Intervista al grande artista Maurizio Mochetti
Dopo Duchamp, pochi artisti hanno saputo rompere con l’esistente proponendo una visione totalmente nuova. Tra questi Maurizio Mochetti, giocando con lo spazio e la luce, ha costruito una poetica che trasforma in arte la fisica e la teoria della relatività
“Lo spazio non esite. Lo faccio io”. Così esordisce Maurizio Mochetti (Roma, 1940) alla vigilia della sua prossima personale: 30 Progetti, 2 Realizzazioni, presso la nuova sede romana di Contemporary Cluster il 18 dicembre. Un’esposizione, con testo critico di Andrea Mugnaini, caratterizzata da un titolo che volutamente rimanda alla prima mostra dell’artista, nel 1968: “10 Progetti, 2 Realizzazioni”, a Roma, presso la galleria La salita di Gian Tommaso Liverani, con l’ironica idea di proseguire nel 2500 con: “500 Progetti, 2 Realizzazioni”.
Maurizio Mochetti un artista totale e coinvolgente
Maurizio Mochetti con sette Biennali alle spalle e mostre in tutto il mondo, è un artista vulcanico ed esplosivo che racchiude in sé anche la natura dello scienziato e del filosofo.
La sua arte è totale, è vita; nella misura in cui per lui è necessaria come l’aria che respira. E la mostra, attraverso l’esposizione di un ampio corpus di opere su carta e due installazioni, intende proprio documentare l’evoluzione di questa ricerca durata oltre cinquant’anni che, pur mutando nelle forme e nei modi, è rimasta inalterata nell’essenza e nei valori con una coerenza rara.
E allora, visto che l’arte di Maurizio Mochetti è avvincente e sempre capace di stupire, abbiamo approfondito con lui la sua ricerca sulla luce.
La parola a Maurizio Mochetti
Iniziamo da una domanda “facile”: cos’è l’arte?
Devo dire che sono trent’anni che ci penso. L’arte è l’opportunità di guardare il mondo da diverse prospettive. Perché ogni artista con la sua ricerca propone una visione diversa della realtà. E, quindi, è anche relazione, scambio. In particolare un dialogo tra artista e artista.
Poi, ad essere sincero, dovrei riconoscere che l’arte è finita. Finita con Duchamp che ha fatto piazza pulita. Un “azzeramento” che rappresenta un’opportunità, perché ha preparato il terreno per un mondo nuovo, che, però, non c’è stato o almeno non ancora.
Perché è necessaria una ripartenza? Un azzeramento totale?
Perché l’arte cambia, si evolve nel tempo. All’inizio era descrizione degli eventi, cronaca dei fatti, come dimostrano le pitture rupestri; poi è diventata riproduzione figurativa, fino alla noia mortale. Poi ci sono stati l’Impressionismo, l’Espressionismo e il Futurismo: l’unico grande movimento italiano, la prima grande avanguardia del mondo. Poi, ancora l’Astrattismo. Insomma, tutti tentativi di andare oltre la rappresentazione convenzionale della realtà, fino agli anni Sessanta, Settanta.
E oggi com’è la situazione?
Oggi c’è stato un peggioramento. Le novità proposte dal ’68, periodo in cui tutto sembrava possibile, sono state ignorate, lasciate a livello di mera sperimentazione e si è tornati alla pittura. Un’arte strumentale, concepita per compiacere il mercato, che ha assunto un sentore di decorazione, come se i sedicenti artisti contemporanei più che l’urgenza creativa di tirare fuori ciò che hanno dentro, seguano quella di diventare famosi.
Cosa manca rispetto al passato?
Oggi mancano i mecenati illuminati, perché non basta avere i soldi per esserlo, è una questione culturale e credo che la stessa cosa valga per gli artisti. Manca un’adeguata preparazione culturale, non in senso accademico, didascalico ma in termini umani. Il tema è che è tutto collegato, l’arte, la scienza, la storia. Non si può fare arte senza conoscere ciò che è stato prima. Altrimenti anziché l’espressione si persegue qualcosa di vano e vacuo, come la notorietà. Basti pensare che in passato per alcuni artisti la fama era vista come una minaccia, un fallimento, perché celava un’incomprensione del loro autentico messaggio.
Ci può dire di più dell’artista?
Non è la società che decreta l’artista ma è l’artista stesso che ha in sé questa certezza di identità. Per me l’artista è un malato che si cura con l’arte. Per cui l’arte è un’ossessione, qualcosa che bisogna necessariamente tirare fuori. Ma se è vero che l’artista propone una visione nuova, non vuol dire che abbia necessariamente anche le idee, piuttosto: l’artista trova il modo migliore di rappresentarle. Copia dappertutto, sente tutto e riesce a farne un’immagine, a restituirlo. Io personalmente riesco ad osservare e vedere ciò che gli altri non vedono. Guardo le cose in modo diverso rispetto alla maggior parte delle persone e, quindi, ne tiro fuori qualcosa che gli altri magari hanno anche visto o percepito ma non sono stati in grado di cogliere. Mentre io la rendo visibile, dandogli il giusto significato. Insomma, chi è veramente un artista sa di esserlo.
Chi sono i suoi artisti di riferimento?
Nel Novecento Klein e Malevich. In generale gli artisti che reputo grandi sono pochissimi, quelli che hanno compiuto una rivoluzione del linguaggio, realizzando qualcosa di veramente nuovo. Si contano sulla punta delle dita.
Cosa pensa degli artisti di oggi?
Nella mia vita incontro moltissimi giovani, spesso mi fanno da assistenti e mi stupisce la loro freddezza. Mi dicono: “Se entro tre anni non divento famoso cambio strada”. Ebbene il vero artista non può cambiare strada, perché ha solo quella. Io per anni ho vissuto senza corrente elettrica ma non avrei mai potuto fare altro. Inoltre, l’artista autentico percepisce subito il suo spazio all’interno della storia, riuscendo a collocarsi in un punto preciso che aspettava solo lui in perfetta continuità con il passato, nello scorrere incessante del tempo. Mentre gli artisti più giovani, incuranti della storia, spesso propongono ciò che è stato già fatto.
Lo spazio e la luce per Maurizio Mochetti
E qual è il suo spazio o la sua visione dello spazio?
Partirei dal presupposto che lo spazio per me non esiste, sono io che lo creo. Mi spiego: nel corso della mia carriera ho lavorato molto sulle relazioni, sul mettere in contatto due cose distanti; non in senso materiale ma attraverso elementi impalpabili: la luce, il tempo, il movimento. Quindi, mentre una scultura o un dipinto devono necessariamente rapportarsi allo spazio per “essere”, le mie opere no. I miei lavori determinano lo spazio, conferendo allo stesso lo status di opera d’arte.
Può approfondire questo concetto?
In altre parole, partendo dalla fisica e dalla meccanica quantistica, il mio spazio non ha un significato di per sé, è solo un contenitore in cui immetto l’opera. Ma, nel momento in cui la inserisco, acquista un significato, diventando un campo energetico in movimento, ove le particelle vibrano e interagiscono, dando vita a un universo visivo dinamico e in costante evoluzione. Per questo amo lavorare con la luce, come elemento in movimento che crea rapporti tra le cose.
Ci può dire di più?
Mi interessano le infinite variazioni della materia, le sue intrinseche proprietà. Sapendo che quello che vediamo in modo superficiale non è la verità, perché, come dimostra la fisica la verità non esiste. Ma è una possibilità della realtà. Le mie opere sono caratterizzate da un’essenza fluida, mutevole che rappresenta una dimensione più profonda e complessa della realtà, in cui l’apparenza cede il passo a un’essenza eterea. In pratica, colgo e rappresento ciò che la maggior parte delle persone percepisce solo vagamente.
Mochetti e la teoria della relatività
Una visione che si basa sulla teoria della relatività?
Esatto, tenendo presente che il punto non è conoscere le teorie a livello nozionistico ma a livello profondo, farle proprie; e dato che il modo migliore per assimilare una conoscenza è viverla, nelle mie opere traduco quei concetti in esperienze sensoriali immersive, dando alle persone la possibilità di farne un’esperienza diretta e, così, di iniziare a pensare che esistono altri modi di interpretare e rapportarsi alla realtà. Penso che riuscire a fare davvero propria la teoria della relatività cambi radicalmente il modo di vivere, di pensare e di compiere le azioni più banali. Anche di fare l’amore. Per questo con i miei lavori cerco di trasmettere questa possibilità.
Quindi è necessario proprio un cambiamento di paradigma?
La verità è che noi terrestri ragioniamo come dei provinciali. Viviamo ancora secondo le leggi che governano sulla Terra, come la gravità o la matematica pitagorica, quando in realtà siamo già uomini dello spazio. Siamo rimasti indietro. In passato l’arte e la scienza erano legate. Oggi sono su due binari distinti. Ecco, per me non è concepibile questa separazione. Sono uno scienziato e un filosofo perché avere una visione ampia è l’unica possibilità per essere un artista, per rappresentare la realtà di oggi. Perché come ho detto: l’artista DEVE proporre una visione nuova.
Per chiudere ci può dare un’anticipazione sulla mostra?
Certo. Come suggerisce il titolo, la mostra si compone di trenta progetti e due realizzazioni. Ove i primi per me non sono semplici disegni, ma opere d’arte. Nel mio lavoro procedo per progetti, ne ho realizzati tantissimi, senza avere la possibilità di realizzarli tutti. Io elaboro un progetto e, dopo averne verificato la fattibilità, da tutti i punti di vista, lo considero concluso; quindi vado avanti nella ricerca, procedo con quello successivo; non mi pongo il problema di come presentarlo al pubblico, perché lo faccio prima di tutto per me. Questo significa che per io considero i progetti realizzati come parte integrante delle opere e quelli da realizzare come opere d’arte in potenza. In altre parole, ogni opera, ogni realizzazione, comprende anche il progetto, non potrebbe esistere senza, talvolta più di uno se mi rendo conto che ci sono diversi modi di realizzarla.
Un modo di procedere che mi ha fatto capire come anche il “non-finito” michelangiolesco, in realtà non esista se non come invenzione contemporanea. Perché lui, come ogni grande artista, lavorava per se stesso, quindi nelle fasi di ricerca, dopo essersi reso conto che una certa cosa funzionava era soddisfatto e poteva andare avanti, senza doversi preoccupare di rendere l’opera fruibile per il pubblico.
Ludovica Palmieri
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