Le sculture vive e ancestrali di Bekhbaatar Enkhtur. Intervista all’artista
Originario della Mongolia, questo scultore si ispira alla tradizione antica sciita per creare opere che paiono vive, a partire da materiali organici malleabili, come argilla cruda e cera d’api
È uno scultore profondamente contemporaneo e ostinatamente antico, Bekhbaatar Enkhtur. Quella praticata dall’artista, in mostra inoltre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino fino al 6 gennaio, è una scultura fragile e precaria che si mostra agli occhi dello spettatore mai uguale a se stessa; un aspetto che la rende vicina alle istanze del tempo che viviamo e alle trasformazioni radicali che hanno interessato la scultura già dalla fine del XIX Secolo. Il suo immaginario attinge da un repertorio iconografico fatto di memorie, tradizioni e miti della sua terra d’origine, la Mongolia; e questa, invece, è una caratteristica che dà alle sue opere un’apparenza arcaica, quasi ancestrale. Enkhtur utilizza prevalentemente argilla cruda, cera d’api e altri materiali che comportano un fisiologico deperimento; le sue opere manifestano così una natura organica e malleabile, che trova conferma anche nell’impiego di un “metallo morbido” come l’alluminio, di cui l’artista si serve per realizzare dei poetici bassorilievi. La poetica di Enkhtur è dunque proiettata verso una vitalità della scultura, in cui il mutevole sembra aver sostituito il durevole, l’orizzontale ha preso il posto del verticale e la fragilità è preferita alla muscolarità.
La scultura secondo Bekhbaatar Enkhtur
La tua pratica mette in discussione alcuni fondamenti della tradizione scultorea come l’impiego di materiali “duri”, la monumentalità, la verticalità. Lo fa in maniera istintiva e viscerale, ma anche pienamente consapevole. Da dove ha origine questa tua riflessione?
Il punto di partenza della mia riflessione artistica affonda nei miei ricordi d’infanzia. Nella mia famiglia, come in molte altre famiglie mongole, era pratica comune avere un piccolo altare dedicato a una divinità, con offerte come caramelle poste davanti a una statua di bronzo o rame. Da bambino, mi sentivo attratto da quelle caramelle, ma anche dal mistero che circondava queste statue. Questa esperienza ha acceso in me una riflessione profonda su come, in quel contesto, una semplice scultura potesse essere trattata come un essere vivente, dotato di un’anima. Mi affascinava l’idea che un oggetto inanimato potesse ricevere attenzione e rispetto, come se avesse una propria vita. Questo concetto ha influenzato profondamente il mio modo di vedere la scultura: non più come qualcosa di fisso e immutabile, ma come qualcosa di vitale, che partecipa al flusso della vita. Il trattamento delle sculture come entità vive, che cambiano e si consumano con il tempo, riflette il mio desiderio di esplorare l’anima intrinseca della materia. Anche nei miei lavori, scelgo materiali che si trasformano, proprio per cercare di catturare questa dimensione mutevole. Per me, la scultura non è soltanto un oggetto da osservare, ma una presenza che dialoga con chi la guarda, che esiste in una relazione dinamica con il tempo e lo spazio che la circondano.
Nel tuo immaginario sono costantemente presenti animali e figure legate al tuo Paese di provenienza, la Mongolia. Trovo che, più recentemente, tu stia espandendo il campo, includendo figure fantastiche che sembrano maggiormente frutto di un “senso d’invenzione”. Da cosa trai ispirazione? E quali sono, se ci sono, i tuoi riferimenti nel campo della storia dell’arte?
La mia ricerca artistica si è sempre concentrata sul simbolismo degli animali, e spesso mi è capitato di utilizzare figure animali nelle mie opere. Tuttavia, ultimamente sento il bisogno di variare la mia pratica, andando sempre più in profondità nella storia e scoprendo i legami che esistono tra diverse tradizioni. Questo mi ha portato a sviluppare un forte interesse verso l’Asia Centrale. I miei riferimenti tendono ad avere una certa connessione con ritrovamenti archeologici, e tra questi mi interessa particolarmente l’arte sciita. Quando penso alla pittura, trovo affascinanti artisti come Syah Qalam e Merab Abramishvili, e osservo con curiosità tutte le trasformazioni della pittura che si sono sviluppate dall’Asia orientale fino all’Asia centrale.
Le opere di Bekhbaatar Enkhtur
Le opere che realizzi sono attraversate da una forte fisicità: il tuo tocco è sempre pienamente percepibile, così come la natura dei materiali che utilizzi. La manualità è un valore per te? C’è, in questa scelta, una forma di resistenza all’avanzamento inesorabile dell’immagine digitale e virtuale?
Sì, la manualità è un valore fondamentale per me. Nel mio lavoro il contatto diretto con la materia è essenziale: il mio tocco deve essere percepibile, perché ogni segno, ogni impronta che lascio sulla superficie mi permette di trasmettere l’energia e la vitalità che cerco nelle mie opere. Questa scelta di lavorare con le mani, di plasmare i materiali in modo tangibile, può certamente essere vista come una forma di resistenza all’avanzamento dell’immagine digitale e virtuale. Non è tanto un rifiuto della tecnologia, ma piuttosto una riaffermazione del valore della fisicità e dell’imperfezione, del processo lento e meditativo che sta dietro la creazione artistica.
Spesso ti capita di impiegare materiali trovati direttamente nei luoghi dove esponi o addirittura di integrare tracce ed elementi delle mostre che hanno preceduto la tua, come nel caso della personale da Matèria. Quanto è importante il contesto che accoglie l’opera?
Di solito, quando preparo una mostra, cerco sempre di avere un “motivo”, un filo conduttore che mi guidi. Inizio a riflettere sulle potenzialità dello spazio e sul contesto in cui l’opera sarà inserita. Questo mi porta a creare una sorta di “tempo compresso”, dove le mie opere nascono nel preciso momento in cui la mia immaginazione incontra la realtà del luogo.
Spesso mi capita di utilizzare materiali che trovo direttamente nel luogo in cui espongo, come una forma di dialogo con lo spazio. Questo è accaduto, ad esempio, nella mia personale da Matèria, dove ho integrato elementi della mostra precedente di Marta Mancini. In questo modo, non solo inserisco le mie opere in un ambiente specifico, ma lascio che quel luogo e le sue tracce diventino parte dell’opera stessa.
Sei arrivato in Italia dalla Mongolia per studiare all’Accademia di Belle Arti. Com’è stato questo passaggio? Quali le opportunità e quali le difficoltà? Mi piacerebbe se provassi a descrivere anche la tua condizione di artista emergente in un Paese come l’Italia.
Essere lontano dal mio Paese d’origine mi ha portato a riscoprire la mia cultura sotto una nuova orizzonte, creando un legame più forte con le mie radici, che non avevo percepito pienamente mentre vivevo in Mongolia. Ho accolto tutte le opportunità che mi si sono presentate qui in Italia, cercando sempre di fare del mio meglio. Rispetto alla Mongolia, dove l’interesse per l’arte contemporanea sta iniziando a emergere, l’Italia offre un contesto molto più strutturato, grazie alla sua lunga e consolidata storia artistica. Le difficoltà che ho incontrato, invece, sono soprattutto legate alla burocrazia, che devo gestire personalmente. Tuttavia, sto cercando di trovare un ritmo che mi permetta di continuare il mio percorso artistico, approfittando delle molte opportunità che l’Italia offre, sia in termini di produzione delle opere che di possibilità espositive.
L’artista Bekhbaatar Enkhtur
Bekhbaatar Enkhtur è nato a Ulan Bator, in Mongolia, nel 1994. Dopo essersi formato in scultura all’Accademia di Belle Arti Bologna, si è trasferito a Torino, dove attualmente vive. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre, personali e collettive, organizzate in musei, fondazioni, gallerie e spazi no-profit, tra i quali: Fondazione Elpis, Milano (2024); Pedro Cera Gallery, Lisbona (2024); Palazzo Collicola, Spoleto (2023); Galleria de’ Foscherari, Bologna (2023); Matèria, Roma (2023); LC Queisser Gallery, Tbilisi (2022); Fuocherello Fonderia Artistica de Carli, Volvera (2021); Ex Convento di San Francesco, Bagnacavallo (2021); Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato (2019); galleria P420, Bologna (2018). Tra le residenze si segnala: KORA – Contemporary Arts Center, Castrignano De’ Greci; MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna; Manifattura Tabacchi, Firenze; Fondazione Lanfranco Baldi, Pelago; Dolomiti Contemporanee, Borca di Cadore. Nel 2023, nel corso della fiera Artissima, ha ricevuto il premio Illy Present Future. Nel 2024 è tra i finalisti del Future Generation Art Prize. È rappresentato dalle gallerie Matèria e Pedro Cera.
Saverio Verini
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