“L’opera d’arte deve superare la sua stessa forma”. Intervista all’artista Serena Vestrucci

Il ruolo delle regole, gli attriti con la forma, l’atteggiamento ironico. Nelle opere di Serena Vestrucci c’è questo e molto altro. Ne parliamo nel nuovo appuntamento di Dialoghi di Estetica

Formatasi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, nel corso di Alberto Garutti, e all’Università IUAV di Venezia, l’artista Serena Vestrucci (Milano, 1986) sviluppa dal 2011 la sua pratica dedicandola a ciò che solo apparentemente è ordinario ed elementare. Mantenendo quali punti di riferimento la realtà e la vita quotidiana, Vestrucci dà forma alle sue opere attraverso più mezzi espressivi: installazioni, collage, disegni, dipinti, video, scultura, fotografia. Ha esposto le sue opere in mostre personali presso numerose istituzioni italiane tra cui: Casa Gramsci (Torino); Galleria FuoriCampo (Siena); Galleria d’Arte Moderna (Verona); Museo Archeologico Salinas (Palermo); Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce (Genova); Galleria Ottozoo (Milano). Tra le mostre collettive si ricordano: Museo Madre (Napoli); Museo MAXXI (Roma); Fondazione Stefan Gierowski (Varsavia); Fondazione Imago Mundi (Treviso); Palazzo Reale (Milano); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino); Galleria d’Arte Moderna (Milano); gli Istituti Italiani di Cultura di New York, Londra, Varsavia e Cracovia; Fondazione Bevilacqua La Masa (Venezia). Nel 2017 è stata vincitrice della diciottesima edizione del Premio Cairo ed è stata selezionata dal Comune di Milano per la realizzazione di un’opera pubblica permanente nell’ambito della commissione di arte pubblica ArtLine Milano. Nel 2024 ha tenuto un corso di formazione per docenti della scuola primaria per il Dipartimento Educativo di Pirelli HangarBicocca. La sua ultima mostra personale, Contorno, si è tenuta a Milano nel 2024 presso la Galleria Renata Fabbri. Questo dialogo illustra alcuni dei temi centrali che Vestrucci affronta con la sua poetica: il rapporto con la realtà, il ruolo delle regole per la creazione artistica, lo spazio per le idee, la difesa della spontaneità, gli attriti con la forma, l’atteggiamento ironico, lo scorrere del tempo.

Intervista a Serena Vestrucci

La questione umana che attraversa il tuo lavoro, quella tua attenzione per il vivere di tutti i giorni, è legata tanto alla tua sensibilità quanto alla accuratezza con cui ti dedichi alle tue opere. Ma anziché essere l’artificio, l’esito che ottieni è piuttosto la dichiarazione di una tua idea.
Realizzo un’opera quando sento che è diventato importante farla. Voglio dire, si possono avere numerose idee, ma è necessario stabilire un ordine. Le idee nascono di notte, alle 3-4 di notte. È il momento in cui sono sola con il mondo e in cui scrivo appunti che altrimenti dimenticherei dopo aver preso sonno. Rileggendoli il giorno dopo, la maggior parte mi sembrano inutili e le poche idee che sopravvivono alla verifica del mattino le conservo e le sviluppo. 

Che cosa hanno di speciale quelle idee?
Un’idea merita di essere formalmente compiuta quando è importante non solo dal punto di vista artistico, ma prima di tutto nell’ottica di una crescita che è esattamente umana.

Dai spazio alle idee ma non a un possibile approccio idealista. Infatti, mi sembra di poter riconoscere un moto di resistenza che concorre fruttuosamente alla riuscita della tua pratica artistica.
Cerco un modo per fare arte stando con i piedi per terra. Questo è anche un modo che ho di resistere, ricollegandomi alla tua suggestione. Cerco sempre di restare ancorata al mondo come metodo per affacciarmi alla realtà e partire da essa.

Serena Vestrucci, tra ironia, limite ed equilibrio

Parallelamente, lavori anche sulla possibilità di mettere in risalto l’ironia: lo fai con finezza e scrupolosità attraverso le decisioni che prendi in merito ai materiali, alle composizioni, ai tuoi modi di fare arte.
L’ironia è salvifica. È un grande aiuto per affrontare l’andamento generale delle cose. Un’opera ha la responsabilità di aprire a pensieri, domande, riflessioni, e l’ironia permette di alleggerire il peso di certe questioni che possono essere centrali. Senza ironia, le domande che le opere suscitano o le riflessioni che innescano sarebbero compromesse proprio perché i temi affrontati risulterebbero delle pesanti “micro-tragedie” che andrebbero ad impattare irrimediabilmente tanto su di esse quanto, alla fine, anche su chi ne fa esperienza.

L’impressione che ho è che tu riesca a trasmettere una idea in particolare: dovremmo imparare a considerare il limite anche come se fosse un modo per trovare nuove possibilità. Quello che non funziona può essere un nuovo punto di partenza, senza troppe tragedie – penso, per esempio, alle tue opere Ex (2013), Love Affairs (2014), Chi cammina sulla neve fresca senza voltarsi non lascia impronte (2016), Bitter–Sweet (2017).
Intendo i limiti come possibilità: nel lavoro, nella vita, in tutto quello che faccio quotidianamente mi trovo a riconoscerlo. Più si presentano, più mi metto all’opera. Questo è anche il mio primo modo di procedere con il lavoro dopo aver interagito con uno spazio in cui potrò esporre le opere. Il modo migliore di affrontare un limite nel quadro della mia attività artistica è procedere con semplicità, il più possibile secondo elementarità.

Alle tue opere arrivi attraverso la ricerca di più equilibri. Magari dietro c’è tutto un ribollire delle acque in pentola, il fermento di una questione sentimentale, l’inquietudine dovuta a fatti quotidiani: alla fine, però, la tua opera esprime ponderatezza.
In principio c’è il caos, tutto fermenta nella testa, e fare i conti con la mia emotività è un lavoro durissimo; l’opera è il momento in cui riesco a rendere stabile un pensiero guardandolo da fuori con chiarezza e con distanza, sia fisica che sentimentale. Creando l’opera, lavoro soprattutto sul suo snellimento. Cerco di togliere il superfluo in modo da arrivare a tenerne centrale il contenuto.

Le regole nel lavoro di Serena Vestrucci

Che rapporto hai con le regole?
Tutto il mio lavoro si muove all’interno di regole proprie. Ogni opera ha le sue. È necessario valutare molto bene come servirsene. Le regole aiutano a rendere l’opera ordinata, ponderata – come hai detto tu –, soppesata, ma non bisogna però arrivare a “costringerla”, cioè renderla costretta in una gabbia. Le regole vanno bene, fin quando non ledono la spontaneità. 

Che cosa vuoi dire?
Intendo dire che sono d’accordo con Queneau quando afferma: “Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero di regole che conosce è più libero del poeta che scrive quel che gli passa per la testa ed è schiavo d’altre regole che ignora”. Sono quindi d’accordo nel pensare che le regole aiutino l’orientamento. Mi chiedo però anche che cosa succederebbe se imparassi invece a trasgredire. Per saper trasgredire bisogna superare la paura. E infatti, in fondo, si trasgredisce per via di una maturazione del proprio rapporto con la libertà.

Proprio quest’ultimo rapporto credo risalti in particolare nel lavoro che svolgi da tempo sul senso comune. Penso in questo caso alle opere Toccare il fondo (2014 – in corso), Strappo alla regola (2013), Notte in bianco (2016 – in corso), Giù le scarpe dal tavolo! (2023). Oltre a tale inclinazione, ad accomunarle è anche l’allontanamento dalle categorie: non sono sicuro si possa dire pacificamente che le tue opere siano ‘sculture’ o ‘dipinti’, forse neppure ‘installazioni’.
Credo abbia un ruolo decisivo il timore che naturalmente abbiamo di sottrarci ai nostri modi di catalogare le cose. Come dici tu, bisognerebbe smetterla di pensare in termini di ‘sculture’, ‘dipinti’, ‘installazioni’, ecc. Bisognerebbe riuscire a sentire l’opera come tale, senza categorie, andando oltre ai singoli mezzi espressivi. Penso che il punto sia quanto siamo disposti a superare questi limiti, a fare a meno di usare termini che solitamente sono tipici del lessico artistico.

Serena Vestrucci. Photo Danilo Donzelli, 2023
Serena Vestrucci. Photo Danilo Donzelli, 2023

La forma e il tempo nelle opere di Serena Vestrucci

Pensi che questo approccio influenzi anche il tuo rapporto con la forma? 
Sicuramente la forma è importante perché è il veicolo dell’opera. Penso molto alla forma, ma solitamente è qualcosa a cui arrivo solo a un certo punto del mio lavoro. Prima vengono altri elementi: il pensiero, i materiali, gli oggetti, i rapporti con lo spazio, le posizioni. La forma viene successivamente. È l’ultimo dei passaggi, non è il mio obiettivo. 

Dai modi in cui la ottieni, con più materiali e attività sempre diverse, mi sembra sia possibile riconoscere anche qualcosa come un sentimento di rinascita comune a tutte le tue opere. Ognuna offre prospettive che incentivano il superamento della loro forma.
Certo. Le opere d’arte in generale sono sempre delle forme di rinascita. Sono sempre un gesto di riscoperta e cambiamento di una situazione data. E il cambiamento costa fatica perché significa staccarsi da quello che si è già fatto. Per questo l’opera richiede sempre molta fatica per essere concepita ed elaborata, e per far sì che superi la sua stessa forma. Bisogna volerlo questo superamento: desiderare di andare avanti. D’altronde questa è la vita. 

Per te si tratta altrettanto di esaminare il tema del tempo. 
Spesso mi è capitato di chiedermi: se non avessi tutto questo tempo, farei tutto quello che solitamente faccio? Questo vuol dire che, sotto sotto, assecondo la fantasia di avere molto tempo davanti a me. Sicuramente questa proiezione sul futuro a lungo termine è di grande aiuto nel credere all’idea di poter andare avanti. È come quando ci si ritrova a piangere sul latte versato. Voglio dire, è inutile farlo: piuttosto, guardiamo dove stava la ciotola, perché si è rovesciata, se rovesciandosi si è rotta, che forma ha assunto il latte adesso, se appiccica oppure no… Così può nascere un’opera. Il punto è che dobbiamo guardare il problema da fuori e andare avanti. Un po’ come accade ai Duchi di Urbino stampati sulla cartolina che comprai agli Uffizi nel 2013: l’ho tagliata e con lo scotch l’ho incollata invertendo le parti e intitolandola Ex. Chissà quali paesaggi vedono adesso, dandosi le spalle l’un l’altro…

Davide Dal Sasso

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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