A Venezia un’artista kazaka protagonista di un progetto su Marco Polo

Un fiume di stoffe e fibre colorate riempie Ca’ Giustinian e nella sua eterogeneità intreccia il viaggio di Marco Polo al continuo divenire della contemporaneità. Si tratta di “Memory of Hope”, progetto speciale che la curatrice Lonardelli racconta ad Artribune

Nell’ambito del Progetto Speciale dell’Archivio Storico della Biennale È il vento che fa il cielo, ideato per celebrare i 700 anni dalla morte di Marco Polo, si è aperta, nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, sede della Biennale di Venezia, la mostra Gulnur Mukazhanova. Memory of Hope, curata da Luigia Lonardelli, visitabile fino al 10 febbraio 2025. Dopo l’esordio a Hangzhou, in Cina, con la mostra Il sentiero perfetto, in corso fino al 10 gennaio 2025, l’ambizioso progetto che parte dal viaggio diMarco Polo per tracciarne un percorso simbolico, continua a Venezia con l’esposizione focalizzata sul Kazakistan, attraverso l’opera di Gulnur Mukazhanova, artista di grande sensibilità e profondità espressiva.
Data la complessità del progetto ne abbiamo parlato con la curatrice, Luigia Lonardelli, per approfondirne le dinamiche e gli aspetti salienti.

Luigia Lonardelli. Photo Andrea Avezzù, Courtesy of La Biennale di Venezia
Luigia Lonardelli. Photo Andrea Avezzù, Courtesy of La Biennale di Venezia

La parola alla curatrice del Progetto Speciale a Venezia dedicato a Marco Polo

Qual è stata la genesi del progetto veneziano?
Sono partita dall’idea di raccontare un viaggio, non solo fisico ma anche mentale, un percorso della memoria, iniziato dal recupero dell’eredità culturale di Marco Polo, soprattutto, del suo spirito di scoperta, aperto e accogliente verso il nuovo e le diversità. In particolare, dopo l’esordio cinese, mi sono soffermata sulla via della seta, iniziando a ragionare sulle suggestioni trasmesse dai paesi dell’Asia centrale, tutt’ora luogo di transito e mediazione tra diverse rotte commerciali. Un’area geografica in cui convivono più stati che, tuttavia, culturalmente condividono un’unica identità: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan. Da lì è nata l’idea, per Venezia, di realizzare un progetto che richiamasse, da una parte il rapporto tra queste nazioni e l’oriente, basato principalmente sul commercio e lo scambio di tessuti; dall’altra, di approfondire il concetto di identità post-nomadica, riflettendo sui linguaggi e le tecniche propri di un passato non lontano che gli artisti kazaki stanno recuperando.

Com’è nata la collaborazione con Gulnur Mukazhanova?
Ho conosciuto l’opera di Gulnur Mukazhanova (Semipalatinsk, 1984) a Venezia nel 2007, nel padiglione Centro Asia, trovandola subito molto significativa per la capacità di condensare nella maestria dell’arte tessile, storia, identità e memoria, collettive ed individuali. Il suo lavoro unisce la tradizione millenaria del centro Asia, che tocca anche Marco Polo, con la storia recente, legata anche al crollo dell’Unione Sovietica. Si tratta di una ricerca molto profonda che presenta diversi livelli di lettura.

Un fiume di colori riempie la Ca’ Giustinian in omaggio a Marco Polo

Può approfondire la ricerca dell’artista in rapporto a Memory of Hope?
L’opera è prima di tutto una grandissima prova di capacità tecnica. Una dimostrazione degli esiti più alti a cui può giungere oggi l’arte tessile. Gulnur Mukazhanova ha coniato un linguaggio che mantiene uno stretto legame con la tradizione ma nello stesso tempo la rinnova. La sua arte si nutre delle influenze culturali nomadi e post-sovietiche, con richiami alle identità presovietiche e ai materiali di largo consumo provenienti dalla Cina, creando una fusione unica e armoniosa di motivi decorativi e simbolici.  L’opera in mostra Memory of Hope ne è un eloquente esempio. L’artista, pur avendo realizzato un’installazione monumentale con i tessuti, scegliendo di giustapporre le fibre nega la sua capacità di tessere. Nel lavoro, infatti, è assente la trama e, quindi, l’intreccio; un gesto di composizione universale, tipicamente umano e comune a tutte le civiltà, a cui però l’artista rinuncia, sovrapponendo le fibre su diversi livelli che, stratificandosi, rappresentano fisicamente i significati concettuali trasmessi dall’opera. Eppure, attraverso l’accostamento di lana, fibre di seta e tessuti antichi Memory of Hope evoca le atmosfere delle steppe eurasiatiche, simbolo di confine e connessione tra Europa e Asia.

Gulnur Mukazhanova, Memory of Hope. Photo by Jacopo Salvi, Courtesy of La Biennale di Venezia
Gulnur Mukazhanova, Memory of Hope. Photo by Jacopo Salvi, Courtesy of La Biennale di Venezia

L’eterogeneità come caratteristica umana sin dai tempi di Marco Polo

Nello specifico, a livello concettuale quali sono i temi toccati?
A livello concettuale il valore di Memory of Hope abbraccia una moltitudine di significati. Per il solo essere costituita da tessuti diversi ragiona sul quanto oggi l’attività tessile sia una delle massime espressioni della globalizzazione, soprattutto in riferimento ad alcune rotte commerciali. A tal proposito, uno degli elementi maggiormente riconoscibile all’interno dell’ordito è l’ikat un tessuto decorato in una forma artigianale tipica del centro Asia ma oggi realizzata su grande scala in Cina per esaudire a prezzi contenuti le richieste del mercato. Diciamo che l’artista ci pone letteralmente di fronte ad un orizzonte visivo.  Un piano orizzontale composto da una serie di tessuti che apparentemente potrebbero sembrare di matrice tradizionale (termine su cui si potrebbe discutere a lungo) ma, in realtà, sono di produzione industriale. Cinesi o sovietici, ormai fuori produzione. In altre parole, ognuno di questi tessuti racconta una storia e una diversa tipologia di produzione. Come se questo melting pot di fibre rappresentasse proprio la situazione identitaria della Mukazhanova, nata in Kazakistan ai tempi dell’URSS, poi residente a Berlino dopo il crollo del muro e adesso cittadina del mondo ma comunque indissolubilmente legata alle sue origini.

A livello formale come si potrebbe leggere l’opera?
Anche in questo caso l’installazione presenta un duplice livello di lettura. Perché, da una parte l’impianto monumentale del lavoro ricorda un apparato ufficiale, decorativo, una sorta di strumento di dialogo tra le comunità. Dall’altra, l’adozione di una forma sinuosa dall’andamento morbido e circolare, rimanda a significati simbolici dal carattere universale, ricorrenti tanto nelle antiche culture centro asiatiche pre-islamiche, quanto in quelle europee pre-cristiane. La forma circolare e dinamica allude a quella del serpente, animale che per il suo endemico rapporto con la terra era simbolo di energia ed emblema di una potente divinità femminina.

In termini tecnici come convivono insieme i tessuti senza intreccio?
Premetto che Gulnur Mukazhanova ha realizzatoMemory of Hope in dieci intensi giorni di lavoro. L’opera è tutta giocata sul campo magnetico generato dalla natura eterogenea dei tessuti utilizzati. L’artista li modella, li accarezza e li doma, come se fossero una materia viva da plasmare. Si tratta quindi di un’installazione che si caratterizza per un precario equilibrio e un’intrinseca fragilità, proprio come la speranza che rappresenta. Per cui, un’eventuale interazione umana, ravvicinata, brusca, potrebbe provocare dei cambiamenti.

Cedvek Eret. Photo Andrea Avezzù, Courtesy of La Biennale di Venezia
Cedvek Eret. Photo Andrea Avezzù, Courtesy of La Biennale di Venezia

Marco Polo, la speranza e lo spirito del viaggio

In rapporto a Memory of Hope, come si colloca l’intervento di Cevdet Erek a Venezia?
Quando ho iniziato a progettare questo viaggio ho subito percepito la necessità di un “viatico”, una presenza ricorrente in tutte le tappe che, per l’appunto, ho identificato nell’installazione Amfibio di Cevdet Erak (Istanbul, 1974). Uno spazio fluido e modulare, che si adatta agli ambienti che intercetta, nello specifico: ai territori attraversati da Marco Polo e dal progetto È il vento che fa il cieloche, dopo Venezia e Hangzhou proseguirà nell’autunno 2025 a Istanbul. A Venezia l’opera acquista una dimensione pubblica, diventando un luogo di incontro, di dialogo, sede di laboratori e workshop. La traccia sonora che l’abbraccia, rispetto alla versione cinese, è caratterizzata da un prevalere dei bassi, in omaggio agli strumenti a percussione propri della tradizione centro asiatica.

Nel complesso qual è il messaggio del progetto?
Sicuramente tutto il progetto nella sua totalità, riprendendo lo spirito del viaggio di Marco Polo, è foriero di un messaggio di pace, di superamento dei confini, nel più completo rispetto delle diversità e delle singole identità. A Venezia, Memory of Hope nel suo pervadere in maniera fluida, leggera ma dirompente e colorata lo spazio, ricorda il fluire di un fiume. Una metafora che, oltre ad essere un omaggio alla città lagunare, nel suo ricordare una mappa aperta dai confini fluidi e mutevoli, allude al modo in cui, per le circostanze di prossimità, geografiche e commerciali, legate anche alla globalizzazione, le tradizioni dei singoli paesi stanno confluendo l’una nell’altra. Infine, nell’eterogeneità delle fibre e dei tessuti utilizzati si può cogliere anche un riferimento alle singole identità e al loro continuo costruirsi senza perdere la speranza in un mondo in costante cambiamento.

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Ludovica Palmeri

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Ludovica Palmieri

Ludovica Palmieri

Ludovica Palmieri è nata a Napoli. Vive e lavora a Roma, dove ha conseguito il diploma di laurea magistrale con lode in Storia dell’Arte con un tesi sulla fortuna critica di Correggio nel Settecento presso la terza università. Subito dopo…

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