Al Centro Pecci di Prato una mostra su una grande pittrice italiana: Margherita Manzelli
Opere dagli Anni Novanta ai giorni nostri, azioni e sperimentazioni, pittura, poesia e intelligenza artificiale: la maturità artistica di Margherita Manzelli in una bella mostra a Prato
È una Margherita Manzelli consapevole, a volte inedita, quella che emerge dalla ampia personale dedicatale dal Centro Pecci di Prato dal titolo provocatorio, un po’ retrò, Le signorine. A curare la bella mostra dedicata all’artista, nata nel 1968 a Ravenna ma residente a Milano, è il direttore dell’istituzione Stefano Collicelli Cagol, con opere in mostra che ripercorrono la carriera artistica di Manzelli dagli Anni ’90 ad oggi.
La mostra di Margherita Manzelli al Centro Pecci.
L’artista rivendica con forza il suo essere pittrice, con la messa in scena di tele che mostrano la maestria nella tecnica, la coerenza dei temi, la capacità di passare dalla figurazione all’astrazione senza il timore di essere fraintesa, e il patrimonio visivo che l’accompagna. C’è la storia dell’arte nel suo fare. Ad esempio nel trittico L’infinito della mia distrazione, realizzato appositamente per la mostra, che in tre oli su tela gestisce magistralmente e in forma rinascimentale la luce; allude alla Musa dormiente di Constantin Brâncuşi e ibrida i motivi della pavimentazione della Cattedrale di Prato con le carte da parati Anni ’70. C’è anche un po’ di fantasy, un po’ Tim Burton, un po’ David Lynch nei rossi, nelle nature che accompagnano le sue figure femminili, nelle perline, nei tatuaggi che ornano gli incarnati. Quello de Le signorine è un universo a parte, sono comprese all’interno del proprio ruolo, emancipate da qualsiasi turbamento erotico del riguardante. D’altra parte, è la stessa Manzelli ad ammettere di aver desessualizzato il più possibile le sue protagoniste, per liberarle dall’insidia di un eventuale sguardo concupiscente. I corpi sono magri ed emaciati, gli sguardi torvi o allucinati (leit motiv è la presenza lussureggiante della datura, fiore velenoso o stupefacente), i nudi raramente presenti e, quando ci sono, poco maliziosi.
L’altra Manzelli: dalla performing art all’Intelligenza Artificiale
Se la presenza femminile, i tessuti, ispirati nelle opere più recenti anche alla produzione industriale pratese del tessile, la natura a volte sontuosa a volte matrigna, e gli sfondi che simulano carte da parati o quinte teatrali sono le magnifiche ossessioni dell’artista, rese peraltro a pennello, la mostra non manca però di ripercorrere anche la storia delle sue azioni, qui esemplificata dagli strumenti di lavoro dell’opera La vita felice (performance), realizzata nel 1996, parte di un percorso in cui Manzelli portava all’estremo le possibilità del suo corpo, sperimentazioni che accompagnano il suo essere pittrice, senza negarlo.
Il robot Mercedes, la pittura e l’intelligenza artificiale
D’altra parte, l’artista, che ama mettere in discussione se stessa, disseminando ad esempio piccole teste ad acquerello per le tante sale espositive dedicate al suo lavoro (Untitled), non manca di stupire anche questa volta, portando in mostra un alter ego robot. Si chiama Mercedes, ispirandosi alla protagonista femminile amata dal Conte di Montecristo, ed è realizzata in collaborazione con Federico Espositi, ricercatore del dipartimento di robotica sociale del Politecnico di Milano. Nell’azione Sistemi di credenza, che durerà per tutti i cinque mesi di mostra, Mercedes, il cui volto “è ispirato a una sfinge scolpita da Antonio Rossellino e Mino da Fiesole per il pulpito interno del duomo di Prato“, come spiega Collicelli Cagol, interagirà con i visitatori recitando poesie scritte dalla Manzelli. Commovendo, stupendo e, qualche volta, strappando un sorriso.
Santa Nastro
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