sceglie la figurazione,
legge in chiave critica la storia dell’arte e le sue convenzioni arrivando lungo tutto il suo
percorso artistico a compiere un’ininterrotta, instancabile operazione metalinguistica.
Sceglie emblematicamente di inaugurare il suo percorso artistico, spesso
organizzato in cicli, con ritratti di Picasso realizzati a partire da famose fotografie di
repertorio. L’opera n. 1 del suo inventario è, infatti, l’Autoritratto come Picasso (1967). In
occasione della sua prima mostra collettiva “Convergenze 8” a Sabbioneta (MN),
presentato da Arturo Carlo Quintavalle, insieme a lavori legati al rivoluzionario artista
catalano espone Ritratto di leader (Nikita Kruscev) in chiave pop e distante dalle imitazioni
del realismo sociale sovietico. Sulla scia di quest’ultima opera, ma con una maggiore
complessità costruttiva, nel 1969 realizza Rose di Morandi in un pneumatico POP sulla
Piazza di Battipaglia, con dedica ai caduti negli scontri con la polizia avvenuti a Battipaglia
dopo la chiusura di due fabbriche.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, segue con interesse l’attività svolta
dall’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Parma, diretto dal prof. Quintavalle, il
quale aveva ampliato il perimetro degli studi accademici alle nuove forme di
comunicazione artistica. Ne è esempio la performance che realizza insieme all’amico
Claudio Cavazzini in concomitanza con la mostra sui miti della pubblicità “La tigre di
carta”, curata dal prof. Quintavalle a Parma nel 1970. I due artisti tappezzano la città di
contromanifesti con la scritta “Pubblicità… è amore?”.
Nel 1971, con la prima personale “Istruzioni due” (realizzata in concomitanza con
“Istruzioni uno” di Claudio Cavazzini), allestita in Pilotta a Parma, ripercorre l’arte del
secondo millennio, da Wiligelmo a Picasso, con un intento didattico e di denuncia,
soffermandosi sulle criticità e sui limiti della riproduzione a stampa delle opere d’arte, in
pubblicazioni dove ogni differenza (tra autori, opere, periodi storici…) è annullata e le
immagini sono appiattite e ridotte a feticci. Riferimento costante del suo lavoro è proprio
la riproduzione e la lettura dell’opera d’arte attraverso i mass media.
A partire dallo stesso anno lavora anche ad un ciclo di ritratti in cui sostituisce il
proprio volto a quello di sette maestri del Rinascimento che, nel 1973, mette in mostra
con un titolo concettuale: “8×8 ritratti di Riccardo Lumaca”. Ideare rompicapi, porre
interrogativi e coinvolgere attivamente l’interlocutore è il proposito costante della ricerca
di Lumaca, la cui comprensione richiede sempre uno sguardo attento e una mente
allenata a trovare risposte mai scontate. D’ora innanzi, l’artista dà vita ad una sorta di
“enigmistica dell’arte”, coinvolgendo lo spettatore in diversi giochi: “trova le differenze”,
“cerca l’intruso”, “scopri il particolare”...
Non stupisce, inoltre, che il suo interesse si rivolga prevalentemente alle opere
caratterizzate da colori forti, irrealistici, contrastanti, da forme sinuose e allungate, da
pose innaturali e da composizioni complesse di alcuni protagonisti del manierismo. Essi,
infatti, traendo ispirazione non dalla natura ma dai maestri del Rinascimento,
costituiscono un riferimento privilegiato delle sue continue sperimentazioni
metalinguistiche, incentrate sul disvelamento dei meccanismi del linguaggio dell’arte.
Un’altra importante ricerca, che inizia nel 1973, è quella realizzata fotografando le
“stanze” di Vermeer. Lumaca parte innanzitutto dall’analisi del dipinto originale, ne
ritaglia alcuni dettagli per poi ricomporli, fotografando nuovamente il tutto: l’opera è
come un puzzle e l’intento creativo dell’artista è quello di modificare il senso
dell’originale. In opere come Dalla Mezzana e Sette Situazioni da “Ragazza che legge una
lettera presso la finestra”, la moltiplicazione o la rimozione dei personaggi, le modifiche
delle scene costruite da Vermeer, così come gli scarti temporali tra le immagini
organizzate in serie costituiscono lo spazio creativo dei dipinti di Lumaca.
Continuando a riflettere sulle peculiarità linguistiche di diversi artisti – inizialmente
ancora Vermeer, poi Magritte, De Chirico, Mondrian, Rousseau – giunge al giocoso ma
plausibile paradosso di inventare una serie di quadri, “riproduzioni di capolavori mai
realizzati”, che intitola “Apocrifi”. Si tratta di opere che mettono insieme diversi elementi
tipici/topici dell’artista di cui Lumaca ha saputo decifrare e riprodurre il codice linguistico,
una sorta di applicazione ante litteram dei princìpi su cui si basa l’intelligenza artificiale,
tanto da creare opere che tali artisti avrebbero potuto realizzare.
Di notevole interesse è anche l’operazione che prende spunto da Caravaggio, dove
ne La buona ventura e in Cena in Emmaus l’artista cambia posto ai personaggi, gioca sulla
loro differente “messa a fuoco” utilizzando le peculiarità del mezzo fotografico per
evidenziare, sfumare o quasi cancellare i protagonisti. Preliminarmente interviene
asportando con il bisturi da libri d’arte elementi dell’opera originaria, che poi muove e
ricolloca costruendo “teatrini” (così amava definirli) funzionali alla messa a punto della
sua nuova opera. Lumaca sceglie Caravaggio in quanto pittore realista per eccellenza e
interviene con la fotografia perché percepita frequentemente come “doppio della realtà”.
I tondi degli Evangelisti di Pontormo e Bronzino della Chiesa di Santa Felicita a
Firenze gli offrono lo spunto per esplorazioni prospettiche e per riprese in anamorfosi da
quattro posizioni corrispondenti ai punti cardinali, ovvero dall’alto, da sinistra, da destra,
dal basso. Gli ovali del San Giovanni Evangelista da Pontormo saranno esposti alla
Biennale di Venezia nel 1982.
Nel 1985, continuando a rompere con le convenzioni della pittura, sempre cercando
di svelarne gli inganni, rovescia la prospettiva e dipinge un Passaggio del Mar Rosso, tutto
giocato fra il “volume” e le “due dimensioni”.
Segue il ciclo su Parmigianino (1985-1988), ispirato dalla scultura dedicata al grande
manierista in piazza della Steccata a Parma, dove l’icona dell’artista, rivisitata facendo
ricorso ad una gamma cromatica innaturale e stravagante che ne sottolinea l’operazione
intellettuale, a volte viene raddoppiata o addirittura triplicata in un dialogo tra immagini
dello stesso soggetto viste da posizioni differenti.
L’ultimo testo di Lumaca, intitolato Piccola storia del quadro girato, è un capolavoro
di riflessione critica sulla storia dell’arte e il rovescio dei dipinti come fatto narrativo.
Scritto quando realizza i suoi “quadri girati”, ben testimonia il rigore che contraddistingue
le sue operazioni.
Le nature morte attraversano tutta la produzione di Lumaca e trovano, insieme ai
“quadri girati”, una sorta di compendio finale ne La battaglia della pittura (1990),
un’opera di grande formato che raccoglie diverse citazioni e materiali iconici dei vari
generi pittorici da lui sperimentati.
L’ultimo ciclo pittorico (1999-2000) trae spunto dalla visione di un’intervista a
Francis Bacon, che lo intriga per la molteplicità delle espressioni del volto dell’artista
irlandese. Con la tecnica del fermo immagine, Lumaca realizza una straordinaria, quasi
ossessiva, produzione di disegni e oli su tela, prodotti in vari formati e declinati in
un’ampia serie di varianti colore.
Questo, in sintesi, è il percorso di un artista che nel suo lavoro non ha mai smesso
di lanciare sfide interpretative, senza scendere a compromessi con il sistema dell’arte,
riuscendo a farsi apprezzare per la sua coerenza e integrità, l’eleganza dei modi, l’onestà
intellettuale, il suo essere naturalmente gentiluomo.